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L'Espresso Rassegna Stampa
10.10.2003 Una visione miope e fuorviante
Come sempre Dina Nascetti sull'Espresso

Testata: L'Espresso
Data: 10 ottobre 2003
Pagina: 37
Autore: Dina Nascetti
Titolo: «Chiusi in un recinto»
Ancora una volta L’Espresso si conferma come una testata che ospita articoli di scarsa correttezza dell’informazione nei confronti della situazione in Israele e Palestina.
In particolare troviamo ancora una volta un articolo scritto da una Dina Nascetti miope e assolutamente schierata che fornisce una visione completamente distorta e fuorviante. L’articolo di questa settimana vuole commentare la situazione vissuta da palestinesi che si trovano all’interno del muro che viene costruito; non una parola per commentare o spiegare i motivi di sicurezza che spingono alla costruzione del muro, non una parola per capire se e come i motivi di sicurezza vengono percepiti o condivisi dai palestinesi, non una parola per capire se i palestinesi hanno proposte alternative per garantire la sicurezza ad Israele. Perché, ricordiamolo, il muro viene costruito per un banale motivo di sicurezza di Israele e perché (ma soprattutto finchè) da parte palestinese non c’è una intenzione di intavolare reali colloqui di pace con reali garanzie di sicurezza (ovvero smantellamento dei gruppi terroristici).

Bastano pochi esempi per rendersi conto di come è stato scritto l’articolo di Dina Nascetti.

"Amina, un´insegnante che ora impiega quasi tre ore per raggiungere la scuola, contro i 20 minuti di prima, non si rassegna. "Invece Abu Dis, come tutte le nostre città e villaggi, saranno prigioni a cielo aperto. Avranno una sola porta di ingresso, che sarà aperta e chiusa a seconda degli umori di Sharon. Come avveniva con i ghetti ebraici nei tempi più bui della vostra Europa e della Roma papalina", si sfoga con le lacrime agli occhi."


Dina Nascetti presta il fianco ad accuse infamanti come quella di voler creare prigioni a cielo aperto o ancor peggio dei ghetti. La giornalista non ha fatto alcuna precisazione, non ha chiarito, non ha puntualizzato, facendo quindi propria l’affermazione dell’intervistato.

Ma vediamo un altro esempio.

Per Sabi Saleh, idrologo, un anno di perfezionamento a Torino, vicedirettore del Parc, l´organismo di studi dell´agricoltura palestinese, "il muro non è stato deciso per difendersi dagli attacchi dei kamikaze, ma per delimitare le future frontiere della Cisgiordania. Se non si fermerà questo progetto razzista alla fine Israele avrà annesso il 60 per cento della Cisgiordania ai danni di oltre 120 mila famiglie palestinesi".


Anche in questo caso Dina Nascetti non controbatte nulla, non inserisce alcun commento e quindi lasciando intendere che condivide l’idea espressa dall’intervistato. I nostri lettori sanno bene che il muro ha come obiettivo la sicurezza e non vuole assolutamente fissare alcun confine.

Nessuno mette in dubbio che il muro rappresenti una difficoltà per la mobilità e per la vita dei palestinesi, ma occorre spiegare che rappresenta anche un ennesimo disperato tentativo di Israele di difendersi dai terroristi. Da parte palestinese (non nella sua totalità comunque) gli attacchi terroristici contro civili vengono visti come uno strumento di lotta, uno strumento per liberarsi (completamente) della presenza dell’altro (escludendo la possibilità di una pace), ma da parte israeliana si tratta semplicemente di una lotta per l’esistenza.



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