È tempo di abolire la burocrazia dell'ONU pro-Hamas 17/03/2025
Commento di Ben Cohen
Autore: Ben Cohen

È tempo di abolire la burocrazia dell'ONU pro-Hamas 
Commento di Ben Cohen
(Traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.jns.org/its-time-to-abolish-the-uns-pro-hamas-bureaucracy/

UNRWA, l'agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, collusa con Hamas, è solo la punta dell'iceberg. Tutta la burocrazia ONU è intrisa di antisionismo e antisemitismo, da sempre.

Stiamo attualmente sperimentando la peggiore ondata di antisemitismo a memoria d’uomo. Ma questa consapevolezza non dovrebbe indurci a pensare che il mondo prima dell'ottobre 2023 fosse tutto rose e fiori per il popolo ebraico. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino al massacro di Hamas in Israele, ci sono stati innumerevoli episodi ed eventi che hanno sottolineato che l'odio e il sospetto verso gli ebrei come collettività non si sono dissolti con i nazisti. Verso la fine di quest'anno celebreremo il 50° anniversario di uno dei più atroci di quei sovvertimenti, di cui stiamo ancora oggi subendo le conseguenze: l'approvazione da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite della risoluzione 3379 del 10 novembre 1975, che stabilì che il Sionismo, il movimento di liberazione nazionale degli ebrei, era una forma di razzismo. Israele e i suoi alleati hanno otto mesi di tempo per decidere se quell'anniversario sarà celebrato come una vittoria postuma o come un giorno di lutto. Certo, si potrebbe sostenere che la vittoria arrivò già nel 1991 quando, sulla scia dell'espulsione dell'Iraq dal Kuwait occupato e del conseguente sforzo degli Stati Uniti di convocare negoziati di pace regionali, la diplomazia americana - che, subito dopo la Guerra Fredda, non aveva rivali seri - ottenne l'abrogazione da parte dell'Assemblea Generale della sua risoluzione del 1975. Ma quella, purtroppo, fu una vittoria momentanea per due motivi.

In primo luogo, l'ideologia antisionista che sta alla base della risoluzione, persiste. Orchestrata dall'Unione Sovietica, la risoluzione 3379 denunciava il Sionismo come una “minaccia alla pace e alla sicurezza nel mondo.” Tracciava un collegamento esplicito tra Israele e gli ex regimi delle minoranze bianche in Sudafrica e Zimbabwe per comprovare le sue accuse di “razzismo” e “apartheid.” Tali accuse suoneranno stranamente familiari agli studenti universitari ebrei che, tutti nati molto tempo dopo il 1975, stanno ora affrontando l'assalto pro-Hamas. In secondo luogo, mentre l'Assemblea Generale annullava la risoluzione 3379, la burocrazia filo-palestinese creata all'interno delle Nazioni Unite, esattamente nello stesso periodo, persiste. Il risultato è che l'organismo mondiale si comporta ancora come se “il Sionismo è razzismo” fosse ancora scritto indelebilmente nei libri. Se l'anniversario di novembre deve trasmettere un messaggio di speranza per israeliani ed ebrei, allora è imperativo affrontare e smantellare quella burocrazia e la relativa operazione di propaganda. Nei 18 mesi trascorsi dal pogrom di Hamas in Israele, abbiamo visto quella burocrazia in azione. L'UNRWA, l'agenzia creata originariamente nel 1949 per occuparsi della prima generazione di rifugiati arabi in seguito alla Guerra d'Indipendenza di Israele, è stata un pilastro del messaggio anti-israeliano, imperturbabile di fronte allo smascheramento di decine dei suoi dipendenti come agenti di Hamas.

Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, che nelle sue deliberazioni triennali dedica un intero punto all'ordine del giorno solo a Israele, ignorando i trasgressori seriali come Russia, Iran e Corea del Nord, la scorsa settimana ha rilasciato una litania di accuse inventate sotto le mentite spoglie di un “rapporto” che equivaleva a ciò che Israele ha definito una “calunnia del sangue.” Una delle più deleterie odiatrici di Israele sulla scena, Francesca Albanese, continua a svolgere il ruolo di relatrice speciale delle Nazioni Unite sui “Territori palestinesi occupati.” E’ giunto il momento di concentrarsi su quegli elementi dell’apparato burocratico palestinese che sono relativamente nascosti.

