Testata: Il Foglio Data: 16 settembre 2003 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «Se Abu Mazen è finito male, Abu Ala nemmeno incomincia»
Riportiamo l'articolo sulla (im)possibile nuova formazione del governo palestinese pubblicato in prima pagina de Il Foglio martedì 16 settembre 2003. Ramallah. Era partito come un treno dettando condizioni a Europa, Stati Uniti e Israele. Una settimana dopo la sua locomotiva sembra aver imboccato un binario morto. Intrappolato tra i ripensamenti, Yasser Arafat, le lotte intestine di Fatah e le beghe di Jibril Rajoub, Mohammed Dahlan e gli altri capi delle milizie armate, il neodesignato primo ministro palestinese Ahmed Qorei, alias Abu Ala, sembra incapace di dar vita a un nuovo governo. L'ultima data, annunciata ieri, è quella del prossimo fine settimana, ma molti dubitano che l'appuntamento venga rispettato. E qualcuno sospetta persino che il governo possa non veder mai la luce soppiantato, in attesa di tempi migliori, da un Consiglio di sicurezza nazionale sotto il totale controllo di Arafat. L'odissea comincia una settimana fa, quando Abu Ala annuncia di aver accettato la carica di primo ministro offertagli da Yasser Arafat. L'ex presidente di un Parlamento trasformato sotto la sua guida settennale in una docile creatura alla mercé del rais s'illude, o vuole far credere, d'essersi guadagnato un pizzico d'autonomia. L'illusione si stempera giovedì scorso quando Abu Ala si presenta alla Mouqata con in tasca i nomi dei ministri. Un passo indietro l'ha già dovuto fare ventiquattr'ore prima quando su ordine di Arafat ha annunciato la formazione di un governo d'emergenza destinato semplicemente a gestire la difficile situazione creatasi dopo l'ennesima strage di Hamas a Gerusalemme. Ma quando arriva alla Mouqata l'emergenza è diventata allarme. Chiuso nel suo ufficio, Arafat attende la decisione del Consiglio di sicurezza israeliano che sta decretando la sua possibile espulsione. Un esecutivo pronto a governare mentre sulla sua testa pende la spada di Damocle dell'espulsione non è esattamente ciò che soddisfa Arafat. Il vecchio reduce ha già ben chiara l'immagine da offrire al mondo per contrastare le mosse israeliane: quella di un'Autorità palestinese sull'orlo del collasso destinata, senza la sua guida, a imboccare la strada del caos e dell'anarchia. Così Abu Ala e gli apprendisti ministri ammessi alla sua presenza si sentono annunciare che quel governo non s'ha da fare. Per ora, spiega Arafat, l'unica cosa di cui c'è bisogno è un Consiglio di sicurezza nazionale composto dai capi delle varie milizie armate e pronto a obbedire ai suoi ordini. Il dietro front riesce a irritare persino il fedelissimo generale Nasser Youssef, un veterano di Fatah che il presidente aveva cercato di imporre come ministro dell'Interno durante i cento giorni di Abu Mazen. Alle proteste del generale che vede nuovamente sfumare il suo incarico il rais risponde suptandogli in faccia e allontanandolo dalla stanza. Poco male perchè gli altri, Abu Ala in testa, abituati agli sbocchi di rabbia del vecchio capo, restano e attendono istruzioni. Le idee di Arafat per quel succedaneo di governo sono chiare: quattrodici membri a cui affidare nominalmente gli stessi incarichi previsti all'interno di un vero esecutivo, ma senza l'autonomia decisionale garantita ai ministri,. E proprio per questo nel docile apparato c'è posto per tutti. Per il deluso, ma già graziato generale Nasser Youssouf. Per il resuscitato Jibril Rajoub nominato consigliere per la sicurezza nazionale. E perfino per il suo avversario di sempre, quel Mohammed Dahlan che dopo aver fatto lo scudiero di Abu Mazen è ora pronto ad accettare le poltrone offertegli dal rais.
Nella lista ci sono Ashrawi e Fayad E il primo ministro in pectore Abu Ala? A lui resta il compito di tessere la tela di Penelope del nuovo esecutivo che il resto del mondo si attende. Certo, nella cartella del primo ministro ci sono nomi come quello della Hanan Ashrawi candidata all'Educazione o del ministro delle Finanze uscente Salam Fayad che per il rais non sono garanzia di fedeltà, ma in fondo poco importa. Per farseli approvare l'ex presidente del Parlamento deve prima ottenere l'imprimatur delle diverse fazioni di FAtah e dell'Olp e infine presentarsi al Consiglio legislativo. Operazioni che senza una parola d'incoraggiamento del rais possono durare settimane o anche mesi. Ma in fondo che fretta c'è? Le competenze del premier sono state già ridimensionate spostando il controllo delle milizie nelle mani del nuovo Consiglio di sicurezza. I capi delle forze di sicurezza rispondono nuovamente solo a lui. Le illusioni dei cento giorni di Abu Mazen sono state spazzate via. Arafat ha vinto su tutta la linea e il nuovo governo, se mai si farà, sarò solo un orpello del suo potere. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.