Antisionismo arabo con supporto ebraico...
Antisionismo arabo con supporto ebraico...
Testata: La Stampa
Data: 22/12/2001
Pagina: 22
Autore: Elias Sanbar e Pierre Vidal-Naquet
Titolo: Palestina,sperare contro ogni speranza

Sulla Stampa del 22.12.2001, sotto il titolo "Palestina,sperare contro ogni speranza" sono concentrate tutte le motivazioni che sostengono oggi le ragioni di una seria delegittimazione di Israele. Gli autori, uno arabo e uno ebreo, sono Elias Sanbar e Pierre Vidal-Naquet, dei quali conoscendo la produzione del secondo non si sa dire se sia più antisionta l'uno piuttosto che l'altro. Ciò che si individua fin dalle prime righe è il colpevole: Israele.
Scrivono i nostri autori "In questi giorni in cui in Medio Oriente tutto sembra crollare-da un lato,per i palestinesi,la possibilità di avere finalmente uno Stato in cui il loro popolo sia sovrano, e dall'altro,per gli israeliani,la possibilità di integrarsi in una regione in cui (occorre ricordarlo ?) gli arabi dispongono di una maggioranza schiacciante..." . E poi " C'è stata una controversia sul sionismo... Il sionismo si è installato in una regione delicata del mondo in un'epoca in cui nulla sembrava più "normale" che insediarsi su un territorio altrui".
Secondo Sanbar e Vidal-Naquet lo stato palestinese non c'è ancora non perchè i palestinesi l'hanno rifiutato un'altra volta (no di Arafat a Camp David a Barak e Clinton), e,curioso, l'idea che Israele debba integrarsi in una regione a maggioranza schiacciante araba. Se tutti i piccoli Stati dovessero "integrarsi" sul parametro di quelli più grandi forse andrebbe ridisegnata tutta la mappa politico-grografica del mondo. Curioso,per due storici, una concezione dello Stato davvero particolare. Come il considerare la rinascita di Israele non come la ricostituzione di uno Stato sulla terra in cui era sempre esistito. Ma come " l'installarsi su un territorio altrui". Se i due autori non fossero due storici di professione ci sarebbe da rimanere allibiti per la loro ignoranza. Che tale evidentemente non è. Come chiamarla ? Distorsione dei fatti ? Stravolgimento di quanto effettivamente avvenuto ? Ancora. "La creazione di Israele è stata accompagnata sotto lo sguardo indifferente del mondo occidentale e sovietivo dall'esodo forzato di migliaia di palestinesi..."
E no, soprattutto no al prof.Vidal-Naquet, lei non ricorda bene o ricorda a metà. Se migliaia di palestinesi hanno abbandonato Israele nel '48 è altrettanto vero che un milione di ebrei sono stati cacciati con i quattro stracci che avevano addosso dai paesi arabi per ritorsione contro Israele. Perchè non ricordare anche loro ? Disturba poi, caro prof.Vidal-Naquet, quel suo/vostro richiamo all' "indifferenza del mondo occidentale alla creazione di Israele". Non crede che l'indifferenza del mondo occidentale sarebbe stato più corretto citarla riguardo allo sterminio europeo di sei milioni di ebrei ? Mi sembra grave che lei non ne accenni minimamente.
Se questa non e' disinformazione, come si puo' chiamare una notizia data in questo modo?
L'equiparazione che fate poi dei due terrorismi, israeliano e palestinese, è del tutto inaccettabile. Da un lato c'è uno Stato democratico che deve difendere la sicurezza dei suoi cittadini, dall'altra un satrapo medievale che mira solo alla cancellazione di Israele.Si vada a vedere la mappa della Palestina sul sito web ufficiale di Arafat.
Quanto a Sharon, scrivete che ha sfruttato i massacri dell'11 settembre e che quindi assomiglia al responsabile dei massacri di Sabra e Shatila. Bella accoppiata. Ritirate in ballo Sabra e Shatila e accostarli al nome di Sharon, così, tanto perchè il lettore li ricordi insieme. Una perla,assolutamente da non perdere, è quando scrivete che " la partenza degli israeliani verso cieli più clementi,gli Stati Uniti o l'Europa, nell'immediato è assolutamente impossibile". Ma come siete magnanimi, e poi quel paragonare gli israeliani a degli uccelli migratori, che volano verso cieli più clementi, che immagine delicata,quasi poetica.
Via, prof. Vidal-Naquet, per scrivere queste mostruosità non doveva servirsi del politicamente corretto aiuto del prof.Sanbar. Doveva avere il coraggio civile di firmare da solo quanto ha scritto in coppia.
Non vogliamo impegnare più a lungo il lettore in altre analisi del vostro lungo articolo. Lungo ma istruttivo, e chi vuole farà bene a leggerselo tutto. Contiene tutto l'antisionismo che ha segnato fin dalla fine dell'800 il percorso difficile ma vittorioso della rinascita dello Stato ebraico. Figure come Vidal-Naquet (tralasciamo Sanbar,sicuramente meglio motivato) hanno riempito la storia di Israele. Persino nel momento drammatico della votazione all'ONU sulla spartizione c'erano dei Vidal-Naquet che tifavano arabo e cercavano di oppporsi alla creazione di Israele. Nulla di nuovo sotto il sole. Vidal-Naquet rivendica una sola patria,la Francia. Brindi allora al 2002 che sta per iniziare con il suo ambasciatore a Londra, che ha definito pubblicamente Israele "paese merdoso,responsabile di tutti i guai della regione". Brindi con un prosit,con un cin cin,con un a la sante',con l'augurio che vuole, ma lasci perdere l'chaim. non le si addice.


