Riprendiamo da LIBERO del 27/04/2025, a pag. 19, con il titolo "Sfratti, minacce e maiali Bengalesi in rivolta: vogliono un’altra moschea" la cronaca di Claudia Osmetti.
Claudia Osmetti
L’ultima provocazione (loro dicono si tratti di «un’analogia» coi libri di George Orwell) è un collage fotografico con da una parte il ritratto del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e dall’altra un mezzo busto in giacca e cravatta con le fattezze di un maiale. E' la “guerra della moschea” che, a Mestre, va avanti da parecchi mesi a colpi di polemiche, ricorsi in tribunale e manifestazioni per strada. Doveva tenersi anche un corteo, l’altro giorno, che è stato sospeso all’ultimo con la scusa del maltempo: ciò non ha impedito, però, ad alcuni esponenti di un centro culturale islamico di pubblicare sui social network quel fotomontaggio (ora non si trova più) irrispettoso e, nella migliore delle ipotesi, poco signorile.
Per capirlo, o meglio: per capire il punto a cui siamo arrivati, occorre fare un passo indietro. Non è che a Mestre non ci siano moschee, ce ne sono anche di sponsorizzate con pagine su internet e orari per il pubblico e, calcolando anche quelli di Marghera che è a sette chilometri di distanza, i centri culturali attivi sono la bellezza di cinque (raccolgono circa 20 mila fedeli): è che, come altrove, aprono e chiudono (perché spesso non hanno i requisiti di idoneità: c’entra niente il presunto xenofobismo che qualcuno paventa, c’entra semmai una cosuccia chiamata sicurezza urbanistica) ed è pure che la comunità bengalese, tanto presente nella località veneziana, coesa al suo interno non pare esserlo molto. E', invece, suddivisa in gruppi legati per lo più alle aree di provenienza (chi è originario di Dacca, chi di Khulna, chi di Rangpur e così via) e ognuno vuole, più o meno ragionevolmente, uno spazio proprio per pregare.
Quando, qualche tempo fa, in via Piave, di poco vicino al centro, i locali di un ex supermercato Pam si sono resi disponibili, l’associazione Ittihad (che si definisce tecnicamente un centro culturale musulmano) li ha affittati per un canone mensile di 3.700 euro, ci ma messo i tappetini rossi per terra, ha oscurato le vetrate con dei teloni opachi, ha piazzato delle scarpiere all’ingresso e ha iniziato a usarli come luogo di culto.
C’era un problema, tuttavia: gli abitanti del quartiere, i condomini che affacciavano su quella via, i residenti della zona non l’hanno presa benissimo. Hanno cominciato a lamentarsi, mica per le preghiere ma per un’andirivieni continuo, per il baccano, per il disturbo alla quiete pubblica che stava diventando un guaio. La battaglia di cui si sono fatti portavoce i cittadini non si è limitata a qualche segnalazione in Municipio o a un paio di chiamate ai vigili: è arrivata nello studio di un avvocato, poi al tar regionale e infine addirittura al Consiglio di Stato che ha chiuso la questione chiudendo (di fatto e anche in virtù di una legge regionale che a Mestre vieta strutture di preghiere che non abbiano accordi specifici col Comune) la moschea, considerato che il luogo nel quale sorge è inadatto fisicamente a ospitare centinaia di persone alle volta (ossia, principalmente, al venerdì).
$ così che Brugnaro (e per la verità tutto il centrodestra veneziano) è finito attaccato con la fotografia del maiale: secondo Shamrat Abdullah, che è il rappresentante della Ittihad e che cita spesso un imam (Arif Mahmud) molto attivo in rete, altro non sarebbe che «un’analogia per criticare la politica di chi è indagato. Non è condannato ma accusato. Da liberi cittadini ci siamo ispirati al libro La fattoria degli animali». A parte l’assenza più totale di qualsiasi spirito garantista, il resto si commenta da sé: le pagine social di Shamrat, esattamente come quelle di Arif a cui spesso si rimandano in un’opera di reciproca condivisione dei contenuti, sono una sequenza praticamente senza fine di interventi in bangla contro Brugnaro, contro l’America, ovviamente contro Israele (su cui parte tutto il classico repertorio propal: dall’“apartheid” allo “Stato terrorista”) e con inviti a «marciare in via Piave» per «protestare contro» quella che non faticano a definire «una discriminazione». Shamrat ha anche affermato pubblicamente e di recente che: «Le tante chiese vuote mi fanno tristezza, se un cristiano mi invitasse a utilizzare una chiesa come luogo per pregare ne sarei felice e io farei lo stesso». (Tra parentesi: la Ittihad ha annunciato in questi giorni il ricorso in Cassazione sul “caso moschea” che, quindi, destinato a chetarsi non lo è sicuramente).
«Questa non è libertà di espressione», risponde invece il senatore di Fratelli d’Italia Raffaele Speranzon soprattutto in riferimento alla foto col maiale, «ma istigazione alla radicalizzazione. Questi personaggi vanno espulsi senza mostrare esitazione. E se hanno la cittadinanza italiana meriterebbero di perderla».
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