Arafat, una acuta analisi La fa Barry Rubin, suo biografo non ancora tradotto in italiano
Testata: Il Foglio Data: 26 settembre 2003 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «O il rais o la pace»
Riportiamo l'intervista a Barry Rubin uscita sul Foglio del 26.9.2003 Roma. Barry Rubin non è di quelli che le cose le mandano a dire. E l’ha dimostrato nella sua visita a Roma, ospite del ministero della Difesa e della Fondazione Magna Carta che ha organizzato un incontro alla Luiss. Direttore del Centro globale di ricerca in affari internazionali all’Università di Herzliya, oltreché responsabile della Middle East Review of International Affairs, Rubin ha pubblicato una quindicina di libri e una biografia politica di Arafat, uscita un mese fa dall’Oxford University Press e ambita da più d’un editore italiano. Appena uno gli domanda quale sia il senso della proposta di esilio per Yasser Arafat, avanzata dal governo israeliano, Rubin puntualizza: "Il testo approvato dal governo Sharon dice che Israele ha diritto di deportare Arafat, perché la sua presenza si fonda sull’accettazione degli accordi di Oslo da lui stesso violati. Non dice che si sta per mandarlo in esilio. Sharon, in realtà, chiede al mondo una scelta: volete la pace? dovete fare a meno di Arafat o ridurne il ruolo. Volete Arafat? Non avrete la pace. Il mondo apparentemente ha scelto Arafat". Intanto, però, Arafat perde consensi tra i palestinesi: "Se la battaglia per sostituire Arafat è persa, quella per trovargli un successore è appena iniziata. I sondaggi rivelano due tendenze nell’opinione pubblica palestinese:mil sostegno a Arafat sembra ampio come in passato, eppure nella storia dei palestinesi non s’è mai dissentito apertamente e criticato Arafat come succede oggi. E sappiamo che a esprimere riserve in privato sono le stesse persone che lo difendono in televisione". Come spiega questa schizofrenia? "Arafat è al potere da trentacinque anni. Ha costruito il movimento palestinese, l’ha fatto conoscere al mondo intero, ma non è riuscito a ottenere vantaggi materiali per il suo popolo e nemmeno uno Stato. E’ un leader fallito. E il motivo del fallimento, al di là della sua personalità, sta nell’ostinarsi a voler controllare il paese dal Giordano al Mediterraneo. Arafat è convinto che sia meglio continuare a lottare per ottenere tutto, e tutto per lui significa porre fine allo Stato di Israele". In questo dunque si incontra con l’antisionismo della sinistra radicale europea? "Giorni fa ho incontrato una delegazione da un paese europeo. I palestinesi hanno una posizione nuova, mi hanno detto. Vogliono un unico Stato che incorpori Israele. Non è una posizione nuova, ho risposto. E’ quella che hanno sempre avuto. Quanto all’antisionismo dei radicali di sinistra, dobbiamo capire che il collasso dell’Urss e il discredito del marxismo ha portato a una grossa crisi nella sinistra. Come sostituire quel sistema che è fallito dopo 70 anni di storia? La risposta apparentemente è qualcosa che non ha nome. Ma in fondo indica gli americani e gli ebrei come i principali responsabili di tutti i problemi del mondo. La soluzione è un’Europa terzomondista che si opponga alla loro influenza". L’antisionismo dunque come ultima metamorfosi del militantismo di sinistra? "Sì, col paradosso che la sinistra europea si ritrova sulle stesse posizioni degli islamisti più estremi, siano essi nazionalisti fanatici o dittatori. Basta vedere il repertorio classico di denunce, menzogne e calunnie che investono gli ebrei e Israele". Non crede che l’Europa stia compiendo qualche passo per cambiare questo atteggiamento? "L’Europa ha varie posizioni in politica estera. Ma la politica europea in Medio Oriente è largamente controllata da Francia, Belgio e Germania. Ci sono anche l’Inghilterra, la Spagna, l’Italia e i nuovi paesi membri che forse cambieranno politiche. Ma intanto cosa muove la politica francese? Il desiderio di fare affari con gli arabi esportatori di petrolio, pensando di trarne vantaggi. La competizione con gli Stati Uniti, l’idea che sovvertendo la politica americana se ne possa incrinare l’influenza. Infine gli immigrati musulmani. Anziché integrarli, dargli lavoro, e trattarli degnamente, pensano di conquistarseli facendo a pezzi Israele".
"Abbiamo rischiato, e sono 800 morti" Non c’è stata una correzione di rotta col semestre italiano? "L’Europa, in teoria, vuole la stabilità in Medio Oriente. Di fatto però, condizionata dalla Francia, la mina. Scegliendo la linea morbida con Saddam Hussein, l’ha incoraggiato a essere più aggressivo. Lo stesso succede con Arafat. Nel 1993 l’Europa ci diceva: assumete rischi, fate concessioni, preparatevi a rinunciare ai territori, e vi sosterremo. Certo, la nostra politica non è stata perfetta, ma abbiamo permesso ad Arafat di tornare, di mettere insieme le forze, di riprendersi dei territori. Nel 2000 eravamo a un passo dalla pace, ma all’ultimo momento i palestinesi l’hanno rifiutata, con l’avallo europeo. Che prezzo pensate possa avere tutto questo? Noi israeliani vi stiamo a sentire, seguiamo il vostro consiglio, e il risultato sono 800 morti negli ultimi tre anni. Ci abbandonate quando le cose vanno male e pretendete che crediamo alle garanzie europee? Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.