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La Stampa Rassegna Stampa
21.12.2001 PLAUSO A... FIAMMA NIRENSTEIN
Plauso alla Stampa

Testata: La Stampa
Data: 21 dicembre 2001
Pagina: 1
Autore: PLAUSO A... FIAMMA NIRENSTEIN
Titolo: «UN FUNAMBOLO INNAMORATO DI SE STESSO»
RACCONTANO che Xavier Solana, richiesto a margine della sua ultima visita in Medio Oriente che intenzioni avesse Arafat, abbia risposto: «Io sono un fisico, non uno psicanalista».
Ed è in verità mirabile nella sua oscurità questo protagonista del nostro tempo. Ultimi due eventi: Arafat sabato davanti alle telecamere proclama una tregua, impone a Hamas di cessare dal terrore, esclama che ogni violazione sarà intesa contro di lui. E qualcosa si muove: 33 sedi di Hamas sono state chiuse nelle ultime 48 ore. Per quel che può valere, Hamas dichiara di sospendere gli attacchi suicidi. Tuttavia, i pesci grossi restano al largo. Però Arafat che fa martedì? A una grossa manifestazione dichiara che è pronto a «sacrificare 70 vite di palestinesi per un israeliano», che «siamo tutti martiri pronti al paradiso» e con formula davvero sinistramente contemporanea: «Difenderemo col sangue e con l'anima la terra santa». A quel punto la folla scandiva lo slogan: «Milioni di palestinesi sono pronti a marciare da martiri su Gerusalemme». «Martiri» nel linguaggio corrente in generale vuol dire oggi terroristi suicidi. Arafat, secondo uno studio psicanalitico, è totalmente identificato con la Palestina, ed è «totalmente determinato», dice, a raggiungere il suo fine. È anche un uomo dalla biografia controversa, la sua commistione da una parte col terrorismo e nello stesso tempo col processo di pace, la doppia lingua per conservare il consenso internazionale e il supporto del suo popolo sono stati la sua fortuna. Riesce a farsi considerare una vittima mentre comanda, e a dimostrasi un capo intoccabile quando è in difficoltà. Ammaestra Colin Powell a dichiararlo un interlocutore indispensabile, mentre proclama il «martirio» organizzato. Ma il funambolismo ha un limite in se stesso. È innamorato di sé stesso, e quindi datato. Ovvero: Arafat narcisisticamente non vorrà mai essere il traditore del suo popolo che ora al 64% sostiene il terrorismo e all'80% vuole continuare l'Intifada. Così, evoca la parola magica del vittimismo-trionfalismo: «Martire», «shahid». Una parola che risuona in tutto l'Islam. Nel proclamare la marcia su Gerusalemme, però, fa sbagli antichi, che sono costati cari al mondo arabo: Nasser nel `56 era sicuro di distruggere Israele e di unire tutta la nazione araba, Saddam nel `91 si illudeva di vincere addirittura gli Stati Uniti, Gheddafi e gli ajatollah hanno ripetuto mille volte che l'Occidente imperialista perderà, perché non ha il coraggio di combattere eccetera. Questa retorica è falsa, e quindi porta a sconfitte. Arafat, che pure intuisce la necessità di venire a un compromesso, ne dà segno, ma non rinuncia al consenso interno. La sua immagine storica glielo richiede. Quello che gli sfugge è che il funambolismo non funziona più, dopo l'11 settembre. L'Occidente non scherza col terrore, e ha meno paura di combattere, oggi. Che accadrà se quell'esercito di martiri che evoca si mette davvero in moto? Lo batterà lui stesso, con la sua polizia? Troppo difficile anche per lui. La sua strategia per quanto sottile somiglia sempre di più a una deiezione psicologica.

Fiamma Nirenstein



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