Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Il conflitto israelo-palestinese e la stampa italiana La risposta di Paolo Milei ad una lettera interessante
Testata: Corriere della Sera Data: 13 ottobre 2003 Pagina: 35 Autore: Paolo Mieli Titolo: «Arafat, i palestinesi e l’assenza di democrazia»
Riportiamo una lettera pubblicata nella rubrica del Corriere della Sera curata da Paolo Mieli. Davvero interessante l’editoriale di Antonio Ferrari sulla lite tra Arafat e il suo primo ministro Abu Ala e sul «caos palestinese» che ne è seguito. È evidente che c’è un problema Arafat. Racconta Ferrari che quando l’ex premier palestinese Abu Mazen fu ricevuto da George W. Bush alla Casa Bianca, Arafat diede ordine alle televisioni sul territorio da lui amministrato di sostituire la diretta con un film strappalacrime. Quell’uomo, Arafat, non sopporta che qualcun altro possa dividere con lui il potere e farà sì che mai si crei uno Stato democratico nel quale potrebbe accadere che lui sia messo in minoranza o sia del tutto esautorato. Credo proprio che finché sarà sulla scena Arafat, di pace lì non ce ne sarà.
Fulvio Simoni Segue la risposta di Paolo Mieli
Caro signor Simoni, credo che la rigida politica del primo ministro israeliano Ariel Sharon abbia, per così dire, contribuito a indirizzare Arafat nel vicolo cieco in cui si è andato a cacciare. Ma, certo, le cose in ambito palestinese oggi stanno - grosso modo - così come lei dice. C’è nei territori amministrati dall’Autorità nazionale palestinese un problema di democrazia che va affrontato prima che si possa fare ogni altro discorso. Anche i nostri occhi devono imparare a guardare a quel mondo senza pregiudizi, e a riconoscere le questioni che sono rimaste aperte da oltre cinquant’anni. Le maniere con cui Arafat ha contrastato Mahmoud Abbas (Abu Mazen) prima e Ahmed Qurei (Abu Ala) poi, parlano da sole. Il modo con cui sono stati eliminati i cosiddetti «collaborazionisti», i quali in gran parte erano nient’altro che palestinesi dissidenti, fa parte dello stesso discorso. L’inganno circa alcune stragi israeliane come quella di Jenin (ferma restando, ripeto, ogni legittima critica nei confronti della politica di Sharon) idem. E che dire di quei libri di testo per le elementari in cui si educano i bambini a una prospettiva di sterminio degli israeliani tutti? La diaspora palestinese supera gli otto milioni di persone. Quasi la metà sono distribuiti tra Gaza, Cisgiordania, Siria, Libano e la Giordania. In Giordania i palestinesi superano il 50 per cento della popolazione. Ma il 20 per cento di loro vive ancora in una decina di campi profughi. «C’è più gente originaria di Nablus in Giordania che nella stessa Nablus», sostiene Taher Masri, ex primo ministro di re Hussein nonché fratello di un ex ministro di Arafat. È normale? Niente da ridire? Quando a fine settembre è morto Edward W. Said, uno dei più importanti intellettuali palestinesi da tempo residente negli Stati Uniti, Lorenzo Cremonesi su queste colonne ne ha ricordato lo stupore di fronte a una specifica circostanza: «I miei libri - aveva dichiarato Said - sono in vetrina nella parte ebraica di Gerusalemme, ma non nelle librerie della Cisgiordania; Arafat li ha fatti sequestrare; un libraio di Gaza mi ha detto che hanno portato via settantadue copie del mio libro di saggi critici del processo di pace e non lo hanno neppure indennizzato». Queste parole non avrebbero meritato qualche commento quando Said era in vita? Adesso, fortunatamente, anche nella parte politica che ha sempre avuto un pregiudizio favorevole nei confronti dell’0lp, qualcosa si sta muovendo. Nel giugno del 2002 un commando palestinese ha ucciso tre bambini israeliani e i loro genitori. Quasi tutti i giornali simpatizzanti con l’Anp non hanno fatto caso alla notizia o hanno minimizzato. Qualcuno, però, poi ha fatto ammenda. «Sul Manifesto è uscito un pessimo resoconto di questa azione criminale compiuta da due "combattenti" nella colonna Itamar, pessimo perché trasudava simpatia per il commando e nessuna pietà per le vittime», si è scusato Riccardo Barenghi, direttore del quotidiano. E, dopo una brutale esecuzione di «collaborazionisti», Michele Giorgio ha scritto sempre sul Manifesto : «Ieri nel centro di Ramallah sono stati orribilmente giustiziati in pubblico tre palestinesi accusati di essere spie di Israele; una giustizia sommaria che si è sostituita a quella ordinaria, che va contro la costituzione di uno Stato palestinese fondato sulla legalità e che perciò fa il gioco proprio delle forze di occupazione». Il Manifesto , poi, non è solo in quest’opera di revisione critica. «Dice niente il fatto che nelle scuole palestinesi, finanziate con i fondi dell’Unione europea, i bambini e le bambine vengano educati nell’esaltazione del "martirio"?», ha domandato, su Repubblica , Miriam Mafai. È troppo chiedere che l’intera sinistra anche quella più radicale segua questi esempi di onestà intellettuale? Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere al Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.