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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
23.09.2003 Il Sole24ore come il Foglio?
No, ma qualcosa di strano sta succedendo. Staremo a vedere

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 23 settembre 2003
Pagina: 7
Autore: Ugo Tramballi
Titolo: «Arafat più corruttore che corrotto si serve del denaro e ama il potere»
Sobbalziamo sulla sedia leggendo il titolo. Che sia arrivato un nuovo responsabile agli esteri? Mai letto un titolo simile sul Sole. E il pezzo di Ugo Tramballi? Siamo andati a leggere la firma non credendo ai nostri occhi. Tramballi folgorato sulla via di Ramallah? Eppure c'è scritto proprio Ugo Tramballi. Insomma un articolo degno del massimo plauso, anche se dice solo oggi cose che Informazione Corretta segnala da anni. Ma sono informazioni e cifre assolutamente originali per il quotidiano della Confindustria, abituato, con Tramballi, solo a criticare Israele. Straordinario quindi Tramballi, tranne verso la fine, dove deve essersi chiesto se a scrivere quelle cose non fosse impazzito. Con una capriola a 360 gradi Tramballi rovescia il significato di quanto detto prima e riabilita, se non proprio il rais, almeno la morale araba. Con questa chiusura che riportiamo perchè merita il premio "arrampicata sugli specchi 2003".
Che Arafat abbia sempre usato a modo suo gli aiuti internazionali e i magri redditi del bilancio palestinese, è certo. Che li abbia usati tutti impropriamente no. Rispondendo alle accuse israeliane, l'anno scorso un funzionario del Fondo monetario definì quello palestinese "il bilancio più trasparente del mondo". Nel sistema di potere palestinese, dove Arafat somma il suo comportamento da capo guerrigliero alla tradizione tribale e familiare palestinese, è il rais, non lo Stato che distribuisce ricchezza. Il denario dato per costruire una strada viene invece investito in un cementificio algerino; ma i guadagni di quell'operazione tornati in Palestina, eventualmente stornati di qualche zero, vengono utilizzati per costruire la strada. E' tuttavia Arafat, non il donatore nè il ministero dei Lavori pubblici, che la consegna al suo popolo. E' lui che distribuisce gli stipendi ai poliziotti come un sultano l'obolo di guerra ai soldati fedeli. Anche quando i donatori internazionli hanno preteso trasparenza, e dopo che il processo di pace è stato travoloto dall'Intifada, questo sistema non ha mai smesso del tutto di funzionare.
E ora riportiamo il testo integrale dell'articolo di Ugo Tramballi. I nostri lettori potranno ammirare il "nuovo" Tramballi.
"La famiglia al-Turky ringrazia Sua Eccellenza il Presidente dell'Autorità palestinese per aver concesso al cugino Bassam l'onore di diventare direttore generale del tal dipartimento del tal ministero". Nei giorni più felici, prima dell'Intifada, era comune trovare di questi messaggi sui giornali palestinesi: più importante era la famiglia o l'incarico, più visibile l'annuncio. Questo era e - compatibilmente col caos del conflitto - ancora è, il sistema di governo di Yasser Arafat: non era il parlamento che votava, il dipartimento che assumeva o il ministro che finanziava. Era lui, Abu Ammar, che dava.
Essendo sempre stato così, non stupisce la notizia venuta da Dubai, dove il rappresentante del Fondo monetario nei Territori ha spiegato che 900 milioni di dollari di fondi pubblici sarebbero finiti in un conto speciale di Arafat. Nemmeno l'Fmi chiarisce se kla sua è una denuncia o una constatazione: il rappresentante, Karim Nashashibi, non nega e non smentisce che quei soldi possano essere stati usati per scopi illegali. Dice che le informazioni gli sono state fornite dagli stessi paelstinesi, grazie al ministro delle Finanze Salam Fayad, "esempio di trasparenza e apertura". Per questo gli americani vogliono che Abu Ala, se riuscirà a comporre un governo, dia a Fayad anche l'incarico di vice premier.
La curiosa incertezza dell'annuncio del Fondo è il risultato del buio che ha sempre circondato il modo di Arafat di gestire le cose palestinesi negli anni dell'esilio o in quelli del ritorno. Con una certa dose di continuità, i secondi non sono mai stati diversi dai primi. E' la colpa di Arafat, incapace di passare dal ruoolo di fedayin a quello di statista. Un sistema di potere come il suo garantisce intrinsecamente la corruzione, spesso la rende invisibile e tuttavia la pone sempre in un campo oscuro dove illegalità e legittimità si confondono.
Diversamente da ciò che dicono gli israeliani, Arafat non è mai stato avido di ricchezze ma di potere. Tra un bunker, la precarietà di un ufficio dal quale spesso doveva fuggire in fretta, e la Muqata di Ramallah che non era una reggia nemmeno prima dei bombardamenti israeliani, il capo palestinese ha vissuto una vita da asceta della politica. Più che un corrotto è un corruttore: distribuendo denaro, ha sempre permesso ai suoi di arricchirsi spesso indebitamente, per poterli controllare. Dal 1994, quando è nata l'Autorità palestinese, a oggi, l'Unione europea da sola ha donato ai palestinesi circa 1,5 miliardi di dollari. Ancora l'anno scorso, quando gli Usa avevano decretato l'irrilevanza di Arafat, la Ue aveva garantito altri 10 milioni di euro. Dall'inizio del processo di pace gli Stati Uniti hanno sempre sborsato molto meno: nel 2001, l'ultimo anno prima di decidere il congelamento degli aiuti, gli Usa avevano finanziato per 114 milioni di dollari progetti affidati all'Onu, alla Banca mondiale e ad altre organizzazioni non governative. La conferenza dei donatori, a Parigi nel 1994, aveva sancito una divisione del lavoro: gli Usa avrebbero guidato il processo di pace, gli europei la ricostruzione palestinese. Molto di più ma anche in modo meno trasparente è stato donato dal mondo arabo. Con lo scoppio dell'Intifada, al vertice della Lega araba di due anni e mezzo fa, erano stati stanziati due fondi per oltre un miliardo di dollari. I sauditi, principali donatori, imposero però che il denaro non venisse dato ad Arafat ma depositato nella Banca per lo sviluppo arabo e sborsato alla presentazione dei progetti. Nemmeno gli arabi si fidavano più di Abu Ammar.

Che Arafat abbia sempre usato a modo suo gli aiuti internazionali e i magri redditi del bilancio palestinese, è certo. Che li abbia usati tutti impropriamente no. Rispondendo alle accuse israeliane, l'anno scorso un funzionario del Fondo monetario definì quello palestinese "il bilancio più trasparente del mondo". Nel sistema di potere palestinese, dove Arafat somma il suo comportamento da capo guerrigliero alla tradizione tribale e familiare palestinese, è il rais, non lo Stato che distribuisce ricchezza. Il denario dato per costruire una strada viene invece investito in un cementificio algerino; ma i guadagni di quell'operazione tornati in Palestina, eventualmente stornati di qualche zero, vengono utilizzati per costruire la strada. E' tuttavia Arafat, non il donatore nè il ministero dei Lavori pubblici, che la consegna al suo popolo. E' lui che distribuisce gli stipendi ai poliziotti come un sultano l'obolo di guerra ai soldati fedeli. Anche quando i donatori internazionli hanno preteso trasparenza, e dopo che il processo di pace è stato travoloto dall'Intifada, questo sistema non ha mai smesso del tutto di funzionare.


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