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Il Foglio Rassegna Stampa
10.09.2003 Sharon in India e La Lega Araba
due interessanti articoli sul Foglio

Testata: Il Foglio
Data: 10 settembre 2003
Pagina: 3
Autore: due giornalisti
Titolo: «due articoli»
In prima pagina de Il Foglio di mercoledì 10 settembre è stato pubblicato questo articolo dal titolo: "Sharon va a vedere se l’India è più amica di Israele o del nemico Iran".
Roma. E’ la prima visita di un premier israeliano in India e il caloroso benvenuto tributato ad Ariel Sharon nel palazzo di Rashtrapati Bhavan è quello delle grandi occasioni. Per sottolineare la straordinarietà dell’evento le delegazioni non hanno lesinato i superlativi, eccezionale la convergenza degli interessi e la comunanza di valori. E se per il primo ministro indiano Atal Behari Vajpayee si tratta di un viaggio storico, Sharon non ha mancato di rilevare che l’India è uno dei paesi più importanti al mondo. Ma la nuova corrispondenza d’amorosi sensi non si fonda sullo scambio di amenità diplomatiche a breve termine. Con la sua visita a New Delhi, Sharon rinsalda le basi dell’alleanza strategica tra Israele, Stati Uniti e India. Un patto ad ampio respiro fondato sulla lotta al terrorismo e al fondamentalismo islamico che contempla una stretta cooperazione strategica e militare. Secondo Brijesh Mishra, consigliere per la Sicurezza nazionale di New Delhi, l’alleanza ha volontà politica e autorità morale. E plaude anche la stampa indiana. Il beneficio più immediato è volato a New Delhi con Sharon insieme all’atteso nulla osta statunitense alla fornitura di tre sistemi radar Phalcon all’India per un valore di un miliardo di dollari. L’ufficializzazione della partnership strategica con New Delhi non apre a Tel Aviv un mercato sconosciuto alla sua industria bellica. I contratti di cooperazione in tema di difesa non sono cosa nuova tra i due paesi. Il feeling si rinsalda dunque sotto i migliori auspici. "L’alleanza avrà successo perché siamo tre democrazie che credono nel pluralismo, nella tolleranza e nelle pari opportunità", ha ribadito Mishra, che ha parlato di un approccio "olistico" per garantire stabilità alla regione. Un obbiettivo che New Delhi condivide però con un’altra democrazia, forse un po’ meno emergente: sarà forse questo atteggiamento flessibile alla base delle affettuose relazioni tra New Delhi e la Repubblica islamica. Un rapporto strettissimo anch’esso fondato sull’esigenza di portare pace e stabilità. Mentre l’Aiea condanna in maniera sempre più netta le ambizioni nucleari iraniane, Washington spinge per una risoluzione che metta gli uomini forti della Jomhuri Eslami con le spalle al muro e Tel Aviv non smette di ventilare l’ipotesi di un raid contro le installazioni iraniane, l’India intensifica gli scambi, bellici, tecnologici e commerciali e pensa a un gasdotto che la colleghi a Teheran. Del resto l’accoglienza tributata al presidente iraniano Mohammed Khatami, ospite d’onore alla parata per festeggiare il giorno della Repubblica indiana lo scorso 26 gennaio, aveva poco da invidiare a quella riservata a Sharon. Nel corso della visita Khatami e Vajpayee firmarono la dichiarazione di New Delhi. Anche allora si parlò di partnership strategica e furono siglati patti di cooperazione ad ampio spettro. Ai nastri di partenza accordi militari ed energetici per 25 miliardi di dollari. Secondo Jane’s defence viene siglato anche un patto segreto in base al quale l’India si guadagna l’accesso alle basi iraniane in caso di conflitto col Pakistan. Seguono smentite di rito. Ma l’India finanzia la costruzione del porto di Chahbahar in Iran e a marzo partiranno esercizi navali congiunti. Il precursore del gas nervino Una cooperazione che si fonda secondo Rahul Bedi di Jane’s defence su interessi a medio e lungo termine. L’Iran vuole rompere l’isolamento creato dall’ostilità e dalla diplomazia della persuasione in funzione anti-iraniana statunitense, conquistare un nuovo mercato per le sue riserve energetiche e modernizzare e potenziare il suo arsenale missilistico. L’accordo tra Teheran e New Delhi è facilitato anche dal fatto che per entrambi la provenienza di gran parte delle infrastrutture belliche è di origine russa. Agli occhi dei nuovi alleati indiani la preoccupazione maggiore è che l’intesa si faccia più ardita anche sul nucleare. I precedenti ci sono già: dalla fine degli anni 80 la Cia segnala un intensificarsi dei contatti. Nell’88 New Delhi arrivò a un soffio dal vendere a Teheran un reattore da 10 megawatt. L’accordo non andò in porto ma per l’intelligence americana l’India contribuì in quegli anni a mettere in piedi un’industria per la produzione di un precursore del gas nervino, sospetti avvalorati in seguito dai servizi segreti tedeschi. "L’unilateralismo è una grande minaccia per la sicurezza internazionale" hanno convenuto nel loro altrettanto storico incontro Khatami e Vajpayee, un rischio quest’ultimo che l’India anche oggi ha dimostrato con le sue alleanze a geometria variabile di non voler correre.
