Perché i comunisti odiano il 18 Aprile
Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 19/04/2025
Pagina: 1
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: Perché i comunisti odiano il 18 Aprile

Riprendiamo da LIBERO di oggi 19/04/2025, a pag. 1, con il titolo "Perché i comunisti odiano il 18 Aprile", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Il 18 aprile 1948, la DC di De Gasperi vinse le prime libere elezioni parlamentari italiane, battendo il blocco social-comunista staliniano e salvando l'Italia da una deriva totalitaria. In Italia celebriamo tantissime commemorazioni, ma (guarda caso), mai il 18 aprile.

Curioso, no? In un paese dominato dal feticismo degli anniversari e delle “giornate”, e in cui un po’ tutti – dai media alle istituzioni – non dimenticano mai alcuna ricorrenza, c’è una data speciale per l’Italia che invece è oggetto di un’amnesia incredibile e generalizzata.
Si tratta della giornata di ieri, 18 aprile: giorno in cui, nel 1948, si tennero elezioni politiche letteralmente decisive, con la benedetta vittoria di Alcide De Gasperi e dei suoi alleati laici contro l’incubo di un’Italia consegnata a una cupa avventura socialcomunista.
Si trattò di una campagna elettorale cruciale nel suo significato complessivo, e – giova ricordarlo – violentissima nei toni, nelle parole, nei comizi, nei manifesti. Da una parte la Dc (con i liberali, i repubblicani e anche i socialdemocratici, che con coraggio Giuseppe Saragat aveva separato da chi non aveva prospettive di democrazia, ricavandone l’accusa di traditore e “socialfascista”); dall’altra il Pci di Togliatti e i suoi alleati radunati nel Fronte popolare.
Era in gioco tutto, altro che una banale ripartizione dei seggi nell’emiciclo parlamentare. Se avesse sciaguratamente vinto l’alleanza socialcomunista, l’Italia avrebbe perso l’ancoraggio con l’Occidente (non solo i fondi del Piano Marshall), e – in una forma o nell’altra – sarebbe finita, se non direttamente nel Patto di Varsavia, in un limbo pericoloso. Si sarebbe realizzato il sogno di quelli che, partecipando alla Resistenza, non avevano avuto in mente un orizzonte di libertà, ma avevano contrastato la dittatura fascista avendo nella mente e nel cuore una dittatura di segno opposto.
De Gasperi non solo vinse, ma trionfò. Pur non avendone numericamente bisogno, volle con sé nel governo – altro segno di saggezza e lungimiranza – gli alleati laici (Pli, Pri e Psdi), e ne valorizzò sempre l’apporto.
La stagione degasperiana è stata – senza confronto – la più luminosa dell’Italia repubblicana: non solo per la posta – letteralmente vitale – che fu in gioco, ma anche per la sua scelta, negli anni successivi, di una linea economica liberale e pro sviluppo. Le finanze dello Stato non erano certo floride, ma, con il suo ministro Vanoni, il leader trentino tagliò le tasse al ceto medio: ponendo le premesse del boom economico degli anni seguenti.
Poi, negli anni Sessanta, i primi governi di centrosinistra avrebbero purtroppo invertito quella rotta politica e culturale: scegliendo una strada di dirigismo e neo-statalismo che avrebbe avuto l’influenza negativa che sappiamo.
Ma – tornando al 1948 e a quelle elezioni del 18 aprile – sarebbe importantissimo ricordarne ogni anno il valore. Bene o male, se siamo un paese libero, lo si deve proprio a quella scelta degli elettori italiani e all’azione coraggiosa e visionaria di un leader largamente incompreso – e poi vissuto culturalmente come un corpo estraneo – dallo stesso mondo democristiano negli anni successivi.
Di tanto in tanto (ma mai il 18 aprile!) c’è qualche celebrazione rituale, o qualche libro, o qualche evento commemorativo su De Gasperi. Ma non c’è praticamente mai l’enfasi necessaria su quei valori (atlantismo, liberalismo economico, rapporto con i laici) che hanno reso De Gasperi un gigante e la sua stagione di governo la più importante almeno degli ultimi ottant’anni.
Si preferisce altro a sinistra, questo è chiaro: da quelle parti impera un cattocomunismo che esprime tendenze opposte a quelle degasperiane (quelle della sinistra odierna: diffidenza verso l’Occidente, dirigismo economico, spirito antilaico e illiberale). Ma anche a destra si farebbe bene a recuperare quella lezione: non c’è da inseguire (inesistenti) elettori moderati né spazi virtuali (di cui sentiamo a volte parlare come se si trattasse di voci da una seduta spiritica) che sarebbero collocati tra il centrodestra e il Pd.
C’è invece da tenere vivo un sano spirito anticomunista, e da coltivare i valori che hanno reso grande l’Italia: difesa della libertà, della proprietà, del risparmio, del privato contro gli eccessi del pubblico. E naturalmente della democrazia occidentale contro le avventure autoritarie. Sono le battaglie di ieri, di oggi e anche di domani. Non dimentichiamole mai.

Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@liberoquotidiano.it