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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.09.2003 Domande inadatte, intervista in ginocchio
Non è così che si intervista un dittatore

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 settembre 2003
Pagina: 1
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: «Tutti vulnerabili,combattiamo il terrorismo»
Antonio Ferrari non è nuovo in quanto ad ossequi al potere. Poco importa chi lo rappresenta. Sicuramente ha dimenticato le famose interviste alla storia di Oriana Fallaci. La coraggiosa Oriana poteva incontrare chiunque, anche il diavolo, ma le domande erano sale sulle ferite, parole di fuoco che impedivano all'intervistato di raccontare bugie. Tutto il contrario di quello che fa Ferrari. Peccato per il Corriere. Un'occasione persa.
Per chi non l'avesse letta, la pubblichiamo di seguito. Assad non è il pericoloso desposta della Siria, uno stato che ha sempre protetto bande di criminali ai quali ha dato rifugio, a cominciare dai nazisti in fuga dopo la seconda guerra mondiale, ma ancora oggi Damasco è il centro, insieme all'Iran, del più pericoloso terrorismo internazionale. Ma questo Ferrari sembra ignorarlo. Basta vedere il tono servile ed ossequioso delle domande.


«La Siria potrebbe aiutare in Iraq anche con un contingente militare»

Il presidente Assad ipotizza l' impegno di Damasco: «Se lo vorrà il popolo» «Chiedo a Roma di aiutarci a chiudere il trattato di associazione con l' Ue»
LA LUNGA CRISI IN MEDIO ORIENTE. INTERVISTA A ASSAD

