Testata: La Stampa Data: 07 dicembre 2001 Pagina: 1 Autore: FIAMMA NIRENSTEIN Titolo: «Ostacolo Arafat»
Tregue non rispettate, ripensamenti, nessuno sforzo concreto per fermare davvero gli attacchi suicidi contro Israele. Le ultime mosse, però, potrebbero rivelarsi fatali per il rais di Gaza.
Yasser Arafat Ci voleva Osama Bin Laden per mettere Yasser Arafat nei guai seri, per denudarlo rispetto al dilemma fra essere Mister Palestina, tutta la Palestina, Hamas compreso, e lo statista ricevuto con onore in tutto il mondo, il presidente che cerca un compromesso di pace. Ci voleva Bin Laden per mettere in forse la poltrona di Abu Ammar. Adesso che i suoi elicotteri giacciono bruciati sulla pista di atterraggio vicino alla villa a due piani di Gaza e Arafat non può volare dal presidente egiziano Hosni Mubarak a chiedere aiuto; adesso che Israele ha centrato un edificio a 20 metri di distanza dal suo ufficio a Ramallah con un missile beffardo che avrebbe potuto prendere una strada diversa («Sappiamo colpire preciso quando vogliamo» dice il portavoce di Sharon, Avi Pazner), Arafat potrebbe davvero essere giunto al capolinea.
La sequela di attentati terroristici che in poche ore hanno fatto 30 morti e 200 feriti fra gli israeliani segna una svolta: la questione palestinese diventa parte della questione terrore; mentre conduce la sua guerra contro il terrorismo in Afghanistan , George Bush non ha potuto fare a meno di dare ad Ariel Sharon una luce verde per proteggere i suoi cittadini; non ha potuto fare a meno di bloccare i soldi della Holy Land foundation , roba di Hamas; si è raffreddato l'entusiasmo con cui, credendo di evitare il sospetto di una guerra di religione, l'amministrazione aveva evocato tre volte in un mese la «necessaria creazione di uno stato palestinese».
Dando ad Arafat un'ultima chance a cui gli israeliani non credono più, il presidente degli Stati Uniti spera ancora in quello che Arafat non ha potuto e/o voluto fare nei mesi della seconda intifada: arrestare i veri terroristi, disarmarli, distruggere le loro infrastrutture, porre fine all'incitamento alla violenza. Ma è una richiesta realistica? O la fine del rais è già nelle cose? Arafat è destinato a prendere di nuovo la via dell'esilio, o, peggio ancora, a sparire dalla scena politica per lasciare quel ruolo simbolico che gli appartiene forse già da quando nel '58 fondò Al Fatah in Kuwait ?
Da quando si è sistemato sulla spalla destra la kefia , Arafat ha dovuto fare le valigie molte volte, La sua vita è sballottata a destra e a manca da quando da piccolo, dopo la morte della madre al Cairo , dove è nato il 4 agosto del 1929, fu spedito a casa di uno zio a Gerusalemme . Un famoso psicologo, Shaul Kimhi , autore di un nuovo studio sul rais, dice che «Arafat ha imparato da piccolo a contare solo su se stesso» e che ha interiorizzato in maniera indelebile l'idea che «i palestinesi sono vittime che il mondo deve comprendere e ricompensare»; «l'influenza dei fatti esterni su Arafat è minima, le azioni militari, la pressione degli Usa, la sofferenza del suo popolo hanno scarsa influenza sulle decisioni politiche del capo» .
In realtà, durante questi mesi di intifada Arafat avrebbe potuto fare molto per stabilire quei sette giorni di calma che avrebbero potuto ripristinare i colloqui. Ma la sua ispirazione suprema è l'identificazione con il suo popolo: Arafat ha lasciato fare sentendosi scavalcato dai cosiddetti giovani, ex capi della prima Intifada, mai stati in esilio, amati dalla base di Gaza e della West Bank : come Jibril Rajub , capo della polizia, o Mohammed Dahlan capo della Sicurezza preventiva, o Marwan Barghuti , capo dei tanzim.
