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Il Foglio Rassegna Stampa
25.09.2003 Palestinesi e Iracheni
Due sondaggi sui quali riflettere

Testata: Il Foglio
Data: 25 settembre 2003
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: «Arafat Poll»
Informazione Corretta ha già dato notizia del sondaggio svizzero riprendendola dal Corriere della Sera. Oggi però il Foglio fa un interessante paragone tra quel sondaggio ed un altro che riguarda l'Iraq. Ci sembra quindi utile riprodurli entrambi. Tutti e due capovolgono i giudizi che la "grande stampa" ci offre sul Medio Oriente.

Ecco il primo sui palestinesi

Gerusalemme. La ricerca è stata condotta dall’Istituto per lo Studio e lo Sviluppo di Ginevra, i risultati sono chiari, non sono inediti, ma di solito restano sconosciuti, oppure, semplicemente, non contano. Però ci sono, e contrastano le immagini da Ramallah, dalla Mouqata circondata da scudi umani, donne e bambini in difesa della vita del vecchio rais complottista, il popolo che sarebbe pronto a tutto per difendere il suo profeta. Il quarantuno per cento dei palestinesi non si fida di nessuno dei dirigenti, a Yasser Arafat va soltanto il ventidue per cento dei consensi, con una differenza dagli altri, è un consenso per così dire trasversale, indipendente dall’appartenenza sociale;
il dodici per cento va ad Abdel Aziz Rantisi, ideologo e portavoce di Hamas, il
sei per cento a Marwan Barghouti, ispiratore della cosiddetta seconda Intifada, a giudizio di una Corte israeliana a Tel Aviv. I sostenitori di Hamas, organizzazione senza timore di dire la sua verità, che è la distruzione di Israele, vivono al sessantotto per cento sotto la soglia di povertà, quelli di Fatah, riconducibile ad Arafat e perciò più ambigua negli intendimenti, al cinquantatré per cento, e questo spiega il successo delle due organizzazioni
terroristiche, che funzionano bene nel settore di assistenza sociale, grazie
anche a lauti fondi dall’Occidente, Unione europea in testa. Rappresentano un
sostentamento, l’ideologia non c’entra. Barghouti, quello del sei per cento, è il simbolo dei più poveri, tra loro il suo sei diventa cinquanta. Nella classe media invece il cinquanta per cento se lo prende il premier dimissionato, nonostante l’appoggio israelo-americano, Abu Mazen. Gli Stati modello sono arabi, per il cinquantasei per cento, in testa l’Arabia Saudita, l’Egitto, poi la Siria, che viene per ultima quindi, ma non la Giordania; però agli Stati strettamente islamici va soltanto l’undici per cento dei consensi, in Europa c’è un solo Stato ritenuto accettabile per scelte politiche dal quarantasette per cento degli intervistati, è la Francia. Televisioni, anche qui conta il reddito, al Jazeera la vede solo il ventiquattro per cento, i benestanti, per il quarantuno per cento vale la tv palestinese, con i suoi messaggi di martirio, la carta geografica del Medio Oriente nella quale Israele non esiste. Eppure non basta a far piacere Arafat, non più.
Il secondo sull'Iraq
Ora che in Iraq è stata esportata la libertà sono arrivati anche i primi due importanti istituti di ricerca, la Zogby International e la Gallup. I sondaggisti americani hanno condotto separatamente, ma nello stesso periodo, le prime due indagini scientifiche per conoscere le opinioni degli iracheni. La
Gallup ha concentrato lo sforzo su Baghdad, dove i due terzi di un campione di 1.178 abitanti sostengono che la rimozione del dittatore sia valsa la pena di questi mesi. Il 67 per cento crede che, nonostante i problemi, entro cinque anni le loro vite miglioreranno rispetto a prima della guerra. A Baghdad, una
delle tre città dove resistono ancora i camerati del rais, preferiscono Jacques Chirac (42 per cento) a Bush (29) e Blair (20). Mentre l’immagine di Paul Bremer è positiva (47 per cento contro 22) e la sua azione da governatore
in netto miglioramento rispetto ai mesi precedenti. Anche il governo provvisorio piace ai cittadini di Baghdad (40 per cento). Ma la ricerca più interessante e completa è quella di Zogby International per conto dell’American Enterprise. E’ stata condotta in quattro diverse città Bassora (al Sud, sciita), Mosul (al Nord, un mix di curdi, turcomanni e assiri), Kirkuk (al Nord, curda) e Ramadi (nel triangolo saddamita e sunnita). Il risultato è sconvolgente. Gli iracheni sono ampiamente ottimisti sul loro futuro. Nel dettaglio: il 70 per cento si aspetta una vita migliore sia per sé sia per il proprio paese. Alla domanda su quale modello il nuovo governo iracheno dovrebbe seguire, oltre il 23 per cento degli iracheni sceglie quello statunitense, più di Siria, Iran ed Egitto messi insieme. La seconda scelta, col 17 per cento, è il modello saudita. Il sessanta per cento degli iracheni si
oppone alla creazione di un governo islamico, con il campione sciita, in teoria il più fondamentalista, ancora più fortemente contrario (66 per cento). Secondo questa ricerca l’Iraq è ampiamente laico. Il 43 per cento degli iracheni non va a pregare in moschea, l’11 per cento ci va un giorno la settimana e il 31 per cento quattro volte. Quando i ricercatori hanno chiesto se i capi del partito Baath colpevoli di crimini dovessero essere puniti oppure perdonati, il 74 per cento degli iracheni ha risposto di preferire la punizione dei gerarchi di Saddam. Sull’occupazione militare: il 31,6 per cento vorrebbe che gli americani lascino il paese in 6 mesi, il 34 per cento in un anno, il 25 per cento in due anni.
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