La fuga degli ebrei dall’Europa
Newsletter di Giulio Meotti
Testata: Newsletter di Giulio Meotti
Data: 27/03/2025
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: La fuga degli ebrei dall'Europa, il canarino nella miniera, lo scorpione e la rana bollita

Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "La fuga degli ebrei dall'Europa, il canarino nella miniera, lo scorpione e la rana bollita".


Giulio Meotti

Christiania, il quartiere hippy di Copenaghen, teatro di uno degli ultimi episodi di antisemitismo: una ragazza ebrea aggredita perché portava la bandiera di Israele sul suo zaino.

Mi scusino i lettori che preferivano un articolo su Romano Prodi che tira i capelli a una giornalista, sul PD che diceva che non era vero, sui giornalisti in coro che assicuravano che era una fake e su quanto il “dibattito” italiano sia malato di senile banalità.

Ho preferito occuparmi di Orléans, la città di Giovanna d’Arco, la ragazzina che salvò la Francia dalla conquista inglese durante la Guerra dei Cent’Anni.

Il rabbino di Orléans, Aryeh Engelberg, sta camminando con il figlio di nove anni quando è preso a calci e pugni, morso alla spalla e insultato, altro che la tirata di capelli del senile del PD. Quando si dice la demografia: il 37 per cento dei giovani di Orleans è extra-europeo, rispetto al 2 per cento nel 1968, anno fatidico.

Poche ore prima, una ragazza ebrea attraversava Christiania, il famoso quartiere fricchettone di Copenaghen. Pensava di trovarsi nella “Città Libera”, autogestita e bohemien.

La donna ha una bandiera israeliana nello zaino. Un uomo le chiede se sia ebrea e lei risponde di sì. “Ne sei orgogliosa?”. Quando la donna ha risposto di nuovo di sì, l’uomo le sputa addosso. La donna chiama la polizia, ma nel frattempo è apparso un altro uomo che le intima di gettare via la sua “maledetta” bandiera israeliana. “All'improvviso un gruppo di uomini si è precipitato verso di me. Un uomo con aspetto mediorientale mi ha urlato di togliere immediatamente la bandiera”. Iniziano a strappargliela, mentre un altro urla che aveva bisogno di un coltello per tagliarla. “C'erano almeno 50 persone che guardavano e quando ho urlato per chiedere aiuto, uno degli uomini ha sorriso beffardamente e ha detto: 'Nessuno ti aiuterà qui'. Poi mi ha afferrata per la gola e ha iniziato a strangolarmi con le mani. Quando finalmente sono riuscita a parlare con la polizia non mi ha chiesto se stavo bene, ma perché portavo una bandiera israeliana in una zona come Christiania”.

Il primo ministro danese Mette Frederiksen è uno dei pochi leader socialisti in Europa che non ha tradito la base popolare. Concorda con l'affermazione del vicepresidente J.D. Vance secondo cui la migrazione di massa sta distruggendo il tessuto sociale dell'Europa. In un'intervista a Politico Europe, Frederiksen, che, a differenza di molti dei suoi omologhi socialdemocratici nell'establishment politico europeo ha frenato l'ascesa della destra danese opponendosi alla migrazione di massa, ha ammesso che Vance "aveva ragione" nel suo discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco quando ha messo in guardia dalle minacce poste dalla migrazione. “Considero questa migrazione di massa in Europa una minaccia per la vita quotidiana in Europa”.

Intanto Faiz Shah di Bradford, Mohammad Comrie di Leeds ed Elinaj Ogunnubi-Sime di Croydon rapivano un ebreo israeliano, a Londra. La loro vittima, Itay Kashti, produttore musicale e compositore di Londra, è stato attirato in un cottage per le vacanze nel Galles occidentale con la scusa di lavorare con dei musicisti, per essere preso a calci, pugni e ammanettato a un termosifone dai tre islamici.

Benvenuti in Eurabia!

In Francia c’è un’aggressione antiebraica ogni tre giorni. A Londra, un ebreo rischia di perdere un occhio. A Berlino un attentato sventato all’ambasciata israeliana (a segno quello al Memoriale della Shoah). In Svezia, ebrei sotto scorta. A Roma, un ragazzino con la kippah aggredito in via Nazionale.