Arafat scelse 15 mesi fa la strada della lotta armata quando ormai l'accordo sembrava nelle sue mani. Ubbidiva a un'opinione pubblica già infestata dall'integralismo islamico. Per quanto buona, la pace con Ehud Barak e l'abbraccio americano sarebbero sembrati un tradimento. Dal gran rifiuto di Camp David , la condotta di Arafat risente da una parte del quadro moderato e di un'ottima politica di pubbliche relazioni, come quando va a donare il sangue per i feriti delle Twin Towers , o quando cancella anche nel sangue ogni segno di giubilo filo Bin Laden . Giocano qua i «vecchi» , gli Abu Allah , gli Abu Mazen , e anche i più giovani Sarin Nusseibah e Ziad Abu Ziad . Ma il popolo sente la grande insorgenza islamica, soffre la miseria, la chiusura, le morti, e considera martiri i terroristi suicidi. Arafat non interviene.
I cessate il fuoco vengono tutti violati, anche dentro Al Fatah e fra i tanzim cresce la malattia del terrorismo suicida, l'odio antisraeliano in seguito alle dure rappresaglie di Sharon si fa sempre più forte, il pregiudizio antiebraico si estende specie fra i religiosi ( «Uccidi gli ebrei ovunque si trovino» predicavano i mufti nelle moschee, gli ebrei venivano descritti come «figli di maiali e porci» , mentre gli israeliani diventavano dei mostri col naso adunco e le mani grondanti sangue).
Sangue e buone intenzioni. Lo sceicco Ahmed Yassin, capo di Hamas, assieme al leader dell'Olp Yasser Arafat. Arafat non ha rifiutato affatto la retorica degli «shahid» , i martiri suicidi, e anzi li ha esaltati. Ma i toni altissimi a casa non impedivano ad Arafat di viaggiare nel mondo perorando la causa palestinese e il ritorno al processo di pace. Ma Mister Palestina non arrestava nessuno e la sua «unità nazionale» restava in piedi, Hamas compresi, estremisti compresi. Dice Ziad Abu Ziad: «È colpa di Sharon, che non lascia intravedere al popolo spiragli, lo porta alla disperazione» . Ma l'illusione che il terrore potesse restare sullo sfondo del conflitto non ha funzionato: Arafat è di nuovo nell'angolo, di nuovo ha tirato troppo la corda, come con i giordani, da cui subì il Settembre nero; con i siriani, che hanno ingaggiato con i palestinesi vere battaglie nel nord del Libano; con gli israeliani quando lo hanno cacciato da Beirut fino in Tunisia. Arafat però, è un survivor eccezionale, uno che quando il suo aereo è caduto si è salvato.
Stavolta gli viene però a mancare il supporto internazionale, la sua stampella. Ma anche quando un commando terrorista palestinese uccise gli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel '72, dopo una collana di stragi e sequestri di aerei, sembrava avesse esagerato. E invece furono gli israeliani stessi a riportarlo a casa con il processo di pace.
Le mosse che Arafat intende fare nelle prossime ore per cercare di salvarsi corrono ancora su due corsie che potrebbero essere in rotta di collisione: prima di tutto, come ha subito dichiarato alla Cnn, il rais intende «fare il 100 per cento dello sforzo» per bloccare il terrorismo. Ma gli arresti, svariate decine, compiuti sinora, sono stati definiti dai portavoce dell'esercito israeliano un «nuovo giochetto» . «Neppure uno dei 180 terroristi nella nostra lista dei ricercati è stato per ora fermato da Arafat» dicono gli ufficiali israeliani. Arafat, ammaestrato dagli spari delle guardie del corpo di alcuni esponenti di Hamas da lui mandati ad arrestare, come El Hindi, e impressionato dalle manifestazioni di popolo a loro favore, si è di fatto per ora tenuto ben lontano dai «pesci grossi» .