In terza pagina: "La Lega araba di fatto riconosce l'Iraq, e per ora tace su Abu Ala"
Il Cairo. La Lega araba ha accettato che il neoministro degli Esteri iracheno, Hoshyar Zebari, prendesse possesso del seggio all’interno dell’organizzazione, vacante dalla caduta di Saddam Hussein. Viene in questo modo riconosciuta da
parte dei paesi membri la rappresentatività del governo provvisorio iracheno. Si tratterebbe di una decisione temporanea, in attesa che a Baghdad sia regolarmente eletto un governo sovrano. Un passo importante verso la legittimazione a livello internazionale che cercano gli Stati Uniti. Come ha raccontato pochi giorni fa al Foglio il segretario generale della Lega araba, Amr Moussa, l’Iraq non sarebbe mai stato estromesso dall’organizzazione panaraba, si è trattato finora di una questione di rappresentatività del neogoverno di Baghdad. Eppure ci sono volute ore e pazienza nella notte del Cairo per mettere d’accordo i rappresentanti dei paesi membri, riuniti nella sede della Lega, sulle rive del Nilo, per decidere l’ammissione del collega iracheno ai lavori del Consiglio dei ministri degli Esteri, che si sono aperti ieri e finiscono oggi. Non tutti d’accordo: la Libia ha boicottato la riunione ufficiale. "Il ragionamento di alcuni membri della Lega – spiega al Foglio Said Mohamed El Sayed, direttore del Centro di studi politici e strategici del quotidiano egiziano Al Ahram – come il ministro degli Esteri egiziano, Ahmed Maher e quello saudita Saud Al Faisal, è che per il riconoscimento quello che è necessario è uno Stato, che non è quindi fondamentale accettare formalmente il governo provvisorio. E’ un argomento debole, stupido. Si riconoscono insieme Stato e governo". La riluttanza dei paesi arabi ad accettare il nuovo
organo politico iracheno è legata allo scetticismo di molti governi verso la campagna anglo-americana, considerata dalla maggior parte dei paesi un’occupazione senza mezzi termini. Riconoscendo l’Iraqi Governing Council molti paesi temevano di dare il proprio appoggio alla causa americana, che non condividono. "Il caso dell’Iraq è particolare – continua El Sayed – la Lega ha sempre accettato ogni forma di governo al suo interno, anche i regimi venuti al potere attraverso golpe delle forze armate. Ma in Iraq si tratta di un governo nato da un’azione militare straniera. Gli arabi sono così riluttanti perché lo vedono come un regime coloniale. Le condizioni poste dalla Lega per il riconoscimento erano la legittimità di un governo eletto e il controllo di questo governo sul territorio. Entrambe le condizioni non ci sono. La Lega ha optato per una formula debole, una via che in realtà è un riconoscimento". Che un’organizzazione che accetta al suo interno ogni tipo di regime, a prescindere da elezioni e democrazia, per mesi non abbia riconosciuto il neoesecutivo di Baghdad, utilizzando come argomentazione il fatto che non fosse stato eletto dal popolo iracheno, si spiega solo attraverso la sua volontà di non dare legittimazione all’azione americana. Ma con l’entrata in gioco dell’Onu i paesi arabi rischiavano di essere lasciati fuori dalla ricostruzione di uno Stato che è parte del loro stesso corpo. Troppo rischioso. Risultato: Hoshyar Zebari è il primo ministro degli Esteri curdo, non arabo, all’interno della Lega. "Nella Carta dell’organizzazione l’unica condizione di appartenenza è linguistica, non etnica. I membri devono essere arabofoni – spiega el Sayed – nel mondo arabo non abbiamo mai visto i curdi come una nazione aliena, perché la storia curda e quella araba sono legate. Il sultano Salaheddin (Saladino, nato a Tikrit nel 1138, considerato un eroe
dell’Islam, riconquistò Gerusalemme dai crociati, ndr)". Il riconoscimento del governo iracheno da parte dei paesi arabi non cura però la Lega dai suoi mali, come dimostra anche l’imbarazzato silenzio sulla road map e sul nuovo premier
designato da Yasser Arafat, Abu Ala. L’organizzazione cerca da tempo di riformarsi. "Non credo che collasserà, ma non prenderà neanche il volo – dice El Sayed – i paesi arabi sono troppo impegnati a cercare alleati forti in Occidente per concentrarsi sulle relazioni interne". Moussa alcuni giorni fa ha detto al Foglio: "Credetemi, è molto dura fare il segretario generale della Lega araba".
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