Da "La Stampa" del 22/12/2001 Sezione: Cultura Pag. 22

TRE SOLUZIONI «LOGICHE» PER USCIRE DALLA DRAMMATICA CRISI DEL CONFLITTO TRA ARABI E ISRAELIANI
Palestina, sperare contro ogni speranza

Pierre Vidal-Naquet IN questi giorni in cui in Medio Oriente tutto sembra crollare - da un lato, per i palestinesi, la possibilità di avere finalmente uno Stato in cui il loro popolo sia sovrano, e dall'altro, per gli israeliani, la possibilità d'integrarsi in una regione in cui (occorre ricordarlo?) gli arabi dispongono di una maggioranza schiacciante - riteniamo nostro dovere esprimere alcune verità elementari. Uno di noi è un patriota (non un nazionalista) palestinese. L'altro ha una sola patria, la Francia, il che non lo porta comunque a rinnegare una parte dell'eredità dell'antico Israele (che contiene, come tutte le eredità, il peggio e il meglio), e neppure all'indifferenza nei confronti del destino di quei milioni di ebrei che hanno con lui qualcosa in comune. Siamo entrambi degli storici. E tuttavia non ci rifaremo all'insieme del secolo appena concluso. C´è stata una controversia sul sionismo. Coloro che l'hanno suscitata non mancavano di argomenti, fossero arabi, ebrei o semplicemente delle menti lucide. Il sionismo s'è installato in una regione delicata del mondo in un'epoca in cui nulla sembrava più «normale» che insediarsi su un territorio altrui. Gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda videro la luce al termine di un processo di colonizzazione. Oggi nessuno mette in questione la loro esistenza, malgrado i drammi causati da questo processo, che sono stati evocati da un atleta aborigeno in occasione dei giochi olimpici di Sydney. Analogamente, la creazione di Israele, più recente, è stata accompagnata, sotto lo sguardo indifferente del mondo occidentale e sovietico, dall'esodo forzato di centinaia di migliaia di palestinesi. Oggi questi profughi e i loro discendenti non mettono in questione l'esistenza dello Stato d'Israele, purché l'ingiustizia subita venga riconosciuta e la concreta attuazione dei loro diritti equamente negoziata. Accontentiamoci di ricordare l'evidenza: a partire dal giugno 1967, la Cisgiordania e la striscia di Gaza sono territori occupati, dominati, schiacciati politicamente, socialmente ed economicamente. Malgrado ciò, la resistenza palestinese ha solennemente riconosciuto l'esistenza dello Stato ebraico e avviato a Oslo un processo di pace, mentre dal canto suo lo Stato d'Israele riconosceva i palestinesi rappresentati dall'OLP e dal suo capo, Yasser Arafat. Questo processo si è arenato. Sul lato palestinese, alimentata dalla frustrazione crescente della popolazione occupata, si è staccata dal movimento un'ala che pratica una politica del terrore e della morte che ci fa orrore. Sul lato israeliano, malgrado il processo di pace, la colonizzazione s'è sviluppata su una scala considerevole, riducendo i territori palestinesi presunti autonomi alla condizione di una pelle di zigrino attraversata da «vie di circonvallazione». Oggi, due terrorismi si alimentano l'uno dell'altro. Il terrorismo palestinese, assolutamente minoritario ai tempi di Yitzhak Rabin, ha assunto dimensioni drammatiche. Ma la reazione israeliana, con le sue «liquidazioni extra-giudiziali», è in certo senso ancora più drammatica. Essa assomiglia oggi alla distruzione del popolo palestinese, nella misura in cui questo era strutturato e organizzato. Come sempre nel caso del terrorismo di Stato, essa è soprattutto contraddittoria. Ieri si chiedeva a Yasser Arafat di assicurare il controllo di polizia nello spazio che si presumeva controllasse, e contemporaneamente si distruggevano gli