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La Stampa Rassegna Stampa
06.10.2003 Commento o fantascienza ?
In prima pagina cronaca di un fatto non avvenuto

Testata: La Stampa
Data: 06 ottobre 2003
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «Un comando è in attesa»
Non è che la Stampa ha aperto una nuova rubrica di fantascienza. L'idea non sarebbe male. Invece è il commento di Igor Man, pubblicato in prima pagina,una cronaca di un avvenimento che non è avvenuto. Non sapendo più quali pesci pigliare dopo il massacro di Haifa (sul quale igorman si ben guardato dallo scrivere) il nostro ipotizza la cattura (e forse anche peggio) del povero Arafat alla Muqata. Ampia descrizione di come avverrà lo scempio, chi lo attuerà ("gli incursori più audaci e meglio preparati,frutto di una selezione FEROCE nei ranghi dell'esercito israeliano").Feroce in maiuscolo l'abbiamo sottolineato noi. Segue l'articolo integrale di igorman/zella.Utile leggerlo, per capire anche la campagna iniziata ormai da lungo tempo da Man/zella per mettere sullo stesso piano Sharon e Arafat.
IL commando è in allarme rosso, pronto al conto alla rovescia. E’ un commando diverso dagli altri. Lo compongono gli incursori più audaci e meglio preparati, frutto d’una selezione feroce nei ranghi dell’esercito israeliano, l’unico che possa, oggi, disputare agli Stati Uniti il primato operativo. Il commando è stato addestrato a compiere un’operazione. Una sola. Storica. La cattura di Arafat. Sembra che non sia la prima volta che s’accenda l’allarme rosso. Finora il conto alla rovescia non è mai scattato. Per tutta una serie di ragioni squisitamente politiche.
Gli Stati Uniti «sconsigliano» il ratto di Arafat perché temono: in primo luogo, che nel corso del raid ci scappi il morto: cioè lui, il Padre e il Simbolo della Palestina occupata. E se da vivo Arafat è già nella leggenda, figurarsi da morto, per di più incoronato «martire». Sarebbe come iniettare una gigantesca flebo di odio più nazionalismo nell’anemico corpo del movimento palestinese. In secondo luogo, nel caso l’operazione-cattura riuscisse, immediatamente Arafat verrebbe «deportato» il più lontano possibile dalla Palestina. Epperò, libero di scorrazzare in tutto il mondo islamico e no, Arafat diverrebbe una sorta di Mandela palestinese allargando lo spazio, già sostanzioso, in seno alle Nazioni Unite, tanto da mettere in seria difficoltà Israele, o se non altro ogni governo in carica a Gerusalemme.
Questi i pericoli che comporta il già simulato (infinite volte) raid-Arafat. Che la sua eventuale cattura, con conseguente deportazione, provochi un sollevamento delle masse arabe, rimane da vedere. I paesi arabi han sempre scomodato paroloni come «patria araba» eccetera; in realtà per i regimi «fratelli», moderati o no, Arafat è solo un pericoloso grillo parlante. Stando così le cose, ecco il tarlo che rode la Signora Condi Rice, mente politica dell’Oval Room: e se la cattura (ancorché chirurgica) del Vecchio Fedayn dalle sette vite esaltasse il terrorismo suicida?
Ma possiamo argomentare che se non più Arafat e nemmeno Sharon (fuori entrambi li vorrebbero personaggi come David Grossman e Amos Oz) governassero, questo faciliterebbe gli uomini di buona volontà, loro successori, nella ricerca paziente d’una pace realistica? Temo sia troppo tardi. Nell’uno e nell’altro campo sta crescendo una generazione che ha succhiato odio anziché latte. E, come vediamo, contro il terrorismo non servono i missili. Questo terrorismo, poi, temo non si possa fermare con la rappresaglia né con una politica figlia della giustizia. Al massimo questo terrorismo (che gli assassini suicidi chiamano lotta di liberazione) lo puoi contenere. Ma a che prezzo? E sino a quando?




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