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Panorama Rassegna Stampa
30.09.2003 Trent'anni dopo Yom Kippur
Storia, polemiche, ed un libro indispensabile per capire ciò che avvenne

Testata: Panorama
Data: 30 settembre 2003
Pagina: 223
Autore: Simonetta Della Seta
Titolo: «Yom Kippur»
A tret'anni dalla guerra dello Yom Kippur esce da Mondadori il libro "La guerra dei sei giorni" di Michael B.Oren, storico israeliano. Il testo più completo ed esuriente sull'argomento. Pubblichiamo da Panorama del 2.10.2003 l'articolo di Simonetta Della Seta che rievoca quei giorni.
Yom Kippur la guerra persa all'inizio e vinta alla fine

Nel giorno dell'espiazione il governo laburista di Golda Meir fu colto alla sprovvista dall'attacco di egiziani e siriani. Poi il giovane generale Sharon disobbedì agli ordini e traversò il Canale di Suez, mutando il corso del conflitto

La chiamavamo la cucina di Golda, perché il nostro primo ministro, Golda Meir, radunava il gabinetto di guerra di fronte ai fornelli della sua modesta abitazione. Fu quel suo spirito di mamma ebrea a opporsi a una mobilitazione del paese il giorno del Kippur. Re Hussein di Giordania era venuto di nascosto fino a Tel Aviv per avvertirla che gli arabi avrebbero attaccato. Ma lei non volle togliere i padri alle famiglie durante la festa più solenne del nostro calendario. Pagammo cara quella scelta". Balfour Zapler, allora portavoce dell'esercito, ricorda minuto per minuto quelle ore che precedettero l'attacco e perfino "il durissimo sfogo di Yitzhak Rabin (a quei tempi ambasciatore di Golda a Washington) contro la miopia del suo primo ministro".
Un trauma che Israele non ha mai superato. Un tragico errore di valutazione strategica, mai perdonato né ai militari né ai politici. La guerra del Kippur, scoppiata il 6 ottobre di trent'anni fa con l'attacco, simultaneo e a sorpresa, degli egiziani a sud e dei siriani a nord, il giorno in cui gli israeliani erano raccolti nelle sinagoghe e nelle case per celebrare il giorno dell'espiazione, resta per molti versi una ferita aperta.

Fu uno spartiacque: tra un Israele che si riteneva invincibile e un Israele capace di sbagliare, di perdere vite umane, di doversi perfino ritirare territorialmente. Tra la sensazione di avere il mondo arabo ai propri piedi, conquistata nel giugno 1967 con la guerra dei Sei giorni, e quella di essere di fronte a una realtà militare e politica ben più complessa. Tra il significato di una vittoria territoriale assoluta, ottenuta appunto nel 1967, e il sapore di una sconfitta iniziale e traumatica, che si trasformerà però in una specie di vittoria, spianando la strada alla possibilità di negoziare una pace con il nemico principale: l'Egitto di Anwar el-Sadat.
La guerra del Ramadan (come viene chiamata in arabo poiché cadde nel mese santo dell'Islam) avrebbe dato ai nemici di Israele la sensazione di essere in grado di vendicarsi su chi li aveva umiliati sei anni prima. Un ritrovato orgoglio arabo, sul quale si sarebbero però poste le basi per la pace firmata sei anni dopo a Camp David tra Egitto e Israele. Accordo senza precedenti: avrebbe curato molte ferite della storia e tuttavia spaccato il mondo arabo, costando la vita, nel 1981, allo stesso Sadat.

