Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Viviamo ai piedi di un grande vulcano pronto a esplodere".
Giulio Meotti
“I nostri struzzi volevano un mondo senza confini e identità e ci hanno trascinato sul rasoio della guerra civile”. Si esprimeva così due anni fa l’ex direttore della DGSE, il servizio segreto francese, Pierre Brochand. E quello che sta succedendo in questi giorni è l’ulteriore conferma, ma con un salto in avanti: l’assalto alle carceri.
Tutto inizia nella notte tra domenica 13 e lunedì 14 aprile.
Ad Agen, sette veicoli incendiati nel parcheggio della Scuola nazionale penitenziaria, provocando l’evacuazione di 1.000 cadetti. Poco dopo, il veicolo di una guardia carceraria bruciato a diverse centinaia di chilometri di distanza, a Réau, nella Senna e Marna. Soltanto la notte successiva è svelato quello che sembrava un vero e proprio piano di attacchi coordinati, ciascuno dei quali aveva come obiettivo edifici e veicoli collegati alle carceri. Incendi di veicoli si sono verificati nel sud, a Valence (Drôme), Nîmes (Gard) e Aix-Luynes (Bocche del Rodano), dove una telecamera di videosorveglianza ha ripreso le immagini di un gruppo che sparava verso la facciata del carcere, ma anche nella regione parigina, a Nanterre (Hauts-de-Seine) e Villepinte (Seine-Saint-Denis). A Tolone (Var), la porta della prigione è crivellata di colpi di fucile d'assalto (tipo AK 47). E poi nel carcere di Tarascon (Bocche del Rodano), dove si sono verificati incendi in un parcheggio riservato al personale, recintato e con accesso protetto da un codice digitale.
Poi altri attacchi nella notte tra lunedì 21 e martedì 22 aprile. A Le Mouy, una cittadina a sud di Beauvais (Oise), un veicolo penitenziario vandalizzato. Poi, a Caen, quattro auto carcerarie incendiate e distrutte. In altri dipartimenti, droni sono avvistati vicino alle carceri di Lutterbach (Alto Reno), Lannemezan (Alti Pirenei) e Saint-Quentin-Fallavier (Isère).
Il governo evoca il terrorismo e il ministro dell’Interno, Bruno Retailleau, annuncia “65 attacchi” negli ultimi dieci giorni. La Procura antiterrorismo ha assunto la direzione dell'inchiesta. La Francia sembra il Messico dei narcos.
Intanto, a Nantes, oggi una liceale è stata uccisa a colpi di coltello da un altro studente ossessionato dall’“ecocidio”.
Qualche giorno fa, un uomo è stato torturato e gli sono stati amputati un dito della mano e un dito del piede. Secondo uno studio dell'Osservatorio nazionale della criminalità, in due anni sono registrate 44.000 vittime di accoltellamenti.
Cosa sta succedendo nel paese dei Lumi?
Il McDonald’s in costruzione a Montrabé, cittadina a est di Tolosa, due giorni fa è stato dato alle fiamme “a sostegno del popolo palestinese”.
Brucia, come bruciano sinagoghe e chiese.
Basta portare una stella di Davide al collo per finire in ospedale.
Dal 2012, in Francia sono stati sventati 86 attentati. E 10.500 cittadini sono schedati come potenziali terroristi.
La Francia assiste al ritorno del feudalesimo, caratterizzato dal controllo dei signori della guerra locali, le cui risorse umane, materiali e militari garantiscono loro il dominio di un territorio e persino l’assalto alle prigioni. Tre anni fa l’ho definito il “vulcano multiculturale”.
La verità l’ha detta come al solito Michel Houellebecq al Financial Times:
“Stiamo assistendo a una disintegrazione. È una catastrofe. Il desiderio della popolazione francese nativa, come si dice, non è che i musulmani si assimilino, ma che smettano di derubarli e di attaccarli, oppure, altra soluzione, che se ne vadano. Fino a poco tempo fa tutti gli immigrati che arrivavano in Francia provenivano dalle stesse due regioni, l'Africa settentrionale e occidentale. Ora provengono da ogni genere di posto, Pakistan, Cecenia, Somalia e altri Paesi. Portano qui i loro conflitti... Ci sono guerre etniche in Francia per controllare il traffico di droga. Alcune finiscono con colpi di mitragliatrice”.