E tutto per restare tra gennaio e febbraio e non prenderla troppo larga (il quadro sarebbe ancora più terrificante).

A Roma poteva finire male, malissimo, come è successo a Milano a Nathan Graff, israeliano con la kippah ferito a coltellate alla schiena, alla gola e al volto.

E pensare che in Italia certi giornalacci, come il Fatto, pubblicano vignette di primi ministri israeliani con la kippah e la didascalia “l’ebreo (ab)errante”.

Una settimana prima, a Trieste, un ebreo con la kippah si è sentito dire per strada da due che impugnavano la bandiera palestinese: “Ebreo, ti sgozziamo”. L’estate scorsa era successo qualcosa di simile ad Ariel Haddad, rabbino capo della Slovenia e responsabile del Museo della comunità ebraica triestina.

“Peccato che non siamo in anni precedenti  altrimenti ti avremmo potuto bruciare”:  queste le parole che un  bambino ebreo di undici anni con la kippah  si è sentito rivolgere da un coetaneo a Torino.

“Ci nascondiamo, ci rendiamo irriconoscibili e la kippah la copriamo con il cappello”, ha confessato Cesare Moscati, rabbino della comunità ebraica di Napoli.

Di fronte alla residenza per anziani della comunità ebraica di Milano, un uomo ha insultato due ebrei ortodossi, chiamandoli “assassini”.

Gli ebrei norvegesi sono sempre più preoccupati di essere curati presso le strutture sanitarie norvegesi.

Chi vorrebbe rimanere in questa Europa? Ha ragione Geert Wilders: “La minaccia esistenziale di Israele ora minaccia anche l’Europa”.

“In Inghilterra, ci sono corti islamiche e polizia che applicano la legge della Sharia” ha appena detto Pierre Martinet, ex ufficiale dei servizi segreti francesi. “Alcuni quartieri sono governati dall'Islam. In Europa, abbiamo visto enormi dimostrazioni con bandiere di Al Qaeda o dello Stato Islamico. Non fare nulla sarebbe suicida”.

Al porto di Helsingborg, nel sud della Svezia, nel 1943 arrivavano le barche che portavano in salvo gli ebrei danesi. A Helsingborg oggi ci sono 100 ebrei su una popolazione di 100.000. E la comunità ebraica ha rifiutato persino di partecipare alle commemorazioni della Notte dei Cristalli perché l’incontro era stato organizzato da partiti di sinistra e musulmani. Dopo l’accoltellamento di una donna ebrea, Amnon Tsubari, padre di sette figli con la doppia cittadinanza svedese e israeliana, ha deciso: “Il futuro dei miei figli è in Israele”.

Qualche settimana fa è venuto fuori che l’Iran minaccia di morte i capi della piccola comunità ebraica svedese. Si tratta di Saskia Pantell, presidente della Federazione sionista di Svezia, e di Aron Verständig, presidente del Consiglio delle comunità ebraiche svedesi. Come gli attacchi pianificati (e in parte realizzati) a tre sinagoghe nella Renania Settentrionale e al presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, Josef Schuster. Il killer in questo caso doveva essere il tedesco-iraniano Ramin Yektaparast, un criminale a capo di una gang di motociclisti. Yektaparast reclutò un conoscente (anch’egli tedesco-iraniano) per l’attacco alla sinagoga di Bochum. Un altro progettò un attacco alla sinagoga di Dortmund. Poi quattro colpi contro la sinagoga di Essen e l’abitazione del rabbino locale. A settembre, investigatori in Germania e Francia hanno rivelato che agenti iraniani hanno assunto criminali per sorvegliare ebrei e attività commerciali ebraiche a Parigi, Monaco e Berlino negli ultimi mesi.

Menachem Margolin, presidente dell’Associazione ebraica europea (EJA), ha appena rivelato che “40.000 ebrei hanno lasciato l’Europa senza alcuna intenzione di tornare”.

E “il 57 per cento degli ebrei europei pensa di andarsene”. Questo è l’altro dato appena uscito dalla conferenza del Combat Antisemitism Movement a Vienna, che ha riunito i leader delle comunità europee. Il numero di incidenti antisemiti è aumentato del 400 per cento in alcune parti d’Europa. “Stiamo perdendo la battaglia”, ha affermato da Vienna Ariel Muzicant, presidente del Congresso ebraico europeo. “Tra qualche anno, il 50 per cento delle comunità potrebbe non esistere più”.

