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La Stampa Rassegna Stampa
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Testata: La Stampa
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Pagina: 1
Autore: Vincenzo Tessandori
Titolo: ««Che bello questo giorno senza paura»»
ALLA MALPENSA SBARCATI 25 CHARTER (DUE CIVETTA), POI SHOPPING NELLE VIE DI MILANO PRIMA DEL MATCH

«Che bello questo giorno senza paura»

Inviato a MILANO NON lo dicono soltanto gli occhi, che sono verdi, sorridenti e guardinghi, ma lei è ruzzolata qui non solo per seguire il pallone. Indossa la maglietta dell´Hapoel, tutti la portano sulle spalle e per ore piazza del Duomo, via Mercanti, la Galleria, piazza della Scala, insomma il cuore del cuore di Milano, hanno visto scivolare enormi macchie rosse. «La partita, sì, l´Hapoel, certo. Ma quello che cercavo era un po´ di normalità, camminare per strada senza dover temere ogni volta che incroci uno sconosciuto». Gana Avnoi ha 23 anni, abita a Ranana, città di 80 mila abitanti, venti chilometri a Nord di Tel Aviv. Casalinga, è una tifosa che vanta pochi gettoni di presenza al Blumfield, che è la roccaforte dei «rossi», nessuno fuori casa: non come il fratello Avi, che ha 25 anni, è studente d´ingegneria e ride agitando una bandiera a scacchi bianchi e rossi e dice, beato, che «questa partita è la cosa più importante dell´anno». Un po´ di normalità. Ma che cosa vuol dire «un po´» di normalità. Arrivare in aereo ed essere accolti da uno schieramento di polizia, tuffarsi in un Paese dove due giorni prima i terroristi hanno ammazzato per strada un professore seguendo disegni tutti loro, così differenti da quelli tracciati dai «mechablim», perché loro li chiamano così i palestinesi che hanno scelto la via delle armi, «mechablim». Un attentato, un morto ammazzato. «Uno? Come uno?», domanda senza ironia Slome Nahbhon, 39 anni, elettricista, di Tel Aviv, capelli cortissimi, abbronzato. Non lo sa nessuno che le Brigate rosse son tornate a colpire, ma tutti hanno ricevuto la notizia dell´uomo bomba che poche ore prima, a Gerusalemme, un palestinese ha assassinato 2 persone ed è stato come tornare in un´altra normalità, quella quotidiana, disperata. E allora, tutti a chiamar casa col cellulare perché, anche se stavolta non è successo nella tua città, è sempre possibile che quella bomba abbia colpito un tuo amico, un parente, qualcuno che conosci. Seicento dollari tutto compreso per 72 ore di normalità italiana, il viaggio con l´aeroplano, il biglietto d´ingresso a questo monumento chiamato da qualcuno la Scala del calcio. Chi ha scelto la combinazione economica di dollari ne ha sborsati 444: andata e ritorno, atterraggio a Malpensa, bus, gita sui laghi, stadio, partenza. Un ritmo forsennato? Certo, ma se si trattasse di giapponesi sarebbe soltanto una giornata di ordinaria follia: del resto loro sono capaci di visitare l´Europa in una settimana. Tutto compreso o, forse, tutto escluso: non è mai stato ben chiarito questo punto. Ma gli israeliani sono mediterranei, dunque diversi: al Giappone, oggi, li lega soltanto la bandiera, che molti stringono in pugno. Ed è quella di guerra, con in mezzo il sole e grandi raggi. Scelta soltanto per il bianco del fondo e il rosso del disco. «I colori della nostra squadra», protesta, per niente intimidito, Sasi Bahri, 23, futuro avvocato. Sono i giorni della pasqua ebraica, questi, e lui, con l´amico Aiai Shom, 24, ha sborsato 620 dollari per quattro giorni di «normalità». Che vogliono dire shopping tranquillo, foto col Duomo o la Scala, quella vera, alle spalle, un panino, qualche birra, il bus o una camminata di alcuni chilometri fino allo stadio.
Dicono che l´altra sera un giocatore dell´Hapoel, entrato per l´allenamento, abbia commentato: «Mi sento come un pittore dilettante a cui hanno organizzato una mostra in una grande galleria di New York». E anche il presidente della società, Moshe Teomin, ha confessato di aver provato un brivido alla schiena quando ha portato sul campo la figlia Galit e i nipotini Itali, che è un maschietto di nemmeno 2 anni, e Mia, sei mesi. «Per fargli sentire l´erba sotto i piedi».
Quattro anni fa gli hanno regalato un libro sui 100 santuari del calcio mondiale, San Siro è fra i primi cinque: «Sognavo di entrarci, una volta o l´altra, magari da spettatore. Ma come protagonista era un sogno». Cinque, forse ottomila. O, magari, «10 mila, siamo 10 mila», come assicura Gal Sokolovski, 28 anni, di Ramat Gan, un mestiere a rischio: guida uno scuolabus. Indossa una maglia col numero 14, ma non è in onore di Johann Cruijff, che portava sempre quel numero. Lui ne ha soltanto sentito parlare, della stella di Amsterdam, ma non ha dubbi: «È meglio Tikva, il nostro 14». E sul petto porta stampata la foto del «diamante dei diavoli rossi». Sono le cinque della sera, manca ancora un´eternità al calcio d´inizio e Sokolovski è in attesa al cancello 39 dalle 8 di mattina. Questo è «normalità», oppure ordinaria follia, non importa. Fra quelli dell´Anabasi che inseguono un giorno sereno, c´è Haim Ramon, ex ministro del governo laburista, col figlioletto David. Venticinque voli da Israele, ieri gli ultimi otto, sei aerei pieni e due vuoti, a far da specchietto per le allodole, l´ultimo ha toccato la pista di Malpensa alle 14,50. In perfetto orario. Poi finisce 2-0 per il Milan. E anche questo è «normalità».


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