Nessuno sembra saperlo, ma ogni settimana in Francia ci sono colpi di fucile e incendi contro i commissariati di polizia: a Cannes, a Cavaillon, a Havre, a Nimes, a Roubaix…
Un agente di polizia, Noam Anouar ha pubblicato un libro sulle zone vietate in Francia. “Le bande che operano lì”, ha osservato, “hanno creato un'economia parallela basata sul narcotraffico. Si considerano in guerra con la Francia e con la civiltà occidentale. Agiscono in collaborazione con organizzazioni islamiste e definiscono gli atti di predazione e saccheggio come incursioni contro gli infedeli”. Anouar ha concluso che bonificare queste aree oggi sarebbe complicato, costoso e comporterebbe l’intervento dell’esercito.
“Il termine sommersione è il più appropriato” ha appena detto il primo ministro, il centrista François Bayrou. “Perché un intero paese, un'intera comunità di dipartimenti francesi, si trova ad affrontare ondate di immigrazione che raggiungono il 25 per cento della popolazione. Non sono le parole a essere scioccanti, è la realtà”.
A Pau, la città di re Enrico adagiata ai piedi dei Pirenei: un ufficio di polizia, una scuola media e una mediateca incendiati.
A Fresnes hanno provato ad attaccare la prigione per far evadere i detenuti. Una prigione nota per l’alto numero di islamisti. Un testimone racconta: “Incredibile quello che sta succedendo, i detenuti sono eccitati, incredibile”.
Basta poco per acquistare una delle migliaia di "Kalach" in circolazione in Francia. Lo sanno i narcotrafficanti, lo sanno gli islamisti. E tutti i capi del narcotraffico si chiamano Mohamed Amra, Abdel Karim T. e Mahdi Z.
Quanti sobborghi sono pronti a dare battaglia? Lì le armi circolano liberamente. Kalashnikov, Magnum, granate, fucili da caccia. Sono lì, nascosti in cantine inaccessibili alla polizia.
Qui l’assalto a un commissariato di polizia.
Ufficialmente la Dgse, la direzione generale della sicurezza interna francese, ha mappato 150 “zone vietate” in Francia, anche se l’ex numero due del Dgse, Alain Chouet, confessa: “Ci sono 1.514 quartieri dove è vietato l'accesso alle forze di sicurezza, ai servizi di emergenza, ai servizi medici e sociali e si trovano in 859 città dove vivono 4 milioni di persone, il 6 per cento della popolazione totale”.
E la situazione è tale che, come spiega su L’Express Eric Delbecque, ex direttore dell’Institut national des hautes études de la sécurité e responsabile della sicurezza di Charlie Hebdo, “lo stato non si è neanche messo nelle condizioni di riprendere il controllo di questi quartieri e una volta iniziato possono volerci fino a dieci anni”.
Soltanto che noi non ce li abbiamo altri dieci anni.
Prima della finale di Champions League del 2022 allo Stade de France a Saint-Denis, il campione di calcio Thierry Henry (padre della Guadalupa, madre della Martinica, non un suprematista bianco) ha scioccato l’opinione pubblica dicendo che “Saint-Denis non è Parigi”, per aggiungere: “Credetemi, non vorreste essere a Saint-Denis”.
Ecco cosa è appena successo alla polizia a Saint-Denis. Auto della polizia attaccate dalle gang del quartiere e agenti costretti alla fuga inseguiti con spranghe e bastoni. Una no go zone alle porte di Parigi. Poi ci si domanda come sia possibile che Marine Le Pen sia in testa ai sondaggi.
In una parte significativa della Francia, che il politologo Fabrice Balanche ha ribattezzato i “mini-stati islamici” (mini Etats Islamiques), islam radicale e crimine organizzato si mescolano, con il primo che si finanzia attraverso il secondo e il secondo che fornisce manovalanza al primo, e l’accesso è vietato alle forze dell’ordine – pena l’imboscata, la sparatoria o la rivolta urbana.
Elenco dei medici in una Asl nell’Oise francese. Ma il problema è impedire a Renaud Camus di parlare a Londra.