“Vorrei conficcare un coltello appuntito direttamente nella gola di ogni ebreo che incontro”. Così aveva scritto Herman Brusselmans, un noto scrittore fiammingo, sulla rivista Humo. L’Associazione ebraica europea ha intentato un’azione legale sia contro la rivista belga sia contro lo scrittore, accusando entrambi di “incitamento all’omicidio”. Ora un giudice ha stabilito: “Rientra nella libertà di espressione”.

Se avesse scritto “vorrei conficcare un coltello appuntito direttamente nella gola di ogni nero che incontro”, lo avrebbe assolto?

“Addio Europa, benvenuto Israele”. Questo il titolo del documentario di Arte sull’ebrea olandese Shirli e l’italiano Massimo che hanno scelto di lasciare l’Europa per fare aliyah. Come biasimare Shirli? La scorsa settimana un’altra minaccia a una scuola ebraica di Amsterdam: “Uccideremo tre vostri studenti”.

Soltanto un pazzo non li prenderebbe sul serio. L’Università di Amsterdam intanto caccia gli studenti israeliani.

Joel Kotkin racconta la “fuga degli ebrei dall’Occidente”: “La popolazione ebraica in Europa era di 3,5 milioni nel 1950, dopo l’Olocausto. Oggi è scesa ben al di sotto di 1,5 milioni. La Francia ospita la terza comunità ebraica più grande al mondo, ma si sta riducendo. Dal 2000, 50.000 ebrei hanno lasciato la Francia, per lo più diretti in Israele. Ancora più scioccante è stato il virtuale annientamento degli ebrei nei paesi islamici: un milione fino agli anni ‘60, oggi ci sono meno di 15.000 ebrei che vivono in questi luoghi”.

“La popolazione ebraica europea odierna è paragonabile a quella del Medioevo” avverte Guillaume Erner. “Con la Shoah l'antisemitismo raggiunse il suo obiettivo in Europa. Mentre nel 1939 la Polonia era popolata da 3.500.000 ebrei, nell'Unione Europea ne restano 750.000, di cui 450.000 in Francia. L'altro elemento vertiginoso, di cui nessuno parla, è la scomparsa degli ebrei nel mondo arabo. Lì vivevano un milione di ebrei”. Oggi, nessuno.

Gli ebrei inglesi se ne stanno andando, racconta lo Spectator. Samuel Hayek, presidente del Fondo Nazionale Ebraico, ha scioccato l’Inghilterra: “Gli ebrei non hanno futuro nel Regno Unito”, ha detto Hayek, che vive nel Regno Unito da 40 anni ed è uno dei più famosi filantropi del paese. La popolazione musulmana inglese potrebbe triplicare nei prossimi vent’anni e arrivare a 13 milioni entro il 2050.

E se in Norvegia sono rimasti appena 1.300 ebrei, non si era mai vista una simile ondata di antisemitismo nel paese di Quisling. Un ragazzino ebreo è stato appena cacciato da un negozio di Bergen. “A causa del crescente antisemitismo in Norvegia e nel governo norvegese, gli ebrei norvegesi hanno iniziato a fare l'aliyah in Israele” scrive da Oslo Hanne Ramberg. “Mi sento orribile perché il governo norvegese non protegge la propria minoranza, che deve quindi emigrare per avere una vita sicura”.

Martin Bodd, responsabile dell'informazione presso la Norwegian Mosaic Faith Community di Oslo, ha appena raccontato: “Non vogliamo solo sopravvivere, ma vivere. Molti ebrei nascondono la loro identità in pubblico. Bambini, giovani, adulti e anziani non indossano simboli ebraici. Non si tratta di una rievocazione dell'Olocausto, ma di una reminiscenza degli anni '30. Allora gli ebrei si nascosero, ma ci trovarono lo stesso. Non oso pensare a cosa significhi essere un israeliano in Norvegia”.