strumenti del suo potere. Oggi lo si isola completamente, celando a stento la volontà di farlo partire. Lo sfruttamento dei massacri dell'11 settembre operato senza indugi da Ariel Sharon è un segno che non può ingannare. Sharon ha paragonato Arafat a Bin Laden e al mullah Omar riuniti. A chi crede dunque, lui, di assomigliare, se non al responsabile dei massacri di Sabra e Chatila? Come uscirne? Nell´orizzonte che si delinea, tre soluzioni appaiono «logiche». La prima è l'espulsione dei palestinesi da quello che viene chiamato Eretz Israel, ossia da tutta la Palestina mandataria. Un ministro recentemente assassinato preconizzava questa soluzione. Si riesce davvero a immaginare i crimini che occorrerebbe perpetrare per raggiungere questo risultato? Si crede davvero che il mondo arabo potrebbe ratificarlo? Che cosa resterebbe a quel punto dell'universalismo dei profeti d'Israele (per esempio quello del secondo Isaia), e della speranza del cittadino israeliano di vivere un giorno in pace in questa regione? La seconda soluzione è il rovescio della prima: la partenza degli israeliani verso cieli più clementi, gli Stati Uniti o l'Europa. Nell'immediato, essa è assolutamente impossibile. Ma nel futuro? Che cosa resterebbe a quel punto dell'ideale di coloro che volevano essere dei liberatori del loro popolo e dei costruttori? Porre questa domanda ha il merito di ricordare che, anche se molti sono già partiti, reinventando la diaspora, gli israeliani vogliono rimanere, e non intendono fare la fine dell'Algeria francese. La terza soluzione è quella della coesistenza, che assuma la forma di due Stati distinti o di una federazione o di una confederazione. Due princìpi fondamentali possono ancora, forse, renderla possibile. Il primo è quello dell'eguaglianza civica, ma anche sociale ed economica. Questo principio vale innanzitutto per lo spirito che deve governare qualunque negoziato futuro. E vale altresì per i palestinesi cittadini d'Israele, i quali, cinquantatré anni dopo la creazione dello Stato, sono ancora lontani dalla meta dell'eguaglianza. Vale infine per gli israeliani che decidessero di rimanere in territorio palestinese, e che non debbono più vivervi come incistati. Il secondo è quello della reciprocità. Ogni rinuncia alla sovranità di una delle due parti deve avere la sua contropartita nell'altro campo. Ciò vale per tutti i problemi in discussione, inclusi beninteso quello di Gerusalemme e quello del profughi. È giocoforza constatare che finora il governo di Ariel Sharon ha imboccato la via opposta, e che, se ha riconosciuto a fior di labbra il diritto dei palestinesi a uno Stato, l'ha fatto in condizioni tali che questo Stato, ridotto a una serie di bantustan, non ha la minima possibilità di vivere e di svilupparsi pacificamente. Gli estremisti dei due campi l'hanno capito benissimo, e se ne sono ovviamente sentiti incoraggiati. L'ambasciatore d'Israele in Francia, Elie Barnavi, ha recentemente detto due cose contraddittorie: che coloro i quali, come Nuri Peled, pensano che il governo Sharon sia «un governo della morte» potrebbero stare comodamente in una cabina telefonica...e che essi rappresentano, per il solo fatto di esistere, l'onore d'Israele. Noi vogliamo ancora sperare che il «resto d'Israele», come lo chiamavano i profeti, sia quel «granello di senape» di cui parlava un altro profeta. Noi speriamo, contro ogni speranza. Elias Sanbar è redattore capo della Revue d'études palestiniennes. Pierre Vidal-Naquet è uno storico (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales). Traduzione del Gruppo Logos
Elias Sanbar




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