Una settimana di Israele: dalle manifestazioni a Gaza alla minaccia nucleare dell’Iran
Analisi di Ugo Volli
Testata: Shalom
Data: 30/03/2025
Pagina: 1
Autore: Ugo Volli
Titolo: Una settimana di Israele: dalle manifestazioni a Gaza alla minaccia nucleare dell’Iran

Riprendiamo da SHALOM online del 30/03/2025, l'analisi di Ugo Volli dal titolo "Una settimana di Israele: dalle manifestazioni a Gaza alla minaccia nucleare dell’Iran".

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Ugo Volli

Una settimana intensa nel Medio Oriente iniziata bene con le manifestazioni palestinesi contro Hamas e conclusa con la nuova minaccia di annientamento di Israele da parte dell'Iran.

Manifestazioni contro Hamas
La notizia più clamorosa dell’ultima settimana in Medio Oriente riguarda le manifestazioni contro Hamas scoppiate martedì a Beit Lahia, nel nord di Gaza, e ripetute nei giorni successivi fino a venerdì anche in varie altre località della Striscia. Come ha detto Netanyahu si tratta di “qualcosa mai visto prima” che “dimostra che la nostra politica [della pressione militare] funziona”. È vero che in diciotto mesi di guerra a Gaza non si era mai presentata alcuna opposizione ai terroristi e che nessuno aveva neppure raccolto l’appello a liberare i rapiti (che sono spesso tenuti prigionieri nelle case civili), nonostante la promessa di ricche ricompense e di protezione. A differenza della Germania nazista o dell’Italia fascista non ci sono stati “giusti delle nazioni” o resistenti a Gaza. Anzi, ancora di recente, gli spettacoli grotteschi della consegna dei rapiti alla Croce Rossa sono stati molto affollati e applauditi. Perché dunque queste manifestazioni? Una ragione è certamente l’indebolimento dei terroristi, la dimostrazione che la volontà di Israele di eliminarli non è stata cancellata dalla grande preoccupazione per i rapiti, come probabilmente molti a Gaza e anche in Israele ritenevano. Ma chi ha organizzato questa manifestazioni in favore di telecamere? I clan locali decisi finalmente a riprendere il loro ruolo tradizionale di sovrani del territorio? Fatah, che vuole riafferrare il dominio di Gaza e gestire la ricostruzione, per cercare di riprendersi dall’irrilevanza in cui è da tempo caduta? La stessa Hamas, che ha fatto minacce contro i manifestanti, ma non li ha immediatamente uccisi, com’è nelle sue abitudini nei riguardi dei dissenzienti? Mostrare che esiste un popolo di Gaza distinto da sé potrebbe essere per il movimento islamico uno strumento utile per mimetizzarsi durante le trattative dietro “i civili innocenti” come ha sempre fatto nel corso dei i combattimenti e anche per rendere più difficile i piani di trasferimento della popolazione. È assai difficile stabilire quale sia il senso di queste manifestazioni, anche perché non è emersa nessuna dirigenza, nessun programma, nessuna alleanza. Lo capiremo se e quando il movimento si consoliderà.

La guerra prosegue al sud e al nord
Sia Hamas che Hezbollah hanno dato dei segni di nuova disposizione alla guerra la settimana passata, entrambi procedendo dopo settimane di calma al lancio di missili, senza gravi danni per Israele, ma suscitando allarme. Più preoccupanti le minacce che vengono dallo Yemen, con missili balistici più pesanti, ma tutti abbattuti. Israele ha risposto con numerose azioni su Gaza, che secondo le fonti di Hamas, naturalmente sempre inaffidabili ma significative, avrebbe eliminato un migliaio di terroristi (i civili erano stati avvertititi come di consueto e invitati preventivamente a lasciare il teatro degli attacchi). Sul Libano, oltre a colpi precisi che hanno liquidato gli apparati di lancio dei missili, l’aeronautica israeliana ha anche distrutto un edificio a Beirut che serviva da deposito di droni e altre armi per Hezbollah, dopo aver avvertito la popolazione. La strategia è stata spiegata dal ministro della difesa Katz: “bisogna che tutti sappiano che dal punto di vista di Israele ognuna delle nostre città equivale a quelle libanesi. A ogni colpo diretto verso la Galilea replicheremo su Beirut”. Per quanto riguarda lo Yemen, se ne stanno occupando gli americani, che hanno chiesto a Israele di non intervenire e lasciar fare a loro. Gli attacchi questa settimana sono stati energici e hanno colpito obiettivi sensibili, ma non sono stati ancora sufficienti a bloccare i lanci terroristi.

L’Iran
Il punto cruciale di questa guerra e dell’intero conflitto mediorientale è l’Iran. Ormai il tempo stringe. Fonti americane hanno dichiarato che il regime iraniano è pronto all’uso dell’arma atomica, gli basta solo una settimana per renderne operativa una. Trump ha scritto qualche tempo fa una lettera di avvertimento all’ayatollah Khamenei e ha stabilito un ultimatum informale di due mesi per il disarmo nucleare dell’Iran. Il governo degli ayatollah ha fatto sapere di aver risposto con la mediazione del Qatar, ma non si conosce il contenuto della missiva. Nel frattempo la marina americana sta facendo convergere tre gruppi navali guidati da portaerei intorno al Medio Oriente e l’aviazione ha spostato sulla base britannica dell’isola di Diego Garcia nell’Oceano Indiano, a 5000 chilometri dal centro dell’Iran uno stormo di bombardieri B2, i più moderni e potenti del mondo, invisibili al radar, con un’autonomia di 12.000 chilometri, i soli capaci di portare le superbombe che possono penetrare per decine di metri nel cemento dei bunker più protetti, anche quelli delle gallerie piene di missili di recente esibiti da filmati ufficiali dell’Iran. Il senso di queste mosse è chiarissimo: nel giro di qualche settimana al massimo o il regime iraniano si arrenderà e cederà accettando di disarmare, oppure vi sarà un’azione militare per distruggere le sue capacità, che non potrà non coinvolgere in un modo o nell’altro anche Israele. Solo in questa maniera la pace potrà tornare in Medio Oriente.

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