Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/03/2025, a pagina 15, con il titolo "La Turchia volta le spalle a Erdogan il tiranno che si credeva sultano" il commento di Bernard-Henri Lévy.
Bernard-Henry Lévy
Talvolta, la ragione è nella Storia. Capita che i popoli si innalzino al di sopra di sé stessi e siano grandi. Gli Antichi - lo scrivo su queste pagine da anni - avevano due parole per designare il popolo. La turba dei Latini (o l’ochlos dei Greci), ovvero il popolo che si faceva turba, folla, moltitudine, branco, che non voleva altro che il nulla. Oppure il populus (in greco demos), che era il popolo in assemblea, la cittadinanza sovrana e capace, come nel 1789, di scuotere il giogo dei tiranni e aspirare alla libertà. Ebbene, è questo il popolo che, nel momento in cui scrivo, si sta ammassando nelle strade delle città turche. È lui che, in manifestazioni colossali, chiede la liberazione di Ekrem Imamoglu, il sindaco laico di Istanbul, investito dal suo partito per sfidare con i suoi colori Erdogan nel 2028. È lui che, come il suo leader, ripete giorno e notte, scandendo a pieni polmoni: «Sono in piedi, non mi piegherò mai», oppure «Diritti, legge e giustizia», o ancora «Non aver paura, siamo noi, il popolo». Ed è lui che sembra non voler cedere, malgrado le repressioni, le centinaia di arresti, le liste dei sospetti, le minacce, gli account su X chiusi - a prescindere da quello che dice Elon Musk - su richiesta delle autorità. Si tratta di un movimento che non ha precedenti dai tempi delle manifestazioni di Gezi del 2013. È una sollevazione popolare i cui slogan ricordano quelli delle donne iraniane, degli studenti di Hong Kong, dei ribelli di Georgia, Serbia o Bielorussia. È un’insubordinazione contro uno dei cinque “re” (Erdogan quindi, ma anche Putin, Xi, la guida suprema iraniana, Isis e soci) che non faccio altro che ripetere che sono una minaccia esistenziale per il mondo libero. Un momento fantastico e bellissimo. Ebbene, in questo momento in teoria storico l’Europa non fa niente, non dice niente, non si esprime, nel migliore dei casi, se non con parole di circostanza - «profonda preoccupazione… preoccupante passo indietro per la democrazia…». Erdogan non ha forse il controllo, grazie agli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli, della rotta dal Mediterraneo al Mar Nero? Non è un altro grande esperto della “art of deal” che, nel 2015, sotto l’egida di Angela Merkel, è riuscito a concludere con Berlino un patto leonino che, in cambio di una rendita annua di qualche miliardo di euro, lo impegna a trattenere centinaia di migliaia di migranti, in arrivo perlopiù dalla Siria, e che minaccia di lasciar “riversare” in Europa? Non siamo paralizzati dal nodo gordiano di una presenza nella Nato che risale all’epoca in cui l’ex potenza ottomana doveva essere un baluardo nei confronti dell’Unione Sovietica e dove si arrivò a intavolare il dibattito sull’adesione della Turchia all’Unione europea (dibattito che, detto per inciso, non si è mai concluso visto che 16 dei suoi “capitoli” restano tuttora aperti)? Pensate! Il secondo esercito dell’alleanza per numero di effettivi dopo quello degli Stati Uniti… La sua base più grande a Incirlik, sul Mediterraneo, non lontano dalla Siria… E, in quella base, un centinaio di ordigni nucleari americani conservati dagli anni Cinquanta - e si fa davvero fatica a credere che la loro chiave si trovi oltre Atlantico… E l’impossibilità, sì, di tagliare quel nodo perché nella Carta della Nato non esiste una clausola che prevede l’esclusione di uno dei suoi membri - oltretutto fondatore! - dall’alleanza… Pertanto, circospezione. Prudenza. E, sotto la spada di Damocle, proteste puramente formali. Una pusillanimità simile sbigottisce. Penso infatti agli armeni dell’Artsakh, nostri amici, che le forze armate dell’Azerbaigian hanno combattuto e poi scacciato con l’aiuto della Turchia, e di cui stanno per cancellare addirittura la memoria e ciò che ne resta nelle loro terre ancestrali. Penso ai curdi di Rojava, altri amici, a Est della Siria, anche loro bestia nera di Erdogan che egli bombarda ad Afrin, Manbij, Kobanê. Penso a Israele, naturalmente, l’eliminazione della quale questo Fratello musulmano non perde occasione di domandare - del resto, non fu uno dei primi, all’indomani del 7 ottobre, a dichiarare con la kefiah al collo che Hamas non è “un’organizzazione terroristica” bensì un gruppo di «mujaheddin che difendono le loro terre»? Penso ai suoi rapporti con Putin, di cui non si capisce mai molto bene se è nemi (quando uno dei suoi F16 abbatte un cacciabombardiere Sukhoi che si era avventurato nel suo spazio aereo) o amico (quando acquista da lui un sistema di difesa antiaerea made in Russia e incompatibile - a dir poco - con i sistemi e le procedure della Nato). Penso a Cipro occupata. Penso alla Grecia minacciata. Penso alla mia cara Bosnia, il cui Islam illuminista lo mette in ombra e a bordo del quale egli tenta di salire. Queste prospettive, questi ricordi, si affollano nella mia mente. E mi dico che malintesi e farse sono durati troppo a lungo. Anche il suo popolo lo pensa e sembra disposto, adesso, a tagliare ogni rapporto? Ne ha abbastanza di questo tiranno sempre più vecchio che si è creduto un Solimano senza essere mai stato nient’altro che Ubu? Beh, tanto meglio. Non soltanto dobbiamo auspicarlo, ma se possibile incoraggiarlo. Ci farebbe onore. Ed è nostro interesse.
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