21/2/02 ADESSO FA IL PORTIERE... campagna in difesa di Arafat
Testata: La Stampa Data: 20 febbraio 2002 Pagina: 1 Autore: Igor Man Titolo: «La porta stretta di Sharon»
QUESTO ARTICOLO E' USCITO SULLA STAMPA DEL 21-2-2002. LO RIPORTIAMO INTEGRALMENTE FACENDOLO SEGUIRE DA UN NOSTRO COMMENTO. La porta stretta di Sharon di Igor Man
L'America è assente, l’Europa impotente e laggiù continuano a scannarsi: quasi un morto ogni ora dall’una e dall’altra parte. Laggiù è la Terra Santa che giorno dopo giorno diventa un inferno alimentato dal culto della morte di chi non trova più nulla al mercato della speranza; alimentato dalla frustrazione d’un esercito tra i più potenti e sofisticati del mondo che tuttavia la guerra, urbana, di guerriglia rilanciata dai palestinesi rischia di trasformare in un Polifemo postmoderno.
L’occhio per occhio s’avvita su se stesso, alla fine potrebbe anche accecare. L’opzione militare non può risolvere la crisi, ammonisce Shimon Peres; non fosse altro perché un paese democratico qual è Israele non può trasformare i suoi soldati in sterminatori.
Io non precipiterò Israele in una guerra, dichiara Sharon: ma la guerra c’è già. Ed è una guerra che orribilmente somiglia a quella che nel 1982 Sharon combatté invano in Libano contro l’armata brancaleone palestinese. Somiglia, quella attuale, allo scontro libanese con in più l’arma terribile di chi si uccide per uccidere: un eroe-martire per i palestinesi, un terrorista folle per gli israeliani. Israele votò compatto «Arik» convinto che l’invitto generale fosse l’unico capace di garantire la sicurezza a un popolo assetato di normalità.
Da un anno a questa parte, essendosi Sharon e il suo eterogeneo governo dedicati alla guerra, la sicurezza è sempre di più un miraggio, la realtà ha i tratti cattivi della recessione, del mancato lavoro. Il presidente della Repubblica, Katzav, quello della Knesset, Burg, contestano pubblicamente Sharon; ottocento alti ufficiali della riserva e dei servizi chiedono il ritiro di Tsahal dai territori amministrati dai palestinesi; propongono lo smantellamento del 15 per cento delle «colonie».
Arafat parafrasa Pham Van Dong, il primo ministro vietnamita: «La resistenza senza limiti garantisce la vittoria del più debole». Il principe reggente saudita, Abdallah si dice disposto a riconoscere Israele in cambio del ritiro sulle frontiere del ’67. Ci sarebbe, dunque, una porta d’uscita dall’inferno: il ritiro di Tsahal, propedeutico a un negoziato. Ma questa porta ha il difetto d’essere troppo stretta: almeno per Sharon.
Dopo un periodo di assenza (che faceva ben sperare) fa il suo rientro alla Stampa Igorman. Come ci si può rendere conto dalla lettura del suo articolo quello dei palestinesi non è terrorismo, ma guerriglia urbana. Come se uccidere innocenti civili fosse un'azione da guerriglieri. Scrive Igorman che da un anno a questa parte Sharon e il suo governo si sono dedicati alla guerra, non a combattere il terrorismo, come sarebbe doveroso scrivere. E se sicurezza, recessione, mancato lavoro sono un problema per Israele, la causa va ricercarta nella seconda Intifada e non, come sostiene il nostro, nel governo Sharon. Per Igorman la via d'uscita c'è: il ritiro d'Israele e un susseguente negoziato. Ma, scrive il nostro, che questa porta è troppo stretta per Sharon. Non sappiamo se per Arafat la porta sia stretta o larga. Igorman, suo strenuo difensore, quando persino quel campione di diritti civili che è il siriano Assad lo giudica fuori di qualunque partita, Arafat è sempre in pista e passa da qualunque porta.
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