Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Scrittori italiani, solidali col terrorista rosso e silenziosi col romanziere in carcere".
Giulio Meotti
Al termine della “maratona autocritica”, il dissidente cubano Heberto Padilla era zuppo di sudore. Il poeta, incarcerato per aver criticato il regime di Castro, aveva appena dichiarato “controrivoluzionari” se stesso, i suoi colleghi e sua moglie, secondo il metodo sovietico. “El Caso Padilla”, diretto dal regista cubano Pavel Giroud, ripercorre la caduta in disgrazia del poeta: iniziò come sostenitore della rivoluzione guidata da Fidel, ma poi le sue poesie tradirono il disincanto. Padilla assunse il ruolo dell'intellettuale ribelle, fino alla sua incarcerazione, avvenuta il 20 marzo 1971.
Un manipolo di scrittori nel mondo si fece sentire. Erano guidati dal futuro premio Nobel Mario Vargas Llosa, scomparso ieri a 89 anni. Durante cinque viaggi a Cuba, Vargas Llosa vide che un totalitarismo rosso stava trionfando sotto le palme dell'illusione lirica. “La cultura era controllata da una sinistra dogmatica”, diceva. L’anticomunismo lo privò a lungo del Nobel. “Artur Lundkvist, membro influente dell’Accademia svedese, preferiva gli scrittori socialisti, marxisti, comunisti, radicali e progressisti”.
Come mi ha spiegato lo scrittore esule cubano Jacobo Machover, “sono stati gli intellettuali occidentali che hanno permesso al regime di Castro di mantenersi così a lungo al potere. Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Gabriel García Márquez, Giangiacomo Feltrinelli, Gianni Minà e molti altri, così come artisti contemporanei come Gérard Depardieu, Oliver Stone, Sean Penn e molti altri, sono stati favolosi propagandisti per Castro e Che Guevara, presentati come ‘umanisti’ quando in realtà erano volgari assassini. Un popolo ha difficoltà a liberarsi se l'opinione pubblica mondiale sostiene i suoi oppressori. I cubani conserveranno nella memoria l'amaro sentimento di tradimento da parte delle autoproclamatesi ‘coscienze del mondo’”.
In Italia, dove Vargas Llosa sarebbe stato impensabile, non se ne fece niente.
Valerio Riva su Panorama lanciò un pesante guanto di sfida: “La cultura italiana ha sempre chiuso gli occhi su quel che accadeva a Cuba. Si è sempre accontentata di slogan, di frasi fatte. Gli editori hanno censurato sistematicamente i dissidenti cubani. Per loro esisteva solo l'ufficialità del regime”. La lista delle “omissioni” è piuttosto lunga, e non riguarda solo la Rizzoli. Comincia con il nome più noto dell'anticastrismo, Carlos Franqui. Compagno di Fidel dalla prima ora, ne divenne un acerrimo avversario; imprigionato, costretto all'esilio, pubblicò con grande successo I miei anni con Fidel. “Per strapparlo alla SugarCo lo comprò la Rizzoli, e lo fece tradurre, aggiornare, ampliare” dirà Riva. “Ma guarda caso non lo ha mai pubblicato”. Lo stesso Franqui poi racconterà: “In Italia la sinistra ha sempre girato la testa dall'altra parte. Gli intellettuali e i politici della sinistra hanno sempre saputo bene qual era la situazione dei diritti umani a Cuba ma quando con altri dissidenti andavamo a chiedere una firma di condanna a Fidel Castro ci sbattevano la porta in faccia. Mi ricordo il 1971. Fidel Castro aveva fatto arrestare un poeta, Heberto Padilla, e Luigi Nono scrisse una lettera di protesta che l'Unità si rifiutò di pubblicare”.
L’Italia era il paese di Claudio Abbado, che nel 1999 suonò per il compleanno di Castro all’Avana. Il “comandante” si commosse quando i fiati dell’orchestra di Abbado gli improvvisarono un “Happy birthday to you”. Migliaia le esecuzioni sotto Castro, non sapremo mai quante e di certo non grazie ai nostri antifascisti.
La storia si ripete.
“L’assenza di libertà è un dolore che alla lunga fa impazzire. Riduce l'uomo alla sua ombra e i suoi sogni ai suoi incubi”. Venerdì è stato pubblicato da Gallimard un testo inedito dello scrittore franco-algerino Boualem Sansal, romanziere innocente condannato a 5 anni di carcere, il “Padilla algerino”. Intitolato “Discorso per il premio per la pace dei librai e degli editori tedeschi”, Sansal lo ha pronunciato a Francoforte.
