Riprendiamo da LIBERO di oggi 27/04/2025, a pag. 1, con il titolo "A San Pietro c’era un posto vuoto: quello di Putin Tocca a Mosca compiere una scelta chiara", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
L’emozione e la speranza ci portano tutti a confidare in quel colloquio a San Pietro, in quelle due seggiole l’una di fronte all’altra. Roma di nuovo caput mundi, sia pure per un giorno. E foto indubbiamente potentissima, anche per la reciproca attenzione positiva che si legge negli occhi di Donald Trump e in quelli di Volodymyr Zelensky, il quale poi infatti commenterà con calore e ottimismo il colloquio.
Poi però la fredda ragione ci induce a notare l’ovvio: manca una terza seggiola, quella del proverbiale terzo incomodo, Vladimir Putin. Il quale ieri ha lasciato a verbale una dichiarazione tutt’altro che conciliante. Eccola qua: «La sconfitta completa del nemico nella regione di confine di Kursk crea le condizioni per ulteriori azioni di successo delle nostre truppe in altre importanti aree del fronte e avvicina la sconfitta del regime neonazista». Il virgolettato è dell’agenzia Tass e si riferirebbe a un incontro tra Putin stesso e il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov.
E capite bene che, se viene definito “neonazista” da sconfiggere il soggetto con cui occorrerebbe trattare, la strada del dialogo appare decisamente in salita. Per quanto a un certo punto della giornata il Cremlino abbia fatto sapere di essere pronto a «riprendere i colloqui con Kiev senza precondizioni».
Cerchiamo di ricapitolare la situazione. Trump, con i suoi modi e il suo temperamento non sempre facile da gestire, si sta impegnando al massimo per un risultato che considera decisivo. Diciamolo chiaramente: lo vedrebbe come un suo personale trionfo negoziale.
I suoi ammiratori sottolineano come, in meno di 100 giorni, abbia certamente fatto più di ogni altro leader mondiale in tre lunghi e inconcludenti anni. I suoi detrattori, al contrario, gli rimproverano di stare esercitando più pressione su Kiev che su Mosca. Nel mezzo, gli osservatori più lucidi e sereni incoraggiano l’iniziativa americana, ma tengono a mente le illusioni storiche dell’“appeasement”. E soprattutto vorrebbero che fosse più chiaro il quadro delle garanzie di sicurezza post-bellica a favore dell’Ucraina. Che Kiev non riavrà mai la Crimea è pacifico, come pure che gli ucraini debbano prepararsi a dolorose rinunce territoriali rispetto a ciò che hanno perso sul terreno. Ma il punto è capire esattamente che tipo di ombrello difensivo avranno a disposizione, a guerra conclusa, per evitare che dopo sei mesi le ostilità ricomincino.
Ecco, mettiamola così: quella foto di ieri a San Pietro ci fa sperare che – su tutte queste scottanti materie – Washington e Kiev siano per lo meno determinate a parlarsi e a cercare un’intesa.
Ma dall’altra parte? A Mosca? Eccoci dunque al nodo più ingarbugliato di questa faccenda.
Gli ottimisti ritengono che Mosca stia solo cercando di comprare un po’ di tempo per colpire ancora fino all’ultimo istante utile, allo scopo di rendere più vantaggiosa la “fotografia” finale sul campo, ma – tutto sommato – avendo già accettato l’idea che a un certo punto una riga vada tirata. I pessimisti temono invece che questa intenzione ancora non ci sia, e che Putin intenda alzare di nuovo drammaticamente la posta.
La realtà è che è proprio Putin a dover sciogliere l’enigma. Dal punto di vista di Mosca, Trump può rappresentare una benedizione per rientrare in partita, cioè per riottenere una legittimazione geopolitica globale, ben al di là del pur rilevante accordo di pace in Ucraina. Ma questo richiede ovviamente che l’interlocutore americano sia rispettato da Mosca, e non venga platealmente preso in giro. Lo stesso Trump, ieri pomeriggio in un post social, è stato ruvido verso le oscillazioni russe: «Putin non aveva motivo di sparare missili in aree civili e città negli ultimi giorni. Mi fa pensare che forse non vuole fermare la guerra, che mi sta prendendo in giro e che deve essere trattato in modo diverso, attraverso sanzioni bancarie o secondarie? Troppa gente sta morendo».
Ieri il mondo ha di nuovo visto che Zelensky, dopo la partenza con il piede sbagliato nel celebre incontro-scontro alla Casa Bianca, è collaborativo con gli Usa. Da allora, ha detto sì all’accordo sulle terre rare, e ha accettato la sostanza delle proposte americane. Ora l’onere della prova ricade su Mosca.
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@liberoquotidiano.it