Scrive il Wall Street Journal: “Renaud Camus è forse il più importante pensatore vivente di cui nessuno abbia mai sentito parlare. È certamente il più incompreso. I governi dell'Europa occidentale si aspettavano che l'immigrazione di massa avrebbe dato impulso alle loro economie. Invece, ha prodotto dipendenza dall'assistenza sociale, criminalità, terrorismo e una lotta di potere settaria che ha alterato per sempre la vita europea. L'unica cospirazione che Camus vede nella tragedia europea è una cospirazione del silenzio su quello che ha definito il ‘disastro’: l'immigrazione di massa di musulmani, arabi e africani con conseguenze sociali negative che nessuno vuole ammettere, figuriamoci affrontare. Una lotta è visibile negli spazi pubblici europei, dove la preghiera musulmana di massa nelle strade sovverte un principio liberale fondante, la divisione tra fede privata e sfera pubblica. Quest'anno, il sindaco laburista di Londra, Sadiq Khan, ha illuminato la città per il Ramadan. Nel frattempo, gli attacchi contro ebrei, sinagoghe e scuole ebraiche hanno raggiunto livelli record. La diversità in azione sta producendo cambiamenti radicali che prevalgono sui valori della maggioranza democratica”.
Questa è Nimes, dove è stato ucciso un bambino di dieci anni.
Se dieci anni fa ci avessero mostrato le stesse strade di oggi, le avremmo riconosciute?
Appena due anni fa in Francia c’erano stati i prodromi della “guerra civile”: 5.000 veicoli bruciati, 1.000 edifici in fiamme tra cui più di 200 scuole, 250 attacchi a stazioni di polizia, 700 agenti di polizia feriti e un pompiere morto e Boualem Sansal che già immaginava la “prossima grande esplosione”.
Gli agenti di polizia e i vigili del fuoco chiamati a intervenire per gli incendi in questi quartieri hanno ricevuto l'ordine di “lasciare che brucino” per evitare imboscate, riferisce William Molinié, giornalista del dipartimento di polizia e giustizia. “Nelle periferie interne e a Parigi, agli agenti di polizia che scortano i pompieri impegnati in caso di incendi viene ora chiesto di lasciare che l'incendio bruci finché non c'è il rischio che si propaghi, per non esporsi al rischio di un'imboscata”, ha scritto.
A questo sono arrivati.
Due dei sindacati di polizia francesi - che rappresentano il 90 per cento delle forze dell’ordine - hanno pubblicato un drammatico avvertimento alla classe politica. Dicono di non poter “più sopportare il diktat di queste minoranze violente". E che "siamo in guerra".
2.000 militari francesi scrivono in una lettera pubblicata sul settimanale Valeurs Actuelles: “Se scoppierà una guerra civile, i militari manterranno l'ordine sul territorio, perché sarà chiesto loro di farlo. Nessuno può desiderare una situazione così terribile, ma la guerra civile si sta preparando in Francia e lo sapete perfettamente. Agite, signore e signori. Questa volta non si tratta di formule già pronte o di copertura mediatica. Riguarda la sopravvivenza del nostro paese, del vostro paese”. Poi un altro appello di generali e ufficiali campeggia sul Journal du dimanche: “Ci è stata dichiarata una guerra ibrida e multiforme che finirà, nel migliore dei casi, con una guerra civile e, nel peggiore, con una sconfitta senza futuro”.
Lettres béninoises è il libro di Nicholas Baverez, che fu l’assistente del grande filosofo liberale Raymond Aron. Siamo nel 2040. La Francia è un paese diviso. Arriva a Parigi il nuovo direttore del Fondo monetario, un beninese. Scrive una serie di lettere ai parenti in cui racconta ciò che vede.
