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La Stampa Rassegna Stampa
18.09.2003 Una cronaca equilibrata
che racconta anche il parere di Israele

Testata: La Stampa
Data: 18 settembre 2003
Pagina: 3
Autore: Augusto Minzolini
Titolo: «La "gaffe" di un premier filoisraeliano»
Sulle esternazioni di Berlusconi ci hanno inzuppato il biscotto tutti. Chi sottacendo chi andando oltre le righe. Ci sembra che la cronaca di Augusto Minzolini sia sufficientemente completa per dare un buon quadro di quanto è avvenuto. Da parte nostra vorremmo solo sottolineare le parole di Pacifici che ha affermato "Con D'Alema e Dini sarebbe molto peggio". Qualche giornale l'ha riportato, altri no. Come sempre schierarsi è più facile.
Frasi di repertorio di meno di tre mesi fa: «L’Italia è il paese europeo più vicino ed amico di Israele, ha una posizione equilibrata che spero possa far breccia in Europa durante il semestre di presidenza italiano»; «L’Italia di Berlusconi è superamica di Israele»; «Il cosidetto piano Marshall per la ricostruzione del Medio Oriente si potrebbe chiamare benissimo piano Berlusconi»; «Con l’arrivo di Berlusconi i rapporti tra Israele e l’Italia si sono intensificati». Queste parole sono state pronunciate nel giugno scorso non da una colomba del governo di Gerusalemme, ma addirittura dal falco e primo ministro in carica Ariel Sharon.
Inutile aggiungere che in quella stessa occasione il Cavaliere, che fa l’incantatore di professione, aveva detto: «Ogni attacco terroristico ad Israele io lo vivo come un attacco al mio popolo». E addirittura si era lasciato andare ad un’equazione numerica sulle vittime che aveva fatto storcere la bocca a più di un critico nostrano, ma non certo al governo israeliano: «Il terrorismo in Israele ha provocato in soli due anni e mezzo 800 morti e 5 mila feriti. Facendo delle proporzioni sul piano della popolazione è come se in Italia avessimo avuto 8 mila vittime e più di 55 mila feriti».
Ma, soprattutto, il premier italiano in quella visita ufficiale si era rifiutato di incontrare Yasser Arafat (che ancora oggi sta tenendo il punto), a costo di vedersi cancellato il colloquio con l’allora primo ministro palestinese Abu Mazen: fatto unico tra i governanti europei, che gli provocò le critiche di Francia e Germania. Se a questo si aggiunge che Berlusconi aveva colto l’occasione per chiedere alla Uefa di far rigiocare le partite di Champions League in Israele e per rilanciare il sogno di portare Gerusalemme nella Ue, si può comprendere quanto deve aver fatto breccia nelle simpatie degli uomini di Sharon.
A guardare lo stato attuale dei rapporti tra il governo di Roma e quello di Gerusalemme, quindi, le polemiche che sono seguite alle affermazioni fatte da Berlusconi (sobrio o meno, come ammette lui stesso) su Mussolini nella nota intervista a Nicholas Farrel sembrano alquanto enfatizzate e strumentalizzate. Possono interessare il confronto interno alla comunità ebraica italiana divisa a metà tra moderati e progressisti (negli organi di autogoverno della comunità romana neppure qualche mese fa i primi capitanati da Fiamma Nirenstein vinsero di misura sui secondi guidati da Gad Lerner), ma sono di certo contaminate un po’ dalla politica interna, un po’ dal folklore. Delle due l’una, infatti: o Berlusconi è un amico di Israele e quell’uscita è stata un infortunio come l’intera intervista (purtroppo già si preannuncia una terza puntata); oppure il governo di Gerusalemme, Sharon, il Mossad e financo la comunità ebraica americana che si prepara ad accoglierlo a braccia aperte (una delle associazioni più ortodosse, l’anti-diffamation league ha pronto per lui un premio assegnato in passato a Sharon, all’Albright e a Chirac), hanno preso un granchio. E un miraggio deve averlo preso anche buona parte della stampa araba che ancora sui giornali di ieri attaccava il Cavaliere.
La verità è che Berlusconi, sulla scia del rapporto preferenziale con Washington, ha impresso una svolta nella politica estera italiana, da sempre accusata da israeliani e americani di essere filo-araba (Sigonella docet). Ora per alcuni questa può essere una buona cosa, per altri un errore, nondimeno però questa svolta va riconosciuta. Ecco perché la polemica di questi giorni ad un osservatore imparziale di cose internazionali può apparire in buona parte fuori luogo.
Di certo è apparsa inopportuna al governo di Isreale che non ha detto una parola sull’argomento, né a Gerusalemme, né a Roma per bocca dell’ambasciatore Ehud Gol. Semmai - questo sì - un uomo di governo israeliano, uno come Farrel non lo avrebbe mai fatto entrare nella sua villa al mare per non essere costretto a compilare la hit-parade degli assassini della storia.
Questa semmai è la vera colpa del Cavaliere. Ma si tratta pur sempre di un peccato veniale, almeno per quanto riguarda il rapporto con la comunità ebraica, perché l’accusa di aver riabilitato Mussolini fa a pugni con le linee della politica estera del premier.
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