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La famiglia Karnowski 28/03/2013 -

Israel Joshua Singer
La famiglia Karnowski
Adelphi

«Avevo un fratello più piccolo, Moshe, che era ancora in fasce quanrdo ci trasferimmo a Varsavia; una sorella che aveva tredici anni più di me e si chiamava Hinde Ester; e un altro fratello, Israel Joshua, che aveva undici anni più di me. Tranne Moshe, tutti noi divenimmo scrittori. Mio fratello scriveva, come me, in lingua yiddish». Così racconta Isaac Bashevis Singer la propria infanzia, all’ombra di quella corte dove il padre esercitava l’ufficio di giudice e dove sfilava un’umanità variegata, impagabile fonte d’ispirazione.

Poche lingue hanno subito un destino crudele e sanguinolento come lo yiddish, morto insieme ai milioni di vite che lo parlavano, dalla Polonia all’Ucraina, dalla Bielorussia a alla Lettonia, diventate fumo per le ciminiere dei forni crematori, nei campi di sterminio. Eppure, tanto nei libri di Isaac quanto in quelli di suo fratello maggiore Israel Joshua, morto nel 1944, lo yiddish dà e acquista vita, come se tutto il mondo ancora oggi continuasse a parlarlo. Ed è la storia di una coppia di fratelli, il cui destino (o Dio) fa sì che il minore abbia a surclassare il primogenito. E’ capitato a Esaù di subire le astuzie del piccolo Giacobbe. E’ capitato a Israel Joshua di vivere nell’ombra del più giovane e acclamato Isaac. Eppure c’è una linea di continuità, anzi di autentica fraternità, nei loro libri. Ma se quelli di Isaac sono noti e tradotti ovunque, a Israel è toccato in sorte una specie di oblio, che però diventa una straordinaria occasione di scoperta per i lettori, a distanza di tanti anni. La famiglia Carnowski uscì infatti nel 1943, ma scoperta di recente e tradotta in francese poco tempo fa, vede oggi la luce anche in italiano, nella puntuale e immaginiamo assai sudata traduzione dall’originale yiddish di Anna Linda Callow per Adelphi.

E’ una saga familiare di grande respiro, che copre due continenti e tre generazioni. E’ una vicenda al maschile di tre destini molto diversi fra loro, benché sul filo di quella continuità generazionale che è stata per millenni il terreno della storia ebraica. David, Georg e Jegor abitano tre dimensioni di questa esperienza: dallo shtetl, il villagio ebraico in Polonia, all’illuminata (ma ancora per un soffio) Berlino, a quella Goldene Medina, Eldorado d’oltreoceano che diventerà rifugio anche per la famiglia Singer.

Ma a differenza dell’altro grande libro di Israel Joshua, I fratelli Ashkenazi ripubblicati di recente in Italia da Bollati Boringhieri con una prefazione di Claudio Magris, questo nuovo/ vecchio romanzo ha una misura diversa, un filo conduttore angoscioso che pone il lettore in uno stato di inquietudine costante. Qui c’è infatti tutto il presagio del dramma che l’autore non fece in tempo a conoscere del tutto, accompagnato da un’illusione tenace e tossica dentro la quale vivono i tre protagonisti e con essi il lettore: quella dell’integrazione, dell’assimilazione, della consapevolezza (fasulla) che l’epoca dei ghetti, della chiusura, dell’emarginazione e dei pogrom fosse finita per sempre. Ed è con strazio crescente che la storia viaggia avanti verso quel futuro che sappiamo tutti di cosa era fatto, e indietro dentro una nostalgia a cui non sa ancora dare un nome.

Se David, il primo protagonista, non vede l’ora di abbandonare lo shtetl e abbracciare la modernità, suo figlio Georg sarà, anzi dovrà essere «tedesco fra i tedeschi» prima ancora che ebreo. E Jegor porterà il peso di un’identità mista, non meno problematica. Ma non sono figure astratte, queste. Con grande talento narrativo e una prosa che ha in sé ha già il presagio di quello che sta per succedere alla lingua in cui è scritta – è come se l’autore cercasse già di risuscitarla anche se allora non era ancora morta – Singer regala al suo lettore un grande affresco familiare fitto di volti, sentimenti, gesti, tragedie. Con l’ombra pesante di ciò che presto farà fallire tutte le illusioni di questi personaggi. Un libro ricco nel senso migliore del termine e per nulla ridondante, malgrado la mole di pagine.
ELENA LOEWENTHAL


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Il cinema israeliano contemporaneo 04/01/2010 -

Il cinema israeliano contemporaneo
a cura di Maurizio G. De Bonis, Ariel Schweitzer, Giovanni Spagnoletti
Marsilio

Ormai da circa dieci anni, il cinema israeliano è ospite fisso delle maggiori manifestazioni cinematografiche internazionali e riscuote sempre maggiore interesse anche in ambito critico.
Questo studio approfondito su una cinematografia “nuova ed emergente”, è il primo volume pubblicato sull’argomento nel nostro paese e analizza il fenomeno di una cinematografia che, pur avendo a disposizione modeste risorse economiche, è stata in grado in poco tempo di dar vita a un significativo cinema d’autore dalle caratteristiche critico-innovative. Il tutto evidenziando le tematiche che attraversano la società israeliana: dal problema del conflitto con il mondo arabo-palestinese alla condizione della donna, dai rapporti tra religione e laicità dello Stato ai temi della violenza e della guerra. Si tratta, dunque, di un testo importante per gli studiosi ma anche per quel pubblico curioso che non vuol fermarsi alle apparenze e alle notizie superficiali ma che intende invece affrontare tematiche altrimenti sconosciute.

