sabato 06 luglio 2024
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La giovenca malata di nostalgia e altri racconti 28/01/2013 -

Isaac Bashevis Singer
La giovenca malata di nostalgia e altri racconti
Corbaccio

Isaac Singer nella sua vita ha scritto circa centocinquanta racconti. Questa raccolta comprende quelli da lui stesso preferiti e selezionati, pubblicati tra il 1957 e il 1981.. Scritti in jiddish e tradotti in americano sotto la sua supervisione, i racconti di Singer danno vita a una rappresentazione caleidoscopica, vivace e visionaria dell’ebraismo in tutte le sue molteplici sfaccettature. Dai racconti soprannaturali, agli spaccati di vita della Varsavia prebellica, alle storie delle comunità ebraiche americane di New York, Miami, California, Singer dipinge personaggi di volta in volta religiosi, candidi, sensuali, patetici, ricchi di umanità nella sua accezione più bestiale e più nobile al tempo stesso.

La famiglia Karnowski 28/03/2013 -

Israel Joshua Singer
La famiglia Karnowski
Adelphi

«Avevo un fratello più piccolo, Moshe, che era ancora in fasce quanrdo ci trasferimmo a Varsavia; una sorella che aveva tredici anni più di me e si chiamava Hinde Ester; e un altro fratello, Israel Joshua, che aveva undici anni più di me. Tranne Moshe, tutti noi divenimmo scrittori. Mio fratello scriveva, come me, in lingua yiddish». Così racconta Isaac Bashevis Singer la propria infanzia, all’ombra di quella corte dove il padre esercitava l’ufficio di giudice e dove sfilava un’umanità variegata, impagabile fonte d’ispirazione.

Poche lingue hanno subito un destino crudele e sanguinolento come lo yiddish, morto insieme ai milioni di vite che lo parlavano, dalla Polonia all’Ucraina, dalla Bielorussia a alla Lettonia, diventate fumo per le ciminiere dei forni crematori, nei campi di sterminio. Eppure, tanto nei libri di Isaac quanto in quelli di suo fratello maggiore Israel Joshua, morto nel 1944, lo yiddish dà e acquista vita, come se tutto il mondo ancora oggi continuasse a parlarlo. Ed è la storia di una coppia di fratelli, il cui destino (o Dio) fa sì che il minore abbia a surclassare il primogenito. E’ capitato a Esaù di subire le astuzie del piccolo Giacobbe. E’ capitato a Israel Joshua di vivere nell’ombra del più giovane e acclamato Isaac. Eppure c’è una linea di continuità, anzi di autentica fraternità, nei loro libri. Ma se quelli di Isaac sono noti e tradotti ovunque, a Israel è toccato in sorte una specie di oblio, che però diventa una straordinaria occasione di scoperta per i lettori, a distanza di tanti anni. La famiglia Carnowski uscì infatti nel 1943, ma scoperta di recente e tradotta in francese poco tempo fa, vede oggi la luce anche in italiano, nella puntuale e immaginiamo assai sudata traduzione dall’originale yiddish di Anna Linda Callow per Adelphi.

E’ una saga familiare di grande respiro, che copre due continenti e tre generazioni. E’ una vicenda al maschile di tre destini molto diversi fra loro, benché sul filo di quella continuità generazionale che è stata per millenni il terreno della storia ebraica. David, Georg e Jegor abitano tre dimensioni di questa esperienza: dallo shtetl, il villagio ebraico in Polonia, all’illuminata (ma ancora per un soffio) Berlino, a quella Goldene Medina, Eldorado d’oltreoceano che diventerà rifugio anche per la famiglia Singer.

Ma a differenza dell’altro grande libro di Israel Joshua, I fratelli Ashkenazi ripubblicati di recente in Italia da Bollati Boringhieri con una prefazione di Claudio Magris, questo nuovo/ vecchio romanzo ha una misura diversa, un filo conduttore angoscioso che pone il lettore in uno stato di inquietudine costante. Qui c’è infatti tutto il presagio del dramma che l’autore non fece in tempo a conoscere del tutto, accompagnato da un’illusione tenace e tossica dentro la quale vivono i tre protagonisti e con essi il lettore: quella dell’integrazione, dell’assimilazione, della consapevolezza (fasulla) che l’epoca dei ghetti, della chiusura, dell’emarginazione e dei pogrom fosse finita per sempre. Ed è con strazio crescente che la storia viaggia avanti verso quel futuro che sappiamo tutti di cosa era fatto, e indietro dentro una nostalgia a cui non sa ancora dare un nome.