Il Dipartimento per gli Affari Politici delle Nazioni Unite gestisce una Divisione supplementare per i Diritti Palestinesi, il cui compito è quello di portare avanti l'agenda del Comitato per l'Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese, composto da 25 membri e da 24 osservatori provenienti dagli Stati membri. L'abolizione di tale Comitato, e quindi  con esso il Dipartimento, dovrebbe diventare un obiettivo esplicito dello Stato di Israele, delle varie organizzazioni non governative ebraiche con posizione di osservatori presso le Nazioni Unite e della più ampia comunità di organizzazioni di ricerca e attivismo  che spingono per l'uguaglianza sovrana di Israele all'interno del sistema delle Nazioni Unite. Il Comitato è stato creato lo stesso giorno dell'approvazione della risoluzione “Il Sionismo è razzismo” per dare espressione concreta al manifesto antisionista incarnato dalla risoluzione. I “diritti inalienabili” che questo Comitato rappresenta includono “l'esercizio da parte dei palestinesi del loro diritto inalienabile a tornare alle loro case e proprietà da cui sono stati sfollati e sradicati.” Si noti la terminologia qui utilizzata: non “rifugiati palestinesi della guerra del 1948-49”, ma tutti i palestinesi, compresi quelli nati dopo il 1948 nel mondo arabo, in Europa, in Nord America e in America Latina. Non ci vuole un grande intuito per rendersi conto che si tratta di una formula per l'eliminazione della sovranità ebraica nella terra di Israele, la stessa formula che guida l'attuale movimento di solidarietà pro-Hamas e gli conferisce l'immeritata patina di diritti umani.  I costi di gestione di questo Comitato sono stimati in 6 milioni di dollari all'anno. Come ho scritto qualche mese dopo l'insediamento presidenziale del primo mandato di Donald Trump, “In termini organizzativi internazionali, non è niente di che, ma se si considera come vengono spesi i soldi, è poco meno che osceno. Si vorrebbe immaginare che questo fatto sia qualcosa che il Presidente Trump istintivamente capirà e agirà di conseguenza.” Nel frattempo l'avversione di Trump per le burocrazie esagerate e a sfondo politico non ha vacillato. Per questo motivo e per vari altri, è ragionevole aspettarsi che, quando verrà finalmente confermata come la scelta dell'amministrazione nel ruolo di ambasciatrice alle Nazioni Unite, l'ex deputata di New York Elise Stefanik, questa farà dello smantellamento del Comitato una priorità.

Lo scorso settembre, quando l'Assemblea Generale ha approvato una risoluzione che chiedeva il ritiro immediato di Israele dalla Giudea e dalla Samaria, avvertendo che lo Stato ebraico “deve sopportare le conseguenze legali di tutti i suoi atti illeciti a livello internazionale”, Stefanik ha rilasciato una risposta tagliente. Ha affermato: “Le Nazioni Unite hanno approvato a larga maggioranza una vergognosa risoluzione antisemita per chiedere che Israele si arrenda ai terroristi barbari che cercano la distruzione sia di Israele che dell'America.” “Ancora una volta la putrefazione antisemita delle Nazioni Unite è in piena evidenza dato che punisce Israele per essersi difeso e premia i terroristi sostenuti dall'Iran.”

La “putrefazione” a cui si riferiva Stefanik è (come lei sa benissimo) istituzionalizzata e strutturale, radicata nel cuore dell'organizzazione da 50 anni, se non di più. Nel 1965, due anni prima che la Guerra dei Sei Giorni portasse Israele al controllo della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme Est, i sovietici insistettero durante le sessioni di stesura della Convenzione sull'Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale affinché fosse inclusa accanto a “Nazismo” e “antisemitismo” una condanna del “Sionismo.” Come ha osservato lo studioso israeliano Yohanan Manor, i dibattiti della Convenzione “hanno mostrato agli arabi e all'Unione Sovietica che era possibile far condannare il Sionismo solo se fossero riusciti a trovare un modo per assicurarsi il sostegno del blocco afro-asiatico.” Dieci anni dopo, hanno ottenuto proprio questo con l'approvazione della Risoluzione 3379. Come si potrebbe ottenere l'abolizione del Comitato? Molti anni fa, il defunto diplomatico americano Richard Schifter mi disse che “un numero significativo di ambasciatori a New York vota contro Israele senza istruzioni dai loro governi. Poiché queste risoluzioni riguardano questioni di bilancio, ai sensi delle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite richiedono una maggioranza di due terzi. Quindi la risposta al problema è che ci si rivolge ai capi di governo. Questo implica che si diano istruzioni agli ambasciatori su come votare.”

Ora c'è un precedente per questo: nell'agosto 2020, il Presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha ritirato il suo Paese dal Comitato solo pochi mesi dopo la sua elezione. Dato il suo impegno a proteggere Israele all'interno delle Nazioni Unite e delle sue agenzie e dipartimenti associati, gli Stati Uniti devono perseguire lo stesso risultato con quanti più Stati possibile, da qui a novembre e, se necessario, oltre.

 

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen