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Il Foglio Rassegna Stampa
19.09.2003 Chi è Faruk Kaddumi, il capo di Nemer Hammad
e perchè gli Abu Mazen perderanno sempre finchè c'è Arafat

Testata: Il Foglio
Data: 19 settembre 2003
Pagina: 4
Autore: Carlo Panella
Titolo: «Il ministro ombra»
Un plauso deciso a Carlo Panella. Il suo ritratto di Faruk Kaddumi e dei giochi che si svolgono nel teatrino sanguinante di Arafat è magistrale.
Roma. Nemer Hammad, delegato generale, ambasciatore dell’Autorità nazionale
palestinese a Roma, come tutti i rappresentanti dell’Anp nel mondo, non rende conto, non dipende politicamente dal ministro degli Esteri palestinese, ma da Faruk Kaddumi, il più intransigente e determinato avversario degli accordi di pace del 1993, legato, dichiaratamente, a filo doppio con la politica intransigente e antiebraica della Siria, che si rifiuta di risiedere nel territorio dell’Anp per sottolineare la sua contrarietà agli accordi di Oslo.
Kaddumi esercita il controllo su tutta la rete diplomatica palestinese quale responsabile del dipartimento politico dell’Olp – che è un’organizzazione politica, non statuale, che non rappresenta affatto tutti i partiti palestinesi – in una situazione di totale anomalia politica e formale, una delle tante volute da Yasser Arafat.
Questa situazione era nota, ma è diventata drammatica dal 6 settembre scorso,
quando l’ex premier Abu Mazen l’ha violentemente denunciata davanti al Parlamento palestinese, quale causa – e tra le prime – del fallimento del suo governo: "Ho nominato Nabil Shaat ministro degli Esteri dell’Anp e ho chiesto al presidente Yasser Arafat di affidargli la responsabilità delle ambasciate dell’Olp, togliendola a Faruk Kaddumi, ma il rais non l’ha fatto. La vittima è la diplomazia palestinese, perché non si può prendere alcuna iniziativa. Le nostre ambasciate non sono sotto la nostra responsabilità, ma allora perché abbiamo un ministro degli Esteri?".
Tra tutte le pesantissime accuse che il premier deposto ha rivolto contro Arafat questa è apparentemente la meno grave, la più formale, ma invece è centrale, perché rivela in pieno la strategia di voluto boicottaggio degli stessi accordi di Oslo del 1993 sempre e ancora perseguita dal rais. La lucida determinazione di Yasser Arafat di svuotare dall’interno la logica di quegli accordi appare evidente da subito, dal momento stesso in cui lascia la direzione dei rapporti internazionali proprio nelle mani di quel Kaddumi che è stato il leader dell’opposizione al processo di pace, che perse solo con un "piccolo margine" (come rivela Nemer Hammad) la votazione nel Consiglio nazionale palestinese che sanciva l’accordo di Oslo, che è apertamente sostenitore delle linee oltranziste del Baas siriano, che addirittura si rifiuta di riconoscere l’esistenza dell’Autorità nazionale palestinese e risiede a Tunisi. Non solo, nel 2003, quando anche la seconda Intifada fallisce, quando si sigla la tregua estiva con Sharon, quando i rapporti internazionali sono determinanti per gestire lo sviluppo della road map, Arafat nega al premier Abu Mazen il controllo dei rapporti con l’Unione europea e con gli Stati arabi e permette a Kaddumi di condurre il suo gioco di sabotaggio. Gioco pesante, inequivocabile, come risulta dalla sua convocazione – a Tunisi naturalmente – di tutti gli ambasciatori dell’Ue, il primo settembre scorso, a pochi giorni dalle sanguinose stragi di terroristi palestinesi in Israele, per "sollecitare all’Europa sanzioni economiche contro il governo di Ariel Sharon per obbligarlo a rispettare i suoi impegni sul processo di pace, ad applicare gli accordi ratificati e a ritirarsi dai territori palestinesi occupati". Un diktat all’Unione europea in piena continuità con la tradizionale linea di capitalizzazione delle azioni terroriste, da quarant’anni perseguita dall’Olp, totalmente dissonante dalla ricerca di credibilità e di linee di mediazione realistiche perseguita da Abu Mazen, non ultima ragione, come denuncia lo stesso ex primo ministro, delle sue dimissioni non libere. Mentre Arafat si rivolge a Damasco D’altronde Kaddumi non ha mai nascosto la sua strategia: il 26 marzo del 2002, alla vigilia del vertice della Lega araba di Beirut che doveva approvare il piano di pace saudita, dichiarò che non di pace, ma di guerra, ha bisogno la Palestina: "Noi non abbandoneremo la resistenza armata e chiediamo al vertice arabo di sostenere l’Intifada con tutti i mezzi necessari". Dichiarazione di aperta sfida alla "pacificazione" timidamente perseguita dalla Lega araba e ancora più minacciosa perché resa dal ministro degli Esteri dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina nella sede di Beirut
di Hezbollah, fianco a fianco del suo leader Hassan Nasrallah, che ha sempre sostenuto di volere liberare la Palestina dal fiume (il Giordano) al mare: spazzando cioè Israele dalla faccia della terra. Ma l’attacco di Abu Mazen a Kaddumi non è stato soltanto rivolto al passato: è infatti oggi evidente e pienamente operante il riavvicinamento – dopo anni di gelo – tra Arafat e il presidente siriano Bashar Al Assad, con un rinnovato asse con Damasco che deve sostituire quello, sempre incerto, con il Cairo (grande sponsor di Abu Mazen) e il ministro degli Esteri Kaddumi è l’esplicito tessitore di questa rinnovata strategia e di questo ritrovato accordo siro-palestinese, sempre nel segno della guerra, dell’oltranzismo, dell’appoggio al terrorismo.
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