Una brutta settimana per i Fratelli Musulmani
Commento di Ben Cohen
Testata: Informazione Corretta
Data: 31/03/2025
Pagina: 1
Autore: Ben Cohen
Titolo: Una brutta settimana per i Fratelli Musulmani

Una brutta settimana per i Fratelli Musulmani
Commento di Ben Cohen
(Traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.jns.org/a-bad-week-for-the-muslim-brotherhood/

Imponenti manifestazioni a Istanbul, Turchia, contro Erdogan. A pochi giorni dalle manifestazioni dei palestinesi a Gaza. Brutta settimana per la Fratellanza Musulmana (e meno male!)

Non è stata una buona settimana per due degli affiliati più importanti della Fratellanza Musulmana. A Gaza e in Turchia, gli ultimi giorni del mese sacro del Ramadan, sono stati segnati da dimostrazioni furiose che reclamavano la fine del governo, rispettivamente, di Hamas e del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP). Le dimostrazioni non sono collegate tra loro e non hanno alcun riferimento  l'una all'altra. Tuttavia, sono profondamente connessi i loro obiettivi, attraverso la loro fedeltà ideologica alla Fratellanza Musulmana, un movimento pan-islamista emerso quasi un secolo fa nel tentativo di imporre la legge della Sharia, e, più nell’immediato, attraverso l'energico sostegno ad Hamas fornito dal regime del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