DAL NOSTRO INVIATO DAMASCO - E' reattivo, attento e in gran forma, il giovane presidente Bashar el Assad. I pericoli che si affollano sulla Siria non sembrano turbarlo più di tanto. Mi riceve, per l' intervista esclusiva al Corriere della Sera, nel suo ufficio, sulla collina che domina Damasco. Signor presidente, gli Usa continuano ad accusarvi di destabilizzare l' Iraq, di inviare combattenti, di nascondere armi di distruzione di massa. La lista di accuse sta diventando lunga e pericolosa. Non teme che il suo Paese diventi l' obiettivo della prossima guerra? «Non credo che gli Usa abbiano interesse a ripetere gli errori commessi in Iraq. A parte le accuse (opinioni di un gruppo, non dell' intera Amministrazione Usa) non abbiamo avuto alcun tangibile segnale di minaccia militare. Preoccupati? Sì, lo siamo. Non per le minacce ma per i risultati della guerra all' Iraq, che ha avuto pesanti ripercussioni in campo politico, economico, sociale, della sicurezza. E poi le accuse alla Siria erano cominciate prima del conflitto. Vede, con gli Usa il rapporto ha più dimensioni: positive, come nel combattere assieme contro il terrorismo; problematiche, quando si parla di organizzazioni palestinesi o su come arrivare alla pace». Gli Usa accusano anche voi di produrre armi proibite. «Subito dopo la guerra cominciarono a parlare di armi di distruzione di massa in Siria. La risposta è al Consiglio di Sicurezza dell' Onu, dove pende una bozza di risoluzione per liberare l' intero Medio Oriente dalle armi proibite. I nostri detrattori erano arrabbiati con noi, accusandoci di possederle, ma erano ancor più arrabbiati quando abbiamo proposto, mesi prima della guerra, di eliminarle in tutta la regione. Cosa vogliono, allora? Noi diciamo: di fronte a un impegno internazionale scritto, la Siria sarebbe estremamente solerte per rendere questo sforzo un successo. Ma l' impegno deve valere per tutti, nessuno escluso». Se si trovasse di fronte al presidente Bush, cosa direbbe per convincerlo che le accuse alla Siria sono false? «Beh, dovrebbe spiegarmi lui perché queste accuse non sono false. Gli chiederei poi dove sono le armi di distruzione di massa in Iraq, perché adesso è ovvio che non esistono. Persino negli Usa ci sono istituzioni che apertamente ne dubitano. Poi gli chiederei dov' è la democrazia che aveva promesso all' Iraq e dove sono le migliori condizioni di vita che erano state assicurate. Molti iracheni, a cominciare dagli oppositori di Saddam, ci dicono che la situazione, oggi, è molto peggiore di quella sotto il regime. In sostanza, gli Usa e non noi devono rispondere ad accuse precise. E poi nessun Paese, sotto qualsiasi pretesto, si lascerebbe coinvolgere in un' altra guerra nella regione». Nonostante le accuse americane, voi esprimete il desiderio di contribuire alla ricostruzione dell' Iraq. Che cosa rispondereste se vi venisse chiesto di inviare un contingente militare? «Distinguiamo tra l' inviare truppe e partecipare alla ricostruzione. E poi distinguiamo tra ricostruzione e ripristino della sovranità irachena. Alcuni parlano di ricostruzione dell' Iraq come se si trattasse di una zona franca per progetti di investimento. Il primo ruolo che la Siria potrebbe avere è appunto di aiutare il ristabilimento dell' indipendenza dell' Iraq. Ma il nostro coinvolgimento dovrà rispondere ai desideri e alla volontà del popolo iracheno. Se è così, siamo pronti. Con ogni mezzo». Compreso l' invio di un contingente militare? «Tutto». Accettereste di partecipare sotto il comando-Usa? «Vorrebbe dire che il popolo iracheno accetta il ruolo degli Usa. Oggi, al contrario, ne vediamo il rifiuto. E' ovvio che non possiamo partecipare sotto l' occupazione americana, tantomeno mandare soldati. Altrimenti verremmo considerati, come gli Usa, truppe di occupazione, e come tali respinti. L' Iraq deve avere una data fissa sulla fine dell' occupazione. Altrimenti, gli iracheni dicono che continueranno a resistere». Ci sono due appuntamenti decisivi: il trattato di associazione tra la Siria e l' Ue, che dovrebbe essere firmato a Bruxelles alla fine dell' anno, e la conferenza per l' Iraq dei Paesi donatori, che si svolgerà a Madrid il 24 ottobre. Entrambi si materializzeranno sotto la presidenza europea dell' Italia, un Paese con cui avete ottime relazioni. Cosa chiede al presidente Berlusconi? «I negoziati tra la Siria e l' Ue cominciarono molto tempo fa, quando prendemmo la decisione politica di associarci. Siamo l' ultimo Paese arabo a firmare il trattato. Negli ultimi mesi sono stati compiuti importanti passi avanti su alcuni problemi tecnici, come le tariffe doganali. Quel che chiediamo alla presidenza italiana è di sostenerci nella fase finale del negoziato». L' anno scorso, durante la sua visita ufficiale in Italia, lei ha invitato in Siria il presidente della Repubblica Ciampi e il primo ministro Berlusconi. Quando pensa che le visite avverranno? «Il presidente Ciampi e il premier Berlusconi sono sempre i benvenuti, e voglio sottolineare ufficialmente il nostro