Parigi di domenica è una città morta; tutto è chiuso. Questo, oltre ai problemi di sicurezza, spiega la fuga dei turisti. L'accesso alla cattedrale di Notre Dame è un percorso a ostacoli da quando un attentato con un'autobomba ha fatto saltare in aria il collegio dei Bernardini, vicino all'Ile de la Cité. La messa celebrata dall'arcivescovo di Parigi è stata magnifica... ma un quarto dei fedeli presenti erano agenti di polizia. Se è vero che la peggior guerra è la guerra civile, la peggior guerra civile è la guerra di religione. Per garantire la sicurezza dei turisti, accanto a Disneyland è stata realizzata New Paris, che riproduce, in scala, i principali monumenti della capitale e le sue strade più emblematiche, da Mouffetard a Montorgueil, passando per Boulevard Haussmann. Sembra che sia possibile affittare la replica della basilica di Saint Denis dove furono sepolti i re di Francia per organizzare concerti, convention aziendali o matrimoni. Il progressivo degrado de La Défense, le cui torri hanno cessato di essere mantenute poiché l'insicurezza ne impediva l'accesso, è tale che è una zona franca posta al di fuori della legge e della giurisdizione. Il presidente vive rinchiuso all’Eliseo…
Fantaletteratura?
Non secondo l’ex capo della polizia di Parigi, Didier Lallement, che ha avvertito che la Francia è diretta verso un “crollo” tale che un giorno richiederà alle truppe di presidiare l'Eliseo. Lallement descrive un paese "divorato”, dove "un reato su due è commesso da uno straniero, che spesso si trova nel Paese illegalmente... Tutte le mie esperienze mi fanno prevedere un futuro oscuro, molto oscuro, per i nostri figli e nipoti. Le convulsioni sociali saranno intense e distruttive... Un giorno sarà necessario ammassare truppe davanti all’Eliseo”.
Intanto il paese si è diviso in tre. C’è la “Francia tripla A” che comprende le metropoli, le periferie borghesi e le aree turistiche; la “Francia delle ombre”, cioé i bacini industriali in crisi, le zone rurali, i piccoli centri in declino privi di attrattiva turistica e le corone urbane senza prestigio immobiliare; e la terza Francia, quella delle banlieue islamizzate. Il settimanale Le Point racconta che l’immigrazione extra-europea sta travolgendo anche la Francia delle ombre in nome della “banlieusardisation”.
Questa triplice divisione può essere ormai estesa a qualsiasi paese europeo, Italia compresa. Un libro di tre giornalisti ungheresi racconta le enclave che si stanno formando in tutta Europa.
Le élite dominanti occidentali non hanno avuto giorni, settimane o mesi per cambiare rotta, ma almeno due generazioni per evitare il disastro multiculturale (40 anni secondo l’antropologa Florence Bergeaud-Blackler). Ma i pochi che hanno cercato di lanciare l'allarme sono stati ignorati, ridicolizzati o messi a tacere.
Dovrebbero ascoltare la donna più coraggiosa del mondo, Ayaan Hirsi Ali, che ha appena tenuto questo discorso in Texas:
“Consiglierei ai legislatori di venire a dare un'occhiata alla Gran Bretagna, alla Germania e alla Svezia, di venire a vedere cosa è successo a questi quartieri. Nel 1992, quando ero lì, era un mondo diverso. Era un pianeta completamente diverso. E ora vedete alcune di queste scene. Sono queste Manchester e Birmingham o Lahore e Il Cairo o, sapete, una specie di baraccopoli e questo è successo. Quindi in America, perché abbiamo un vasto oceano tra noi e il resto del mondo, diamo per scontate alcune cose e non dovremmo aspettare di arrivare al punto in cui si trova l'Europa, e alcuni di questi paesi sono sull'orlo della guerra civile. E forse, quando vedremo cosa stanno facendo, hanno leggi contro l'odio ovunque. Smettiamola. Instauriamo la libertà di parola. Così che le persone possano discutere apertamente di ciò che sta succedendo nei loro quartieri e di ciò che sta succedendo in queste scuole e di ciò che stanno insegnando a questi giovani. Lottate per ciò che abbiamo”.
A questo punto ritengo più che realistico uno scenario alla Blade Runner, quartieri “etnicizzati” in migliaia di città europee dove le regole vengono dettate da autorità parallele. Gli ebrei hanno iniziato ad andarsene da tempo, non soltanto lasciando il paese a migliaia ogni anno, ma anche in un impressionante “fenomeno migratorio interno”, in cerca di luoghi più sicuri.
Chi crede ancora in un cambio di rotta può sperare; chi invece ritiene che il prezzo sia troppo alto, finché è in tempo dovrebbe tirarsi fuori dalla no go zone, presente e futura.
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