Da Praga, dove vivono, le due figlie di Sansal fanno appello alla clemenza per il padre malato.
“Avremmo potuto essere lui”, dirà lo scrittore Patrick Raynal, che in Italia pubblica per Einaudi. Lui non è Sansal, ma Cesare Battisti, il macellaio dei Proletari Armati per il Comunismo. A sostenere il terrorista rosso italiano (condannato per quattro omicidi), c’erano la giallista Fred Vargas, gli scrittori Philippe Sollers e Daniel Pennac, il regista Costantin Costa-Gravas e l’ex première dame Danielle Mitterrand, che indissero manifestazioni per dire no all’estradizione “vergognosa” di Battisti in Italia. A fine serata, la cantante Dominique Grange annuncia: “Vengo dalla stessa guerra di Cesare, per me le canzoni sono armi!”. E le note di “Bella Ciao!”….La serata fu raccontata da Libération. E ancora, grandi nomi della cultura come lo storico Pierre Vidal-Naquet, il filosofo Edgar Morin e Stéphane Hessel (l’autore di Indignatevi).
La cultura francese diede il peggio di sé sul terrorista rosso.
Ma tra i firmatari di tonitruanti appelli per Cesare Battisti in Italia (millecinquecento firmaioli, mica due) c’erano autori di rilievo come il collettivo Wu Ming, Valerio Evangelisti, Massimo Carlotto, Tiziano Scarpa, Nanni Balestrini, Giuseppe Genna, il filosofo confuso Giorgio Agamben, Christian Raimo, Stefano Tassinari e Pino Cacucci, tutta gente che pubblica soltanto con chi di dovere e che paga bene (Feltrinelli e Mondadori).
Questi scrittori sono stati decisivi nello spacciare la favola del rivoluzionario braccato da uno Stato che lo aveva condannato con prove scarse. Non era vero. Ora che è vero che uno stato senza prove arresta, processa e condanna uno scrittore innocente come Padilla, tacciono.
In Italia ci sono soltanto due persone che si occupano di cultura e che hanno firmato appelli e scritto in favore di Sansal: Giuliano da Empoli, che vive a Parigi, e il sottoscritto.
Lo racconta il settimanale Le Point in edicola: “Critico intransigente dell’islamismo e delle dittature del sud del mondo, Boualem Sansal sta probabilmente pagando la sua silenziosa lucidità. I media che si degnano di dare notizia della sua prigionia e condanna lo fanno evitando di prendere posizione”.
La massima di questi scrittori, sempre forti della menzogna accettata per spirito di gruppo, sembra essere parlare quando è meglio tacere e tacere quando è doveroso parlare.
Nel gruppo pro Battisti c’era anche la firma di Repubblica, conduttrice di Fahrenheit su Rai Radio3 e consulente del Salone del Libro di Torino, Loredana Lipperini. Ah, il Salone del Libro. Chissà se faranno qualcosa su Boualem Sansal.
Cesare Battisti pubblicava niente meno che per Einaudi, come se lo status di finto rifugiato politico gli concedesse anche un rifugio editoriale, mentre su Sansal, che per Einaudi ha pubblicato Il villaggio tedesco, la sua casa editrice non ha proferito parola.
Il grande scrittore franco-algerino, studioso del totalitarismo islamico, non ha avuto la possibilità di essere difeso dall‘avvocato che si era scelto, l’ex ambasciatore ed europarlamentare François Zimeray, sopravvissuto a Copenaghen nel 2015 ad un attentato dell’Isis. “È un sionista, non gli diamo il visto”, dicono di lui d Algeri.
Ecco, dunque: Sansal è arabo ma è antislamico ed è difeso da un “sionista”. Nessuno scrittore italiano si muove per un reprobo come l’autore di 2084. Se l’esule anticomunista cubano Jacobo Machover ha scritto in difesa di Sansal, non un editoriale sulla Repubblica, sul Corriere della Sera, su Avvenire, sulla Stampa e altre testate.
“Contro le parole, le sbarre”. Ma il mondo della cultura ha dimostrato di essere solidale con un terrorista che ha ucciso cinque innocenti e che si è improvvisato scrittore mentre cercava di non finire a Rebibbia e silente su un romanziere finito in carcere per aver difeso la sua (e anche un po’ la nostra) libertà.
Si vergogneranno almeno un po’?
Con Sansal al posto di Padilla, l’Islam al posto del comunismo e gli intellettuali per dirla con Albert Camus che come al solito “mettono la propria poltrona nel verso della storia”, siamo di nuovo lì, al “tradimento dei chierici”.
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