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La Stampa Rassegna Stampa
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Testata: La Stampa
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Pagina: 1
Autore: FIAMMA NIRENSTEIN
Titolo: «LA MACCHINA INARRESTABILE DEI KAMIKAZE»
IL segnale che gli americani mandano ad Arafat mettendo fra le organizzazioni terroristiche le Brigate Al Aqsa, che appartengono proprio ad Al Fatah e che ormai rivendicano con i Tanzim (altra organizzazione vicina ad Arafat) la maggior parte degli attacchi suicidi, è un avvertimento molto deciso. Ma chissà se basterà. Arafat sembra avere una determinazione strategica: saltare gli accordi Tenet che lo costringono a smantellare i gruppi armati, e costringere israeliani e americani a parlare subito di concessioni territoriali. Ma la debolezza di questo piano è che hanno un troppo intenso sapore di barbarie gli attacchi terroristi suicidi di ieri e dell'altro ieri, uno sull'autobus, l'altro a Gerusalemme. Questi attacchi che portano il numero incredibile di 11999 e 12mila in 18 mesi (escluse le bottiglie molotov e i lanci di pietre), infatti, avvengono mentre si era acceso quel tenue barlume di speranza dato dalla promessa di Dick Cheney di incontrare Arafat; dalle ripetute dichiarazioni pubbliche di Sharon di accettare sia il cessate-il-fuoco con tutte le clausole dell'accordo Tenet, sia il tavolo Mitchell in cui accetterà «penose concessioni»; dal fatto che erano in corso fondamentali incontri per la tregua. Ma Arafat, che ha detto più volte di accettare le carte e gli accordi internazionali, e di condannare gli attentati, di fatto non dà il minimo segno di bloccare la sua arma strategica più forte, anche perché capace di suscitare reazioni israeliane poi condannate da tutto il mondo; spinge o lascia spingere il gioco fino al punto in cui, egli pensa, gli israeliani dovranno chiedergli in ginocchio di fare la pace o fuggire spaventati. Da una parte condanna, dall'altra la radio ufficiale «Voce della Palestina» spiega debolmente che non è tempo di terrore, eppure seguita a chiamare «eroici martiri» i terroristi suicidi: sia quelli che martedì notte hanno attaccato i civili del villaggio di Aviezer nella valle di Eilah, sia quello che ha fatto a pezzi l'autobus davanti a Uhm el Fahem («un giovane arabo che è divenuto un martire erorico»). Marwan Barghuti e altri leader hanno definito gli atti terroristici «una risposta a Israele e anche all'atteggiamento americano». Posizioni di sfida ben meditate. Il terrorismo suicida è diventato come un comma incoercibile di questo conflitto, un'arma strategica viziosa, per la semplice ragione che gode di un consenso di massa (l'87%, secondo l'Università di Nablus) ed è facile da alimentare col sogno di «liberare tutta la Palestina» (l'87,5%). Una tv araba ha recentemente mandato in onda un video di rivendicazione precedente alla morte di un terrorista suicida, con Corano e mitra. La novità consiste nella presenza di sua madre: essa ringrazia Dio con tono calmo di averle dato un figlio destinato ad essere uno «shahid» e prega le altre madri di emularla e mandare figlie e figlie a uccidere quanti più israeliani possibile. Un altro clip mostra con musiche gioiose l´allenamento delle ragazze per diventare terroriste suicide. Una foto che rappresenta una scuola per l'infanzia fa vedere un bimbo piccolo (forse cinque anni) e bellissimo con tanto di cintura di tritolo, bandana in testa, e vicino a lui in piedi cinque veri pretendenti terroristi, mascherati e con le cinture esplosive. Quali accordi di pace possono essere fatti quando il terrorismo suicida, la più repellente e mostruosa fra tutte le armi, diventa discorso comune, gioco, desiderio dei giovani? Non si capisce, l'Europa non capisce che questa perversione può divenire anche un modello comune di esportazione?

Fiamma Nirenstein





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