Il coraggio di sfidare la buoncostume del pensiero unico
Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 29/03/2025
Pagina: 4
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: Il coraggio di sfidare la buoncostume del pensiero unico

Riprendiamo da LIBERO di oggi 29/03/2025, a pag. 4, con il titolo "Il coraggio di sfidare la buoncostume del pensiero unico", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Paolo Del Debbio manda a quel paese Luca Bottura e Massimo Giannini che lo accusano di fare "retequattrismo", l'insulto normalmente usato dai giornalisti di sinistra contro l'informazione non politicamente corretta. Eppure, come vediamo nei servizi da Israele, anche Mediaset è diventata di sinistra e politicamente correttissima. Ben venga dunque un Del Debbio che osa ancora sfidare il pensiero unico.

In “Totò, Peppino e la malafemmina” c’è una frase di Totò divenuta leggendaria, che esprime bene – altro che semplice battuta – il modo di pensare di troppi: «C’è chi può e chi non può. Io può».
Ecco: se stai dalla parte che si autoproclama “buona e giusta”, puoi (anzi: “può”) tutto. Anche tirare i capelli alla prima giornalista sgradita che ti capita a tiro (Prodi docet). Se invece stai dalla parte “sbagliata” della lavagna, nella casella dei “cattivi”, allora sei per forza un reietto, quello che a Roma (senza alcun riguardo per le virtù delle madri) viene definito un “fijo de ‘na mignotta”, mentre nei casi più gravi si passa addirittura al “gran fijo de ‘na mignotta”.
L’ultimo esempio di clamoroso doppio standard si è registrato tra giovedì sera e venerdì mattina. L’altra sera, a Dritto e rovescio, su Rete 4, Paolo Del Debbio si è tolto la soddisfazione di rispondere per le rime a chi, in modo sprezzante, aveva parlato di “retequattrismo”.
Così, rivolgendosi a Luca Bottura, Del Debbio ha scandito: «Lo dica a sua sorella».
E ancora: «Non esiste il “retequattrismo”. Se pensa che sia qualcosa che non va bene, se lo tenga per sé, perché non se ne fotte nulla nessuno di Luca Bottura». Da quel momento, sui social, si è registrata un’autentica ovazione, con il clippino di Del Debbio divenuto virale.
Stesso entusiasmo social per l’altra invettiva del conduttore di Dritto e rovescio, quella verso Massimo Giannini che aveva parlato di “sicari”. Anche qui Del Debbio ha colpito e affondato il bersaglio: «Quell’altro piccolo genio di Massimo Giannini che dice: “È ora di rispondere a questo giornalismo”, come se lui fosse Letterman. Ma andate a fare in c...o». Applausi a scena aperta. Attenzione però: perché invece- nei salotti e nei salottini “bene” della sinistra- è montata l’indignazione anti-Del Debbio, con i soliti professorini col ditino alzato sdegnati e schizzinosi. Peccato che poche ore dopo, ieri mattina, dopo l’uscita dell’intervista di Giorgia Meloni sul Financial Times, gli indignati della sera prima (contro Del Debbio) si siano trasformati in hooligans anti-Meloni.
Trovate su Libero di oggi una galleria eloquente di insulti contro la premier. Ma sul gradino più alto del podio si colloca senza dubbio Antonio Nicita, senatore dem, anzi addirittura vicepresidente del gruppo Pd a Palazzo Madama, nonché - prima della sua avventura parlamentare- membro autorevole dell’Agcom, cioè di quella stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ci ha inflitto per anni fervorini e documentoni contro il “discorso d’odio”.
E che ha detto il soave Nicita, che peraltro è notoriamente persona colta, capace di scegliere con cura le parole? Eccolo qua: «È caduta la maschera della premier Meloni: il passo da underdog a dog ammaestrato è stato breve».
Avete letto bene: la Meloni come una cagna. Del resto, una donna non di sinistra diventa per ciò stesso una “non persona”: un oggetto a cui si può fare e dire di tutto, dalla tirata di capelli prodiana fino a questo sgraziato paragone canino.
Naturalmente in questo caso non si è indignato nessuno. Ed è anzi fin troppo facile immaginare che, dopo questo nostro commento su Libero, qualche volpone obietterà: che differenza c’è tra le parole dure di Del Debbio e quelle di Nicita?
Ecco, le differenze sono almeno due. La prima è che, nel caso di Del Debbio, è subito intervenuta la “buoncostume del pensiero”, sono scattati come molle gli indignati in servizio permanente effettivo; mentre per Nicita non c’è stato nessun problema, semaforo verde, tutto regolare.
La seconda differenza è che l’insulto di Del Debbio è tecnicamente democratico e liberale: è la reazione di chi rifiuta la superiorità morale altrui, di chi pretende di stare sullo stesso piano dei suoi interlocutori, non sotto ma neanche sopra. Mentre per Nicita vale esattamente il contrario: il suo è l’insulto aristocratico e oligarchico di chi ritiene di stare un gradino più su e di avere i titoli etici, politici e culturali per dare lezioni agli altri. Il solito atteggiamento della sinistra convinta di poter dare le pagelle al resto del mondo.
E allora, amici lettori, siamo sempre lì, alla vecchia storia del “controllo della narrazione” da parte dei progressisti, alla pretesa di modellare l’ambiente mediatico così minuziosamente da impedire perfino la legittimità teorica della posizione altrui.
Lasciamo da parte le polemiche squisitamente politiche, perché il metodo vale per tutto. Pensate a come il controllo della narrazione venga ferreamente praticato anche in occasione di eventi tragici (stragi, attentati, ecc.). Come sapete, in quei casi, rispetto all’idea che le persone tenderanno a farsi dei fatti, conta moltissimo la prima versione che viene veicolata.
Ecco, se la prima versione è “accettabile” e “conveniente” secondo i canoni di sinistra, allora viene immediatamente sparata in modo implacabile e con forza mediatica soverchiante: ad esempio, quando il probabile colpevole è un estremista di destra, un razzista, un suprematista bianco armato fino ai denti, e così via.
Quando invece esiste il rischio (sempre attraverso lenti di sinistra) di una versione “scomoda”, allora scatta il riflesso mediatico di attenuare-attutire-sfocare-smorzare: pensate ai casi in cui, per evitare di chiamare in causa l’estremismo islamico dopo un attentato, si usa la formula surreale “auto sulla folla” (come se un’automobile avesse deciso da sola di travolgere delle persone innocenti), o quando si evita accuratamente di indicare la nazionalità o l’origine o la religione del responsabile di una strage.
Contro tutto questo, serve molta consapevolezza, molta capacità da parte della destra di attingere alla cassetta degli attrezzi liberale, e anche (ha di nuovo ragione Del Debbio) la forza liberatoria di un “vaffanculo” ben detto. Grazie, Paolo.

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