Viva Israele 10/08/2009 -

Magdi Allam
Viva Israele.
Dall'ideologia della morte alla civiltà della vita: la mia storia
Mondadori

In questo libro autobiografico Magdi Allam, giornalista e saggista che da anni si occupa di eventi politici, economici e culturali dell’area mediorientale, parla alle coscienze di tutti; dietro l'intransigenza con cui si tutela il diritto di Israele all'esistenza e alla pace c'è la fermezza con cui si protegge la nostra società dai pericoli di infiltrazione e legittimazione dell'ideologia della morte. In queste pagine l’autore racconta il suo lento e sofferto percorso esistenziale dall’ideologia della menzogna, della dittatura e della morte alla civiltà della verità, della libertà e della pace fino a maturare il convincimento che, oggi più che mai, la difesa del valore della sacralità della vita coincide con la difesa del diritto di Israele ad esistere.

Donami la memoria. Liriche dopo Auschwitz 30/04/2012 -

Donami la memoria. Liriche dopo Auschwitz
A cura di Carlo Angelino
Le Mani

Carlo Angelino presenta con una lucida ed esauriente prefazione le poesie di diversi autori che ripensano la Shoah attraverso i loro ricordi scritti come poesie, forma che dà maggiore forza alla testimonianza, commossa seppure impotente. Descrivono non solo il genocidio, ma anche le umiliazioni patite prima dell' estremo sacrificio, il meccanismo spaventoso della spoliazione, della raccolta ed inventario di tutto ciò che rimaneva nei campi di sterminio. La bellezza delle poesie non ci impedisce di pensare a ciò che accadde e che non dovrà mai più avvenire, malgrado i tentativi dei molti che voglio negare la storia.

Il ragazzo che voleva dormire 27/06/2012 -

Aharon Appelfeld
Il ragazzo che voleva dormire
Guanda

Vincitore nel 1983 del Premio d'Israele per la letteratura, Appelfeld si conferma con il suo ultimo romanzo una delle voci più elevate del panorama letterario israeliano.
Erwin ha diciassette anni e alla fine della guerra si ritrova, dopo lunghe peregrinazioni per l'Europa, a Napoli, insieme a un gruppo di rifugiati come lui. Ha perso tutto: padre, madre, lingua, rapporti famigliari. L'unico modo per dimenticare l'orrore che ha vissuto, per lui, è dormire, rifugiarsi nel sonno non come fuga ma per ritrovare la famiglia che non c'è più, sognare di avere ancora una vita come prima che tutto crollasse... Eppure Erwin non è fragile. Riesce a seguire un durissimo allenamento fisico, quasi militare, sotto la guida del responsabile del campo, e a imparare l'ebraico. Erwin come gli altri ragazzi che sono con lui verrà portato in Israele, per poter iniziare una nuova vita, cambierà nome per segnare un nuovo inizio e si chiamerà Aharon...

 

Dizionario innamorato dell’ebraismo 21/08/2014 -

Jacques Attali
Dizionario innamorato dell’ebraismo
Fazi

Che strano oggetto culturale è mai un "dizionario innamorato"? Ancora più bizzarro se si considera che il destinatario dell'amore in questione è quell'ebraismo da molti "denunciato come dottrina degli assassini del Messia, come pratica degli usurai che sfruttano il mondo intero, dei cospiratori e degli assetati di sangue, pretesto di milioni di omicidi". Ma questo non è certo il punto di vista di Attali, nato in Algeria da genitori ebrei francesi e dedito allo studio di questa religione non solo per averla ereditata dalla sua famiglia, ma anche in risposta a un vivo interesse culturale. Quello che ci restituisce in questa serie di voci, da "Abele" a "Zohar", non è affatto un sapere enciclopedico o nozionistico, bensì il tentativo di interpretare e vivificare un'eredità personale e culturale dalla portata globale. Il mosaico che si compone voce dopo voce, tassello dopo tassello, ci offre un ritratto dell'ebraismo profondo e lontano dai luoghi comuni. Un ebraismo la cui storia millenaria, sintetizzata da Attali nelle pagine introduttive, è segnata dal confronto e dallo scambio con le altre civiltà e che diviene oggi, in forza della sua spiccata singolarità, un baluardo della resistenza a una certa globalizzazione. Da leggere tutto d'un fiato o da sfogliare saltando di voce in voce, questo dizionario è un percorso di autoconoscenza anche per chi dell'ebraismo è solo curioso.

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