Se David, il primo protagonista, non vede l’ora di abbandonare lo shtetl e abbracciare la modernità, suo figlio Georg sarà, anzi dovrà essere «tedesco fra i tedeschi» prima ancora che ebreo. E Jegor porterà il peso di un’identità mista, non meno problematica. Ma non sono figure astratte, queste. Con grande talento narrativo e una prosa che ha in sé ha già il presagio di quello che sta per succedere alla lingua in cui è scritta – è come se l’autore cercasse già di risuscitarla anche se allora non era ancora morta – Singer regala al suo lettore un grande affresco familiare fitto di volti, sentimenti, gesti, tragedie. Con l’ombra pesante di ciò che presto farà fallire tutte le illusioni di questi personaggi. Un libro ricco nel senso migliore del termine e per nulla ridondante, malgrado la mole di pagine.
ELENA LOEWENTHAL

Ciò che ci unisce non ha tempo 29/07/2010 -

Peter Singer
Ciò che ci unisce non ha tempo
Il Saggiatore

David Oppenheim fu insegnante di letteratura classica in un prestigioso liceo di Vienna. Intellettuale sensibile e aperto alle nuove idee, scrisse un breve saggio insieme a Sigmund Freud. Nato in Moravia nel 1881 in una famiglia ebrea, combatté con onore nella Grande guerra e seppe comunicare ai propri allievi una straordinaria passione per i classici e la filosofia umanistica. Ateo e contrario al sionismo morì nel 1943 in un campo di concentramento, dopo avere assistito incredulo e impotente all'affermarsi della cieca follia nazista. Il nipote Peter Singer, considerato uno dei pensatori più importanti nel campo dell’etica, ne ricostruisce con grande maestria le vicende e la personalità attraverso le numerose lettere indirizzate alla moglie e ai figli.

Il secolo ebraico 18/07/2011 -

Yuri Slezkine
Il secolo ebraico
Neri Pozza

Questo saggio appassionante di Sklezkine, professore di storia russa e direttore dell’istituto di slavistica dell’Università di Berkeley, racconta una nuova storia della cultura ebraica degli ultimi cento anni, dalla nascita di una tribù nomade che diventerà il solo grande popolo sprovvisto di Stato dopo l'avvento del nazionalismo, l'unico a costruire la propria emancipazione in un isolamento frutto di ripetute diaspore, tra il collasso dell'impero russo, le grandi ondate migratorie, l'America di fine Ottocento, le città sovietiche dopo la Rivoluzione, la Palestina della nascita del Sionismo e l'avvento delle grandi ideologie del Novecento: socialismo, nazionalismo, liberalismo. Denso di intuizioni illuminanti e trasgressive, scorrevole nell'esposizione e audace nell'analisi, “Il secolo ebraico” è una delle opere più stimolanti e intellettualmente innovative degli ultimi anni.

Se ti dimentico Gerusalemme 15/11/2010 -

Raniero Speelman
Se ti dimentico Gerusalemme
Giuntina

Primo Levi, Edith Bruck, Vittorio Segre e tanti altri compongono il mosaico di scrittori ebrei italiani che hanno descritto la Terra Promessa nelle loro opere. Mentre la prima generazione di intellettuali era andata in Palestina soprattutto per sfuggire alle leggi razziali fasciste e vivere a pieno la propria identità nella costruzione di un "focolare nazionale" ebraico, le generazioni successive testimoniano del vivo rapporto mai acritico con la Terra dei Padri. Lo stimolante saggio di Raniero Speelman analizza le provenienze, i modi, le consapevolezze rispetto a un luogo percepito, in certi casi, come meta ideale, in altri come reale prospettiva di vita e punto di riferimento identitario; un luogo che ,seppure inteso diversamente, ha esercitato un grande fascino su tutti questi scrittori permeandone l'opera e le riflessioni.

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