Liberare gli ostaggi ed eliminare Hamas: una condizione esclude l’altra
Analisi di Micol Flammini
Testata: Il Foglio
Data: 01/04/2025
Pagina: 1
Autore: Micol Flammini
Titolo: Ritorno a Nir Oz

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 01/04/2025, a pag. 1/4, con il titolo "Ritorno a Nir Oz", l'analisi di Micol Flammini.

Micol Flammini
Micol Flammini
Nel kibbutz di Nir Oz, tra chi aspetta il ritorno degli ostaggi - La Stampa
Nir Oz è la prova vivente della brutalità di Hamas e del tradimento di ogni speranza di convivenza. Chi ancora giustifica o finanzia questo gruppo terroristico è responsabile del sangue versato. La pace non può esistere finché Hamas resta in piedi

Nir Oz, dalla nostra inviata. La casa di Amit era l’unica con il terrazzo, bastava affacciarsi per vedere i campi, poi Gaza. Se ci si voltava dall’altra parte si vedeva tutto il kibbutz Nir Oz, stradina per stradina, inclusa quella con le abitazioni migliori, che in un kibbutz spettano sempre ai più anziani. Il terrazzo è ancora lì, il resto della casa è stato bruciato, Amit è stato ucciso da Hamas. Anche i campi sono ancora lì e oggi sono l’unico segno di vita perché se ci si volta,oggi, al posto del kibbutz si vedono rovine, cartelli con i volti degli abitanti rapiti o ammazzati, bandiere, alcune a brandelli. Quando Amit guardava Gaza, racconta Rita Lifshitz, pensava ai suoi progetti per migliorare la vita dei palestinesi, ai passi necessari per una convivenza futura, “e, come tutti noi qui, ci credeva davvero”. Rita è sicura ci si possa ancora credere, perché smettere di farlo sarebbe come cancellare Nir Oz. Per ora però di Nir Oz rimane soltanto la tragedia, la casa dei Bibas circondata di giochi consumati, le abitazioni bruciate, le montagne di terra accatastate alla ricerca di frammenti umani.

L’unico segnale di vita viene dai campi, oggi la sola ragione per cui c’è ancora chi viene in questo kibbutz attaccato alla Striscia dove abitavano ottocento persone: “Qui si coltivano le patate più buone del mondo – dice Rita senza ridere, con una fierezza assoluta – il sapore è dato dal fango e dalla sabbia”, ed estrae un pacchetto di patatine fritte come prova del fatto che sui prodotti della terra di Nir Oz non si scherza. Rita è la nuora di Oded Lifshitz, rapito da Hamas, tornato in una bara lo stesso giorno di Ariel e Kfir Bibas: “Era un giornalista, attivista per la pace, negli anni Ottanta andava a Gaza a insegnare ai bambini, era convinto che non possa esserci convivenza senza una buona istruzione” e Rita è sicura che non si pentirebbe di quegli anni, lo rifarebbe. Rita è dura, si aggira per il kibbutz soffocando la rabbia: “Dobbiamo tornare a Nir Oz, torneremo”. Dopo oltre cinquecento giorni di guerra, il kibbutz è immobile, ancora annerito, distrutto, la sua vita precedente è dispersa in mille schegge sul terreno e se gli abitanti non tornano non è soltanto perché per ricostruire ci vorrà tempo, almeno tre anni, ma perché Gaza è ancora Gaza, stretta nella mani di un Hamas indebolito ma sempre in piedi, e questa comunità che vuole un cessate il fuoco per veder tornare tutti i suoi ostaggi, vivi o morti, non vuole e non può riabitare le proprie case se i terroristi rimarranno gli incaricati della gestione della Striscia e quindi pronti a preparare un altro 7 ottobre. Finché continueranno le bombe su Gaza, nessun rapito farà ritorno, ma appena le bombe su Gaza si fermano, Hamas si rivitalizza. Il dilemma che affligge Israele dal 7 ottobre per gli abitanti dei kibbutz è un tormento perché Rita, come Oded e come Amit, crede davvero nella pace, nella convivenza, nell’idea di due popoli, israeliani e palestinesi,che anche adesso devono unirsi per combattere lo stesso male: Hamas. “Siamo i rifugiati di Israele”, dice Rita, sopravvissuta soltanto perché aveva lasciato il kibbutz la sera prima e vi avrebbe fatto ritorno la sera stessa. 

Il vuoto attorno alla Striscia di Gaza, nel territorio che in ebraico si chiama Otef Gaza, dove sorgono i kibbutz colpiti, è una delle conseguenze della guerra. Nessun israeliano è disposto a tornare a vivere vicino a Hamas e questo per i terroristi è un risultato, perché le zone disabitate sono più semplici da attaccare, mentre per lo stato di Israele è un problema di sicurezza e chi aveva scelto di avere come vicini i palestinesi della Striscia lo aveva fatto sia per portare avanti un progetto di sostegno alla popolazione di Gaza, sia perché aveva accettato di fidarsi della promessa che in caso di infiltrazione e attacco sarebbe arrivato lo stato a difenderli. Non è stato così, e dieci persone della kitat konenut, la squadra di sicurezza composta da civili presente in ogni kibbutz, a Nir Oz sono state lasciate sole a difendersi da oltre cinquecento terroristi addestrati.

L’esercito indaga sul suo fallimento e continua a dire che gli obiettivi dell’operazione nella Striscia sono due: liberare gli ostaggi ed eliminare Hamas. Il governo, ben poco amato dalla popolazione dei kibbutz, la pensa come i soldati. Anche per Rita sono queste le due condizioni per tornare a vivere a Nir Oz, ma una esclude l’altra. Nir Oz era un posto di gente idealista alla ricerca di soluzioni pratiche e non intende smentirsi: “Chi è stato rapito deve tornare, serve un accordo e serve ora. L’unica linfa che tiene in vita il terrorismo sono i soldi: chi manda denaro nella Striscia deve stare attento che non vada a Hamas”. Rita ha la soluzione. Dal terrazzo di Amit si vede benissimo.

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