Intanto Meir Villegas Henriquez, rabbino ortodosso del Beit Midrash (centro studi ebraici) di Rotterdam, in un videomessaggio registrato nella sua sinagoga ha detto:

“Viviamo in una nuova realtà demografica che semplicemente non può essere cambiata. Preparatevi a fare aliyah. Parlate con i vostri figli o nipoti e spiegate loro che qui non c'è futuro. Aiutateli a studiare l'ebraico. Investite in immobili, online, lavori da remoto: tutti i passaggi necessari per rendere possibile il trasferimento in Israele”.

“L’Europa senza gli ebrei non sarà più l’Europa”, dice Philippe Val, l’ex direttore di Charlie Hebdo.

Anche il rabbino capo della Grande Sinagoga di Parigi, Moshe Sebbag, chiama alla partenza: “Non c’è futuro per gli ebrei in Francia. Dico a tutti i giovani di andare in Israele o in un paese più sicuro”. Il presidente della comunità ebraica di Tolosa, Arié Bensemhoun, ha consigliato ai giovani di lasciare la città. Tolosa contava fino a 20.000 ebrei. Oggi sono rimasti in 10.000.

Negli ultimi quindici anni, 60.000 di 350.000 ebrei hanno lasciato l'Ile-de-France. Dal 1972, 106.000 ebrei francesi sono partiti per Israele. “In pochi decenni non ci saranno ebrei in Francia", ha detto Richard Abitbol, presidente della Confederazione degli ebrei francesi.

“Che peccato che gli ebrei abbiano abbandonato in massa Sarcelles a causa dell'islamofobia”, commenta ironico su Le Figaro il magnifico Samuel Fitoussi.

Anche il rabbino capo di Barcellona, Meir Bar Hen, ha invitato gli ebrei a fare le valigie. “Questo posto è perso. Meglio andarsene prima che dopo” in Israele. La nostra comunità “è condannata” sia a causa dell’Islam radicale sia per la riluttanza delle autorità a confrontarlo. Bar Hen ha invitato i correligionari “a pensare di non essere qui per sempre. Li ho incoraggiati a comprare casa in Israele”. “Gli ebrei non hanno futuro in Europa”, gli fa eco Avraham Gigi, rabbino capo di Bruxelles.

E così i ministri israeliani rinunciano a mettere piede a Bruxelles nei timori della sicurezza.

Sulla Germania ho appena letto sul Telegraph un articolo drammatico del demografo inglese Paul Morland: racconta la sua storia familiare di ebreo innamorato della Germania, di Schiller, Schubert, Bach, Beethoven, delle arie che ascoltavano a casa, dei nonni che si sentivano tedeschi, dell’avvento del nazismo, della fine di un mondo e di come oggi la Germania stia andando di nuovo a picco.

Ci sono 2.300 ebrei ad Amburgo, contro 100.000 musulmani. La demografia non decide sempre tutto, ma spesso sì.

“Passeggiando per lo Scheunenviertel, il vecchio quartiere ebraico tra Rosenthaler Platz e Hackescher Markt, non si può fare due metri senza imbattersi in triangoli rossi, adesivi simpatizzanti per Hamas, slogan ‘Dal fiume al mare’ o ‘Palestina libera” scrive Mirna Funk sulla Welt. “Mitte, Kreuzberg e Neukölln si sono trasformati in zone di battaglia visive e verbali in cui, in quanto ebreo, ti viene ricordato a ogni angolo che la tua vita è in pericolo”.

“Cari membri della comunità! Come al solito, sopra troverete una panoramica delle manifestazioni anti-israeliane a Stoccarda questo fine settimana. Vi consigliamo di evitare queste aree”. Questo l’annuncio pubblicato dalla comunità ebraica nel Württemberg, la regione tedesca in cui si trova Stoccarda. Se sei ebreo, evita Stoccarda, la città sede della Mercedes Benz e dell’autore dell’Amico ritrovato Fred Uhlman.

Perché a Stoccarda ci sono zone vietate agli ebrei a causa del feroce attivismo pro Hamas e dell’antisemitismo fuori controllo. Il Simon Wiesenthal Center, che prende il nome dal leggendario cacciatore di nazisti, sta per emettere un avviso di viaggio per gli ebrei che desiderano visitare la città, perché l’intensa attività pro Hamas ha creato “zone vietate” per la comunità ebraica.

