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La Stampa Rassegna Stampa
11.09.2003 11 settembre 2003: due anni dopo:
cosa è cambiato? Riflessioni di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 11 settembre 2003
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La guerra al terrore non è finita»
Riportiamo l'articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su La Stampa in prima pagina giovedì 11 settembre 2003.
L’undici settembre di due anni fa, noi europei fummo «tutti americani». Pochi mesi dopo, quando si capì che questo significava affrontare una guerra difficile, lunga, scivolosa quanto all’esito e al modo di combattere, fu allora che mentre ancora la solidarietà ispirava la politica dei governi cominciò a montare un puntuto e duro movimento che si mosse dapprima dietro gentili bandiere della pace, e presto diventò eccitato e pervasivo; una folla alla ricerca di una facile identità immaginaria (di sinistra, di destra, noglobal, antimperialista, europea...) issò immagini di Bush effigiato nelle vesti di un avido petroliere o di un falco carico di bombe, e persino di un novello Hitler. Il terrorismo divenne un argomento secondario, per far posto a un discorso pubblico il cui fuoco era sull’America e i suoi difetti; la guerra antiterrorismo generò una narrativa sulla avidità e il perverso desiderio di dominazione degli Stati Uniti, invece di un genuino dibattito su come condurla, su come salvare il mondo.
Questo fenomeno ha presto formato un ricco bacino di consenso politico, che insieme a altri fattori di carattere economico, psicologico, ideologico, fa sì che noi europei oggi parliamo molto delle difficoltà di Bush, ma ci guardiamo bene dal farcene carico. Aspettiamo nel nostro cortile, fra le chiacchiere, la sua caduta. Il 13 settembre a Ginevra i ministri degli Esteri con diritto di veto all'Onu in risposta all'offerta dell'amministrazione americana e all’iniziativa di Kofi Annan sanno di avere una grande occasione per imporre una svolta alla situazione in Iraq e aiutare gli Usa a muoversi su uno scenario che s’è rivelato più difficile del previsto. Invece, c’è da aspettarselo, daranno voce a una quantità di nobili posizioni sui diritti del popolo iracheno e sul fondamentale ruolo dell'Onu, della Francia, della Germania, nel garantirglieli. Forse finiranno anche con il criticare duramente l'avarizia degli Usa nel cedere il potere, magari esclameranno più volte, parlando di terrorismo, «te l'avevo detto, io», confermando, alla fine, una sostanziale esitazione europea e dell’Onu rispetto a un ruolo da protagonista in Iraq.
L’Onu lo teme come il colpo fatale che ne svelerebbe tutta la fragilità; la Francia e la Germania in realtà non sono affatto concordi come hanno cercato di apparire a Dresda, la Germania non vuole aver nulla a che fare con l'Iraq, tutto quello che mette insieme Chirac e Schroeder è una spuria ricerca di identità europea a spese degli Usa.
In pochi, e la Russia ha mostrato di capirlo, capiscono che il tema non è l'America, ma ancora oggi, e più di prima, il terrorismo, una forza nemica delle democrazie impegnata in una guerra che non conta in giorni ma in decenni il suo passo, e ha il mondo intero come sua arena; che le difficoltà nel combatterlo sono gigantesche e richiedono lo sforzo di tutti. Oltre ogni dubbio l'eliminazione di un tiranno finanziatore del terrorismo come Saddam ha creato una situazione migliorata, in cui le organizzazioni terroriste sono sulla difensiva, e con loro gli Stati finanziatori del terrore. Questo non rende meno vasto e lungo il conflitto, come dimostra la minacciosa ricomparsa di Osama Bin Laden, ieri sera, sul video di Al Jazeera. L'undici di settembre non è finito.
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