desiderio che vengano in Siria». La scorsa settimana il Congresso americano ha cominciato a valutare l' applicazione di nuove leggi nei vostri confronti, con possibili sanzioni economiche. Che succederebbe se l' Ue seguisse gli Usa nel boicottaggio? «Mi domando: può il Congresso americano decidere per gli Usa e anche per l' Ue? Io credo che l' Ue sia indipendente, nonostante le relazioni speciali con gli Usa. E poi sarebbe contraddittorio, non trova? Da una parte l' accordo di partnership, dall' altra le sanzioni. Impossibile». Passiamo alla Road Map. Ci ha mai creduto davvero? «Se la Road Map non è accettata dalla gente, dai poteri che possono portare la pace nella regione, non ha valore. Se io ci ho mai creduto? Mi chiedo perché palestinesi e israeliani non ci abbiano creduto. Ho chiesto a un diplomatico europeo: cos' è la Road Map? Un cessate il fuoco o un processo di pace? Mi ha detto che è un processo di pace. No, ho risposto, è poco più di un cessate il fuoco e molto meno di un processo di pace. Il problema quindi è che la Road Map è stata presentata come il contenitore della soluzione definitiva, ma non contenendo gli elementi più importanti (confini dello stato palestinese, Gerusalemme, insediamenti, rifugiati) è stata condotta al fallimento. Siria e Libano erano stati menzionati, ma nessuno ha chiesto la nostra opinione. A Sharm el Sheikh, dove non erano presenti alcuni promotori della Road Map, Ue, Russia, Onu, hanno spinto Abu Mazen a impegnarsi su tutto, mentre Sharon non ha offerto nulla. Il governo di Israele è un governo di guerra e, come tale, non ha strategie di pace. Anche durante la tregua, ha continuato la campagna di assassinii mirati e la Road Map non è sopravvissuta». Ma voi avete cercato di facilitare la tregua. «Sì. I gruppi palestinesi erano determinati a rispettarla, ma Israele ha continuato a uccidere. Sono loro ad aver ammazzato la tregua, non i palestinesi». Che cosa succederebbe se Arafat, che voi non avete mai amato, venisse espulso e, peggio, ucciso? «Abbiamo avuto molti dissapori con Arafat, soprattutto sul processo di pace. Tutti i problemi ci riportano agli errori di Oslo. Ma ora cerchiamo di difendere Arafat, democraticamente eletto, e io credo che l' errore più grave commesso dagli Usa sia stato di isolarlo. Se venisse espulso, o peggio, tutta la regione andrebbe incontro all' ignoto, e non posso neppure immaginare le conseguenze». Il ministro della Difesa israeliano Mofaz ha detto che il suo Paese può colpire i leader di Hamas e della Jihad ovunque si trovino. Alcuni di essi sono qui, a Damasco. Avete pensato alle conseguenze? «E' chiaro che bisogna prendere precauzioni ed essere preoccupati. Credo che Israele sia pronto a uccidere dappertutto nel mondo, come ha dimostrato. E' una strategia ben nota, anche se non viene annunciata. Anzi, quando non viene annunciata è molto più pericolosa». Lei dice d' essere pronto a negoziare con qualsiasi governo israeliano, in cambio della restituzione di tutte le alture del Golan. Ha ricevuto qualche segnale da Sharon? «Nulla: né a parole né con atti. Non crediamo che l' attuale governo abbia alcun desiderio di avviare un negoziato. Ce lo hanno confermato numerosi europei». Lei ha varato il suo nuovo governo. E' soddisfatto? Che cosa ha fatto per migliorare la situazione dei diritti umani, ancora assi carente? «Non sono mai soddisfatto. Alcuni obiettivi sono stati raggiunti, altri no. Sui diritti umani, l' obiettivo numero uno è consolidare il ruolo della legge. E' un lungo e difficile cammino, e una delle ragioni per cui non abbiamo potuto fare di più è legata ai problemi della regione, il conflitto arabo-israeliano, e poi il terrorismo di cui abbiamo fatto triste esperienza. Ora, in aggiunta, c' è il dopoguerra iracheno. Questo non significa che non possiamo fare meglio. Parlando di diritti umani però, pensiamo agli Usa, che si considerano la più grande democrazia del mondo. Si ascoltano conferenze sui diritti umani, e nello stesso tempo vengono violati quelli di 26 milioni di iracheni. Sono preoccupati per alcune persone in Siria, e dimenticano i diritti di 500.000 siriani nel Golan occupato. Il doppio binario non incoraggia i processi democratici». A che punto siamo, secondo lei, nella lotta al terrorismo internazionale? «Ogni crimine è terrorismo, dal basso all' alto, fino al terrorismo di Stato. Posso però dirle che la campagna contro il terrorismo ha prodotto importanti risultati, sia in Siria sia negli altri Paesi che lo combattono. Solo che il terrorismo ha compiuto progressi ancora più grandi dei nostri, perché è illusorio neutralizzarlo con i missili. Il terrorismo è uno stato mentale. Se non hai una mente razionale, non riesci a combatterlo. Questo è il problema. Vien da dire che la campagna contro il terrorismo (al di là delle intenzioni che condividiamo) rischia indirettamente di alimentarlo, offrendogli nuovo carburante. Ecco perché siamo tutti più esposti e vulnerabili ad altri attentati».




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