Henryk Broder

Ho chiesto un commento a Henryk Broder, 78enne ebreo tedesco, autore di bestseller, uno dei giornalisti più celebrati della Germania che scrive una rubrica per un quotidiano Die Welt:

“Abbiamo sempre più commissari contro l’antisemitismo e l’antisemitismo aumenta. La situazione attuale è il risultato delle politiche degli ultimi anni, l’accoglienza di tutti. Non c’è mai stato un tempo in Germania senza antisemiti, ma ora è socialmente accettabile essere antisemita. Karl Lagerfeld lo aveva detto con una semplicità geniale: ‘non puoi uccidere sei milioni di ebrei e poi portare nel paese milioni dei loro peggiori nemici’. Non sono stato io a inventare il termine ‘antisemitismo importato’, ma l’ho reso popolare nel 2014 in un articolo sul quotidiano Bild. Abbiamo importato antisemiti che sono molto orgogliosi di essere antisemiti. Siamo all’happy hour antisemita, ogni weekend ci sono manifestazioni contro gli ebrei e Israele. Non si nascondono più sotto il tavolo, sono fieri. Importiamo energia che non produciamo più e importiamo antisemiti. Al governo sono serviti dieci anni per ammetterlo. E’ pericoloso farsi vedere come ebreo in pubblico. Ci sono zone vietate. Nelle manifestazioni devo dire che la percentuale di tedeschi nativi è relativamente bassa. Hamas è molto popolare. Ma gran parte dei manifestanti sono arabi e palestinesi che cercano di sfruttare il senso di colpa tedesco. Hanno manifestato anche davanti al nostro ministero degli Esteri gridando ‘liberate Gaza dal senso di colpa tedesco’. Capito? Non siate più in colpa per la Shoah e aiutateci a eliminare Israele. Stanno facendo un appello a un sentimento popolare per cui Hamas può finire il lavoro interrotto nel 1945. Stanno dicendo: ‘Finiremo il problema ebraico in medio oriente e in Europa’. Ci sarà ancora una vita ebraica in Europa, ma gli ebrei saranno relegati in certe zone e ci saranno ancora dei religiosi che si sacrificano, mentre i laici lasceranno. La domanda è: per dove? Forse molti ebrei torneranno a est: Cracovia, Praga, Budapest, Breslavia. I luoghi della Shoah, dove oggi sono molto più al sicuro. L’ironia della storia?”.

Il riconoscimento delle “no-go zone” nelle città europee non dovrebbe sorprendere gli osservatori più attenti. Dopotutto, a marzo dello scorso anno, Robin Simcox, il commissario anti estremismo dell’allora governo conservatore britannico, ha affermato che Londra è diventata una “no-go zone per gli ebrei” durante le marce del fine settimana organizzate a favore dei palestinesi (e di Hamas).

Tra chi ha fatto le valigie c’è anche Piergiorgio Even Bertolozzi Caredio, pittore di Siena. “Ho sempre sognato di andare a vivere in Israele, il 7 ottobre mi ha dato una spinta in più. È stato un evento traumatico. Poche settimane dopo l’attentato, sono andato in Israele a fare volontariato nei kibbutz colpiti. A Siena mi era venuta la nausea, sopportavo a fatica tutte quelle bandiere palestinesi in piazza, gli appelli dei professori universitari a boicottare Israele, non sentivo attorno a me un briciolo di comprensione per quello che era accaduto, mi è sembrato di vivere quello che agli ebrei era accaduto alla fine degli anni Trenta”.

L’assalto contro gli ebrei è un assalto contro l’Occidente e la mendace narrazione palestinese ha sfruttato una debolezza autodistruttiva nella società occidentale. Lo spiega molto bene Melanie Phillips nel suo nuovo libro, The Builder’s Stone: How Jews and Christians Built the West—and Why Only They Can Save It.

Ha ragione Melanie Phillips quando scrive che “l’Occidente si trova sul baratro della distruzione”.

