lunedi` 11 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
07.10.2003 Passabile solo il titolo
ma solo quello,il resto è del peggior Cossiga

Testata: La Stampa
Data: 07 ottobre 2003
Pagina: 6
Autore: Francesco Cossiga
Titolo: «Basta utopie,la pace si può imporre soltanto con la forza»
Finora ci aveva provato qualcuno, area Manifesto/Liberazione/Linea, come dire gli ultimi comunisti/fascisti a sostenere che il terrorismo palestinese è lecito in quanto guerra di liberazione nazionale. I terroristi palestinesi come i partigiani. Va da sè che se i palestinesi sono i partigiani gli israeliani sono i nazifascisti. Questo immondo paragone è la tesi dell'articolo che Francesco Cossiga pubblica sulla Stampa di oggi. La lotta del popolo palestinese quindi non può che essere terrorista, perchè terrorista fu la lotta partigiana contro il nemico invasore. E Israele deve essere definito senza ombra di dubbio uno stato terrorista.
Queste tesi indecenti non possono essere giustificate con il solito refrain "tanto Cossiga è matto.." . E' vero che Cossiga sovente non è tutto del suo e che straparla e strascrive. Ma, come tutti i matti, non manca di lucidità. E la esprime con una tesi che, proprio per la sua aberrazione, non mancherà di trovare consensi. E' noto quanto fascino l'orrido possa emanare.
Ecco l'articolo:

L’ATTENTATO di una giovane kamikaze palestinese ad Haifa, alla vigilia della tradizionale festa religiosa e civile ebraica dello Yom Kippur, attentato che ha causato venti morti tra cui bambini dai due mesi ai nove anni, ha innescato l’immediata reazione militare del governo israeliano, portando cacciabombardieri ad attaccare con missili un villaggio in territorio siriano non lontano da Damasco, dove si afferma esservi una base di stazionamento e di addestramento degli Hezbollah da cui partirebbero gli attacchi ai territori israeliani. Così per la prima volta dopo molti anni sono stati coinvolti dall'azione di Israele obiettivi situati al di fuori della Palestina storica. Questi tristi avvenimenti pongono in luce il conflitto flagrante tra utopia e realismo in questa autentica tragedia politica e umana.
Antifascista e antinazista fin dalla mia educazione giovanile e quindi schierato non solo a favore degli ebrei, ma da sempre anche a favore della costituzione dello Stato di Israele, unico modo possibile di compensazione alla vigliaccheria dell'Occidente, e allo stupefatto silenzio delle Chiese durante la persecuzione; cristiano che considera gli ebrei suoi «fratelli maggiori» e che ama tuttora considerare il popolo ebraico il «Popolo dell'Alleanza» cui Iddio un giorno donò come luogo fisico per la Rivelazione i territori palestinesi, ho sempre però riconosciuto anche il diritto di quegli arabi che - in forza del nome adottato per questi territori dall'Impero britannico che ne fu mandatario dopo il primo conflitto mondiale: «Palestina» - sono chiamati attualmente con il nome di «palestinesi», e cioè gli arabi che dimoravano nel 1920 in quel territorio.
Da presidente di turno del Consiglio europeo di Venezia nel 1980 feci adottare dallo stesso, non senza molte difficoltà, la prima dichiarazione a favore del riconoscimento della identità specifica palestinese, da realizzarsi in uno Stato indipendente, come tra l'altro già deciso dalle Nazioni Unite nel momento nel quale decisero la spartizione della Palestina e diedero il via alla costituzione dello Stato di Israele, prevedendo altresì però la costituzione dello Stato arabo-palestinese.
E' proprio per questi due sentimenti - che peraltro non sento in me contraddittori né come cristiano né tanto meno come democratico - che considero utopico, e perfino venato di cinismo politico, ogni disegno di soluzione non militarmente interventista della questione palestinese-israeliana, così come coltivato anche ultimamente con il cosiddetto ulteriore velleitario progetto della «Road map», in via di totale fallimento.
Su questi progetti pesa da un lato l'esclusivismo americano, che non vuole permettere che altri soggetti politici si ingeriscano nella soluzione della tragica situazione, e dall'altro l'atteggiamento declamatorio e imbelle in un'Europa che non esiste.
Atto grave di terrorismo quello della ragazza palestinese che ha sacrificato a una tremenda idealità i suoi ventotto anni; atto di terrorismo che però non può non considerarsi atto di guerra, perché è proprio delle entità politiche minori - così come lo fu nei Paesi europei occupati dalla Germania nazista durante la Resistenza -, non potendo disporre di forze militari di linea (aerei, navi, carri armati e cannoni), usare le uniche armi possibili e cioè quelle proprie degli attentati individuali o di massa: e cioè il terrorismo.
«Terrorista» fu certo in senso militare la Resistenza europea al nazismo, salvo quella della Jugoslavia di Tito, che schierò forze militari tradizionali contro gli italo-germanici.
E così non può che essere terrorista la lotta del popolo palestinese contro Israele. Così come non si può parimenti negare il carattere «terrorista di Stato» alla peraltro legittima reazione di Israele, che non trovandosi di fronte obiettivi militari tradizionali ben individuabili, ma solo uno sfuggevole fronte di resistenza articolato non solo in centri, ma anche in gruppi minimi di resistenza, in singoli individui, così reagisce.
E infatti in questa situazione è utopico pensare che il governo di Israele possa reagire in modo diverso da quello tremendo - ma io ritengo almeno eticamente legittimo - in cui reagisce alla indiscriminata e terrorista uccisione dei suoi cittadini, non solo militari, ma anche civili. Ed è utopico (e forse neanche voluto!) che l'Autorità nazionale palestinese possa imporre ai molteplici gruppi della resistenza palestinese non dico la pace, ma anche solo una tregua militare nei confronti di Israele.
Pensare il contrario e cercare una soluzione sulla base di un accordo tra le due autorità e su un regime concordato di pace anche militare è o un'utopia o un tragico inganno o un perverso disegno.
La pace a israeliani e palestinesi, è chiaro ormai, può essere imposta solo con la forza: cioè da una forza multinazionale di interposizione, pronta e legittimata a usare gli strumenti militari nei confronti sia di Israele che della Anp.
Questo compito certo spetterebbe propriamente alle Nazioni Unite, che sono formalmente la fonte di legittimità sia dello Stato di Israele sia del futuro Stato arabo della Palestina.
Ma di fronte all'impotenza e alla sperimentata incapacità a decidere di questa ormai inutile, anzi talvolta dannosa, organizzazione internazionale, solo rinunziando gli Stati Uniti alla funzione primaziale esclusiva nei confronti della questione israelo-palestinese dovrebbe essere l'Europa, tutta l'Europa, Federazione Russa compresa, a intervenire militarmente.
Ma per poter far questo in un ambiente di legittimità internazionale, anche se forse non compiutamente formale, nel quale si possano applicare i tradizionali principi del diritto consuetudinario di pace e di guerra e le norme fondamentali dell'etica internazionale (anche nella forma più recentemente acquisita dalla coscienza comune anche religiosa dell'intervento umanitario), è necessario che, rotto ogni indugio, almeno i Paesi dell'Unione europea, anzi di tutta l'Europa, riconoscano preliminarmente e unilateralmente popolo e territorio palestinesi sotto il governo dell'Anp quale Stato indipendente e sovrano. Così le situazioni conflittuali tra Israele e Palestina araba, anche nelle loro manifestazioni di violenza, cadrebbero sotto la disciplina e l'imperio del diritto internazionale; perché a tutt'oggi non esiste, al di fuori dell'unilateralismo anglo-americano, un effettivo potere internazionale su e contro il terrorismo, anche di guerriglia e di Stato.
Ma per far questo occorre realismo storico e coraggio politico. E, salvo la Federazione Russa, perché erede della gloriosa tradizione politica e militare dell'Urss, e il Regno Unito, per la sua tradizione di potenza imperiale, non mi sembra - anche alla luce del fallimento, benché provvido, del primo vertice della Conferenza intergovernativa europea! - che questo potrà accadere in tempi brevi.
Noi cristiani, e gli ebrei da ebrei, e i musulmani da musulmani, tutti uniti nella fede nello stesso Dio onnipotente e misericordioso, non possiamo quindi che sperare in un miracolo: ma di miracoli la Storia, a cagione del peccato originale, ne ha conosciuti ben pochi!

Invitiamo i lettori di Informazione Corretta a scrivere direttamente al direttore della Stampa Marcello Sorgi (marcello.sorgi@lastampa.it) per esprimere tutta la loro indignazione. Mai, nemmeno Igor Man -pur essendo uno dei giornalisti più schierati contro Israele - era arrivato a tanto.



Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT