La colpa di Israele e la popolarità di Arafat: gli argomenti preferiti del settimanale cattolico
Testata: Famiglia Cristiana Data: 22 settembre 2003 Pagina: 14 Autore: Guglielmo Sasinini Titolo: «Le minacce di Sharon, un regalo ad Arafat»
Non è una novità per il settimanale cattolico colpevolizzare Israele e "difendere" Arafat.
E’ sempre più raro leggere articoli obiettivi che offrano una chiave di lettura storicamente corretta del conflitto israelo-palestinese, rappresentando altresì i fatti come realmente accadono e non secondo la propaganda filopalestinese.
Commentiamo alcuni punti salienti dell’articolo che offrono peraltro lo spunto per una breve riflessione sulla figura dell’"Intramontabile" Raiss. Non è la prima volta che il governo israeliano ridà vita ad Arafat: nel settembre 2002, quando l’esercito aveva circondato il quartier generale dell’Autorità palestinese,
dove all’interno trovavano rifugio numerosi terroristi responsabili di stragi
Arafat era riuscito a rinnovare l’attenzione internazionale nei suoi confronti,
forse perché per buona parte dell’opinione pubblica internazionale il viso "smunto" di Arafat suscitava maggiore pietà dei corpi straziati degli innocenti che i kamikaze palestinesi - finanziati dallo stesso Arafat - facevano saltare in aria?
l’esercito israeliano aveva imparato la lezione, ma ora il Governo di Sharon sembra averla dimenticata. La mancanza di un programma politico
anche in presenza di un programma politico risulta difficile attuarlo quando ogni settimana si devono contare decine e decine di morti
e la difficoltà di trovare risposte soddisfacenti contro il terrorismo fanno sì che la volontà di reagire porti la leadership israeliana a decisioni di questo tipo. Dopo le dimissioni di Abu Mazen e l’insediamento di Abu Ala, Sharon avrebbe avuto interesse ad attendere gli avvenimenti, invece ha annunciato platealmente una operazione che, normalmente, viene prima attuata e poi annunciata. Il giornalista glissa elegantemente su alcuni dettagli: Abu Mazen, uomo politico moderato ben accolto dagli americani e dagli israeliani, intenzionato ad attuare la Road Map è stato in realtà umiliato e silurato da Arafat; le sue dimissioni non sono state altro che una conseguenza ineluttabile degli ostacoli che Arafat gli ha frapposto nei suoi cento giorni di governo e che in buona sostanza gli hanno reso impossibile governare. "L’insediameno di Abu Ala" poi non deve trarre in inganno: si tratta di un uomo di Arafat che non farà mai nulla che possa metterlo in attrito con chi lo ha insediato alla testa del governo. Di fatto Israele non sa cosa fare,
del resto qualunque azione intraprenda per il consesso internazionale...è comunque sbagliata!
Mentre Arafat, imbaldanzito dal sostegno ricevuto, è tornato a recitare sé stesso, baci lanciati dalla finestra ai dimostranti che inneggiano a lui come al grande raiss, bellicose dichiarazioni contro Israele.
Il piccolo uomo con la kefiah che il giornalista Enzo Bettiza ha il coraggio e l’onestà di definire "consumato maestro dell’intrigo", Fenice infida dell’infido universo palestinese"
è soddisfatto perché sa che la sua miglior difesa è quell’attenzione mondiale che è riuscito a suscitare grazie all’inatteso regalo di Sharon.
In realtà grazie alla reiterata miopia del mondo occidentale che si rifiuta di vedere nel raiss palestinese il capo terrorista, l’alleato e il finanziatore dei gruppi armati integralisti. Dopo l’operazione Muro di Difesa furono trovati documenti che attestavano il suo coinvolgimento con il terrore: anche allora l’occidente "pacifista" (e di sinistra) prese le sue difese. Nonostante a parole abbia più volte condannato gli attentati kamikaze, Arafat non ha mai davvero rinunciato alla violenza illudendo le folle palestinesi che tutte le loro aspirazioni si sarebbero realizzate; e, se non era possibile al tavolo negoziale, il ricorso alla lotta armata diventava "giusto" e perseguibile. Arafat non si è mai confrontato con le sue responsabilità, l’unica sua preoccupazione era ciò che avrebbe potuto strappare agli israeliani, mai ciò che avrebbe dovuto concedere. E quando nel luglio del 2000 a Camp David si è trovato dinanzi alla possibilità di dare uno Stato al suo popolo ha opposto un netto rifiuto alle generose offerte di Barak, l’allora premier israeliano. Se avesse accettato avrebbe evitato migliaia di morti sia palestinesi che israeliani ed il suo popolo avrebbe ora uno Stato; ma cosa ne sarebbe stato del suo potere e della sua identità che traggono linfa dalla lotta, dalle incessanti rivendicazioni e da un conflitto perenne? A chi obietta che Arafat è il capo prescelto dai palestinesi ed è con lui che occorre dialogare, vorremmo riportare una frase dell’ambasciatore americano Dennis Ross che ha guidato i negoziati per la pace in Medio Oriente sia con Bush padre che con Bill Clinton:
"Solo i palestinesi possono scegliere il loro leader, ma il resto del mondo può decidere di non trattare con un leader che non rispetta gli impegni presi. I governi del mondo possono dire con chiarezza ai palestinesi che riconoscono le loro legittime aspirazioni, ma che queste aspirazioni possono essere sostenute solo con strumenti politici, non con la violenza, e che potranno essere realizzate soltanto quando i palestinesi avranno capi che si assumono le loro responsabilità in materia di sicurezza, e dichiarino che gli attentatori suicidi sono nemici della causa.
…Nessuna pace durevole potrà essere raggiunta fino a che i leader palestinesi non parleranno con chiarezza all’opinione pubblica, non resisteranno alla tentazione di accusare Israele o il mondo esterno di ogni male, non si assumeranno la responsabilità di prendere decisioni difficili e non difenderanno queste ultime di fronte agli oppositori". Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Famiglia Cristiana. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.