“Per dare un senso ai sanguinosi eventi degli ultimi dodici mesi in Medio Oriente, sono dovuto andare a Vilnius” scrive lo storico Niall Ferguson sulla Free Press. “Potrebbe sembrarvi bizzarro, dato che Vilnius è la capitale della Lituania e dista circa 1.600 miglia da Tel Aviv. Ma Vilnius un tempo era ‘la Gerusalemme del Nord’, così la chiamava Napoleone quando la attraversò nel 1812. Oggi è una bella città, con i suoi affascinanti edifici del XVIII e XIX secolo, molti dei quali ristrutturati in modo creativo da quando la Lituania ha riacquistato l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991. Eppure, Vilnius è una città di fantasmi. Che così tanta della sua architettura barocca sia sopravvissuta alle brutalità dell’occupazione prima sovietica, poi nazista, poi sovietica è notevole. Gli abitanti ebrei non furono così fortunati. Per comprendere Israele oggi, devi prima capire cosa è successo agli ebrei d’Europa. E’ la storia di cosa può succedere a un popolo senza uno stato nazionale. E’ la storia di un popolo senza un esercito proprio. Ed è la storia di cosa potrebbe succedere di nuovo se ai nemici del popolo ebraico venisse data la possibilità, ancora una volta, di realizzare le loro fantasie”.

In qualche modo sta succedendo di nuovo, senza SS, senza rastrellamenti, senza treni e fosse comuni.

Leo Baeck

Dopo la liberazione dal campo di concentramento di Theresienstadt, il grande rabbino e filosofo Leo Baeck scrisse: “Un’epoca nella storia è finita per noi ebrei... Credevamo che lo spirito tedesco ed ebraico potessero incontrarsi sul suolo tedesco e, attraverso il loro matrimonio, potessero diventare una benedizione. Era un’illusione: l’epoca degli ebrei in Germania è finita una volta per tutte”.

Sarebbe uno dei più grandi successi della storia dimostrare che questo grande uomo si sbagliava. Ma dovremmo fare come l’Ungheria, dove oggi esiste una sempre più grande e sempre più sicura comunità ebraica e sappiamo perché: hanno pochissima immigrazione islamica.

Ma io temo che Baeck avesse ragione.

Natan Sharanksy, l’ex refusnik sovietico, ha detto: “Stiamo assistendo all’inizio della fine della storia ebraica in Europa”. Quando Sharansky ha chiesto ad Alain Finkielkraut se “l'ebraismo europeo ha un futuro in Europa”, il filosofo ha risposto con una domanda: “L’Europa ha un futuro in Europa?”.

Sarà un’Europa post-cristiana, semi-islamizzata e Jüdenrein. In tanti lavorano a questo terribile scenario.

“Preoccupati dal nostro senso di colpa per l'imperialismo occidentale e per le ‘riparazioni’ per la tratta atlantica degli schiavi, non siamo consapevoli che la recente immigrazione dai paesi islamici ha, ancora una volta, dato vita realistica e immaginaria al principale obiettivo islamico della conquista” scrive Ayaan Hirsi Ali. “Costantinopoli è già islamica, così come alcuni stati dell'Europa orientale (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo e Azerbaigian). Khamenei ed Erdoğan stanno attualmente promettendo la distruzione degli ebrei e la conquista di Gerusalemme. È facile vedere che per chiunque sia immerso nel Corano, che si trovi nel Regno Unito o in qualsiasi altra parte del mondo, il riassorbimento di Al-Andalus e della penisola iberica nella Ummah sembrerà inevitabile. E poi, per quanto assurdo possa sembrare a noi occidentali, Roma, Parigi, Londra e New York devono seguire. Non importa quanto tempo ci vorrà, il mondo intero deve sottomettersi”.

Il motto di Christiania, il quartiere hippy di Copenaghen dove si è liberi di fare tutto tranne che portare una bandiera israeliana, è: “The world is in our hands”. Ci piacerebbe, ma non è più così. O per dirla con Joel Rubinfeld, presidente della Lega belga contro l’antisemitismo, “qualunque siano le loro motivazioni, un giorno questi apprendisti stregoni impareranno a proprie spese la metafora del canarino (ebreo) nella miniera. La storia ci ha insegnato che gli antisemiti cominciano sempre dagli ebrei, ma non si fermano mai lì. In altre parole, gli ebrei sono l’antipasto, gli altri sono la portata principale. Potrebbero almeno leggere la favola dello Scorpione e della Rana per rendersi conto che coloro per cui dimostrano oggi si rivolteranno contro di loro domani. Questa è la meccanica implacabile della Storia”.

E noi siamo la rana che, cotta a fuoco lento, non riesce a saltare fuori dalla pentola e viene bollita.

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