"In realtà la guerra del Kippur rappresentò alla fine una vittoria ancora più importante di quella del 1967" spiega a Panorama l'opinionista israeliano Nahum Barnea "poiché i 2.700 soldati che sono morti hanno aperto l'opzione di una pace più vera e solida di quanto non abbia fatto la guerra precedente in cui li avevamo sbaragliati: gli arabi, se da un punto di vista demagogico l'hanno trasformata in un grande successo, hanno tuttavia capito che non sarebbero mai riusciti a batterci militarmente e che bisognava cercare vie diverse per convivere.
Furono loro a chiedere il cessate il fuoco, quando le nostre truppe si trovavano a 80 km dal Cairo. Quelle battaglie portarono noi all'idea di poter rinunciare al Sinai occupato. Ma allora nessuno ci chiese di tornare ai confini del 1967 in Cisgiordania. Mentre si rafforzò l'asse con gli Stati Uniti, i quali ci aiutarono, da una parte, con un ponte aereo (che faceva scalo nel Portogallo di Salazar), dall'altra minacciando i russi che appoggiavano sia Damasco che Il Cairo".
"All'inizio fu una catena di sbagli" ricorda il sergente maggiore Haim Gonen, che ha combattuto sulle due sponde del Canale di Suez. "Secondo un vecchio piano, non appena gli egiziani fossero entrati in acqua con quei gommoni prestati dai libici, avremmo dovuto riempire il canale di petrolio e poi dargli fuoco. Ma qualcuno aveva deciso pochi mesi prima di murare le bocchette che erano state preparate". "Superato Suez, l'esercito di Sadat prese a smantellare con gli idranti le nostre dune di difesa, sotto il fuoco battente dell'aviazione. Era l'inferno e per la prima volta si temette che potessero usare anche gas".

Yossi Berkovitch, infermiere specializzato in guerra batteriologica, fu inviato in prima linea con tutto l'equipaggiamento necessario. "Nel Sinai c'era un'unica strada tortuosa e ripida intasata di camion che andavano e venivano. Spesso si creavano incidenti mortali. I compagni ci dicevano: dove andate? Lì si muore e basta".
I 18 giorni di guerra dell'ottobre 1973 segnarono per lo stato ebraico cambiamenti i cui effetti durano ancora. Squalificarono un'intera classe politica laburista (persone note come Golda Meir, Moshe Dayan, allora ministro della Difesa, Aba Eban, agli Esteri) che fino ad allora aveva avuto il monopolio del governo. Benché la commissione d'inchiesta Agranat avesse accusato i vertici militari (soprattutto il capo di stato maggiore David Elazar, detto "Dado", e il responsabile del fronte sud Shmuel Gonen, detto "Gorodish") e avesse scagionato i politici, l'opinione pubblica non si lasciò convincere e, nel 1976, portò al potere un governo di destra guidato da Menachem Begin. La fiducia nell'apparato istituzionale si era incrinata: fiorirono i movimenti di protesta, a sinistra come a destra.
I dilemmi di quei giorni, i segreti e le angosce fanno ancora discutere Israele. Proprio quest'estate i due maggiori quotidiani, Yedioth Acharonoth e Ma'ariv, hanno fatto a gara nel pubblicare le cassette con la registrazione degli ordini militari trasmessi durante quella difficile campagna di difesa; si è discusso degli ordini ignorati da Ariel Sharon, giovane generale di spicco che decise contro la volontà di tutti di attraversare il Canale di Suez e aggirare le truppe egiziane da nord-ovest. Una mossa che suscitò polemiche a non finire, ma mutò il corso della guerra e il destino di Israele.

"Sapevamo che la scommessa di attraversare il Canale sarebbe costata la vita a molti di noi" racconta Amir Katz, uno dei paracadutisti che parteciparono all'azione. "Il generale Bar Lev stava preparando un attacco organizzato, ma Arik (Sharon) ci disse che non c'era altro tempo. Un'azione eroica nella quale Sharon portò tanta gente a morire ma che cambiò tutto". Un inviato di guerra spagnolo (che vuole restare anonimo) raggiunse di nascosto la prima linea quando ormai un'intera unità egiziana era stata accerchiata, non lontano da El Harish. "Il capitano israeliano che mi accompagnava era una bestia" ricorda "e forse la notte non esitava a infiltrarsi nelle linee nemiche per tagliare la testa a qualche egiziano, eppure mi pregò di non mangiare il mio panino di fronte agli occhi sgranati dei nemici. Non si insulta, mi disse, chi sta morendo di fame".
Henry Kissinger propose di fermare le truppe israeliane a 100 km dal Cairo. In quel modo, si convinse, non ci sarebbero stati vincitori. In molti, in Israele, protestavano per non aver potuto completare una battaglia ormai facile. Di fronte a quella strada sabbiosa vuota e mai percorsa nacquero però le premesse per una soluzione politica.







































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rossella@mondadori.it

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