4/3/02 A GERUSALEMME SI MUORE, A RAMALLAH SI FESTEGGIA
kamikaze nel quartiere di Beit Israel (e non Mea Shearim come scrive il giornalista)
Testata:
Data: 03/03/2002
Pagina: 9
Autore: un giornalista
Titolo: Kamikaze all'uscita della sinagoga: 10 morti
L'articolo a pag. 9 de l'Unità del 3 marzo dal titolo "Kamikaze all'uscita della sinagoga: 10 morti" si apre con una semplice cronaca dei fatti.
Se la prima parte rievoca la strage avvenuta ieri sera ad opera di un kamikaze nel quartiere di Beit Israel (e non Mea Shearim come scrive il giornalista) con un racconto lineare, quasi incolore, la seconda parte d'altronde non lascia dubbi sulla partecipazione emotiva di chi scrive, rivolta solo alle vittime palestinesi.
Benché di norma un giornalista debba essere obiettivo e quindi, per garantire una informazione corretta, non lasciarsi coinvolgere emotivamente qualunque sia il suo giudizio personale sui fatti, sono soprattutto le omissioni contenute nell' articolo che occorre richiamare all'attenzione del lettore.
Si legge:
1) "Alla fine ha dovuto arrendersi. Aveva dieci anni e lo scorso 19 febbraio era stata colpita da frammenti di razzi tirati da un elicottero Apache. Inas passava per caso, ma questa sporca guerra non fa distinzione fra terroristi e bambini inermi, tra soldati e civili indifesi" In verità, nemmeno i kamikaze fanno distinzione fra bambini, soldati israeliani o anziani: tutto il popolo israeliano per loro dovrebbe essere sterminato. Ma quello che per i soldati israeliani è una disgraziata casualità, che si cerca con ogni mezzo di evitare, diventa una scelta ben meditata per i terroristi. E per dovere di precisione, non è morta solo Inas: trascorsi alcuni giorni dal suo ferimento, anche la ragazzina israeliana gravemente ferita nell'attentato al centro commerciale di Karnei Shomron del 16 febbraio scorso si è spenta, con il corpo straziato dalle ferite, dopo aver lungamente lottato per la vita. Questa informazione rimane nella penna del giornalista.
2) Ancora. "A un posto di blocco muore Khalim Salman colpito dal fuoco israeliano". Nessun cenno al soldato israeliano di 20 anni, Yaacov Avni, ucciso ieri insieme ad un suo compagno.
3) "A Balata è stato scoperto uno stabilimento clandestino per la fabbricazione di razzi Qassam". Sembra quasi una scoperta casuale: non si spiega invece che l'irruzione dei soldati israeliani nei campi di Jenin e Balata ? dai quali si sono già ritirati ? aveva come obiettivo di distruggere i rifugi dei terroristi, le loro infrastrutture: depositi di esplosivi, riserve di missili sempre pronti ad alimentare, con il loro potenziale, di morte i terroristi suicidi.
4) Alla notizia della strage nel quartiere religioso di Beit Israel, mentre le ambulanze sfrecciavano per portare all'ospedale i feriti martoriati, nelle strade di Ramallah la folla scendeva in strada a festeggiare, ballando e gridando di gioia, proprio come accadeva dopo l'attentato alle Twin Towers. Neppure un cenno sull'orrore e le gravi implicazioni di tale notizia.
Infine un'ultima riflessione che può essere estesa anche ad altri articoli.
E' sempre importante per il lettore poter "conoscere" o quanto meno "immaginare" le vittime coinvolte negli scontri a fuoco; ecco perché informazioni sull'età, la professione o, se si tratta di bambini, quello che stavano facendo al momento del loro ferimento ha lo scopo di coinvolgere emotivamente il lettore, di renderlo partecipe di quella tragedia.
Questo si verifica ogniqualvolta siano coinvolte vittime palestinesi: i loro nomi, la loro età, il titolo di studio, la difficile situazione familiare in cui vivono sono perfettamente noti.
Lo stesso trattamento non è riservato alle vittime israeliane: si pensi solo all'immagine della donna palestinese che aveva partorito insieme a quella israeliana, entrambe colpite dal fuoco nemico ma solo della prima si è potuto vedere una fotografia, ripresa da molti quotidiani, che la ritraeva con il volto in lacrime.
L'identità di un essere umano passa anche attraverso una sua identificazione: non dimentichiamo che già 50 anni fa si era cercato di sterminare il popolo ebraico ed il primo passo fu quello di annullare la sua identità.


Invitiamo i lettori a protestare e ad esprimere le loro impressioni scrivendo a alla redazione dell'Unità affinché dalle pagine di tale giornale si possano leggere articoli più obiettivi.
Cliccando sul link sottostante si aprirà una mail pronta per essere compilata e spedita.

lettere@unita.it