Nel caso turco, le proteste sono state innescate dall'arresto da parte del regime, con accuse inventate di corruzione, di Ekrem Imamoglu, il sindaco di Istanbul che aveva pianificato di sfidare Erdoğan per la presidenza. Membro del Partito Popolare Repubblicano laico che ha affermato di considerare Hamas un'organizzazione terroristica, Imamoglu è stato diffamato dal regime, al punto che la sua laurea all'Università di Istanbul è stata annullata. Secondo la costituzione turca, i candidati alla presidenza devono possedere una laurea, quindi la mossa di Erdoğan è stata un modo efficace, seppur viscido, di mettere fuori gioco il suo avversario più credibile, almeno per ora. Le autorità turche hanno risposto violentemente alle proteste, arrestando quasi 2.000 persone. Tale comportamento è coerente con i precedenti di Erdoğan, in particolare da quando ha superato un presunto tentativo di colpo di Stato un decennio fa. Secondo il più recente rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti sulla deplorevole situazione dei diritti umani in Turchia, il regime di Erdoğan è colpevole di crimini quali tortura, sparizione forzata, persecuzione e molestie nei confronti di oppositori che risiedono all'estero, violenza di genere e persecuzione della minoranza curda. La libertà dei media è fortemente limitata: la Turchia è tra i primi Paesi in cui i giornalisti vengono regolarmente arrestati. Nonostante il suo terribile record interno, il suo sostegno per procura ai terroristi in Siria e la sua illimitata ammirazione per Hamas, la Turchia rimane un membro della NATO e un candidato a diventare membro dell'Unione Europea. Se la minaccia rappresentata dall'Iran per il Medio Oriente dovesse essere neutralizzata, la Turchia sarebbe pronta ad assumere il ruolo di Teheran, con il notevole vantaggio che, a differenza dei governanti iraniani, Erdoğan partecipa spudoratamente alle istituzioni create dalle democrazie occidentali, mentre condanna e mina i valori e le politiche che queste stesse istituzioni rappresentano. A Gaza, Hamas, lodata da Erdoğan come “organizzazione di resistenza che si sforza di proteggere le sue terre”, sta affrontando separatamente l'ira del suo stesso popolo. Durante il suo lungo regno a Gaza dal 2007, Hamas ha periodicamente affrontato l'opposizione locale per la sua corruzione e il carattere brutale del suo governo. Tuttavia, le attuali dimostrazioni, iniziate dopo che Israele ha emesso ordini di evacuazione per la parte settentrionale dell'enclave in seguito alla ripresa degli attacchi missilistici contro le comunità israeliane adiacenti al confine di Gaza, sono senza precedenti. I manifestanti chiedono la fine del governo di Hamas in un periodo di guerra, nientemeno. I loro cori includono "Fuori, fuori Hamas", "Il sangue dei nostri figli non è a buon mercato" e il semplice "Fermiamo la guerra". Come ho notato nel primo anniversario del pogrom di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele, un chiaro senso di stanchezza per la guerra si stava già insinuando tra molti palestinesi comuni. Tuttavia, la stanchezza per essere stati bombardati senza sosta da Israele non si è tradotta in un serio pentimento per le atrocità del 7 ottobre, durante le quali migliaia di civili palestinesi hanno attraversato il confine insieme ad Hamas per prendere parte al massacro e agli stupri di massa. Molti commentatori hanno posto l’accento sul fatto che, persino sotto il dominio nazista, ci sono stati molti europei che hanno rischiato la vita per salvare gli ebrei assediati, eppure a Gaza, come confermato dalle testimonianze di alcuni degli ostaggi liberati, non un solo palestinese ha fatto lo stesso a favore degli israeliani rapiti. Anche ora, mentre l'attuale ondata di proteste evidenzia un'insoddisfazione diffusa nei confronti dei loro governanti di Hamas, i palestinesi si sono astenuti dal chiedere il rilascio degli ostaggi rimasti e la fine definitiva delle provocazioni terroristiche e degli attacchi contro Israele. Così facendo, sicuramente, si porrebbe fine alla guerra che ha distrutto le loro case e i loro mezzi di sostentamento. E’ anche possibile a questo punto, trarre due conclusioni dalle proteste di Gaza. In primo luogo, il fatto stesso che si stiano verificando dimostra fino a che punto la campagna militare di Israele abbia degradato le capacità di imposizione di Hamas. Di conseguenza, Hamas è stata obbligata a diffondere messaggi contraddittori riguardo alla sua visione delle proteste. Da un lato, il portavoce di Hamas Bassem Naim, ha cercato di farle passare per dimostrazioni di rabbia contro Israele. Da un altro invece, e forse questa è una riflessione più veritiera della visione del gruppo terroristico, una dichiarazione rilasciata dai “Gruppi della Resistenza”, che includono Hamas, ha affermato che le proteste “insistono nell'incolpare la resistenza e nell'assolvere l'occupazione, ignorando che la macchina di sterminio sionista opera senza sosta”, e minacciano che “questi individui sospetti sono responsabili quanto l'occupazione per lo spargimento di sangue del nostro popolo e saranno trattati di conseguenza.”  In secondo luogo, le proteste sono un prendere atto da parte degli esausti abitanti di Gaza che Israele non può essere sconfitto militarmente e che qualsiasi futuro tentativo di pogrom incontrerà una risposta altrettanto devastante. Se Israele non può essere sconfitto sul campo di battaglia, allora come realizzerà Hamas il suo obiettivo di eliminare lo Stato ebraico come entità sovrana? Attraverso mezzi democratici? È difficile vedere molti israeliani votare per la dissoluzione del loro stesso Stato per vivere sotto il governo di coloro che violenterebbero le loro figlie e ucciderebbero i loro bambini. Tra i palestinesi si sta facendo strada la consapevolezza che il pogrom del 7 ottobre è stato un successo tattico ma un fallimento a lungo termine. Israele non sta scomparendo. E allora, forse,  il meglio che possiamo sperare in questo momento è: una pace basata sull'accettazione a malincuore dell’esistenza di Israele, collegata alla paura che qualsiasi tentativo di annullare quella realtà si tradurrà nel tipo di campagna militare a cui abbiamo assistito negli ultimi 17 mesi.   In un Medio Oriente senza Hamas e senza Erdoğan, quella pace fredda potrebbe sbocciare in qualcosa di più significativo, sebbene nessuna delle due prospettive sia facilmente realizzabile, ma molto più realizzabile dell'obiettivo di cancellare Israele dalla carta geografica. 

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen

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