Riprendiamo da LIBERO di oggi, 13/03/2025, a pag. 9 con il titolo "Nel rapporto sui bambini vittime di guerra l’Onu scorda gli israeliani uccisi da Hamas" il commento di Giovanni Sallusti.
Giovanni Sallusti
Benjamin Netanyahu aveva torto, ma per difetto. L’Onu non è solo una “palude antisemita”: si sta seriamente candidando a succursale estera di Hamas. Parole immani?
Mai quanto le parole che le Nazioni Unite non pronunciano, non scrivono, non pensano. La belva dell’antisemitismo contemporaneo si nutre anche, forse soprattutto, di silenzi, di ritrosie, di omissioni. Come quella raccontata ieri da Giulio Meotti su Il Foglio, che sposta ancora un po’ più in là la soglia dell’inadeguatezza (se non del collaborazionismo con i tagliagole coranici, volontario o meno a questo punto è irrilevante) che ormai domina su tutto ciò che riguarda il Palazzo di Vetro.
Rapporto annuale delle Nazioni Unite sulla tragedia non riscattabile per definizione: il coinvolgimento dei bambini nelle zone di conflitto.
L’assurdità della guerra che azzera il futuro, oltre a devastare il presente. Due nomi che ti aspetti di trovare sicuramente, in un documento del genere, sono quelli di Ariel e Kfir Bibas: i fratellini rapiti il 7 ottobre con la madre Shiri e poi strangolati a mani nude e multati nei loro corpicini dentro i tunnel dell’orrore di Gaza, differenti dalle baracche di Auschwitz solo per scala quantitativa. L’abisso (in)umano è identico: un bambino di 4 anni e uno di nove mesi ammazzati in quanti bambini ebrei. Ebbene, i loro nomi nel Rapporto non ci sono. Sono spogliati della loro umanità due volte, viene loro negato il diritto all’esistenza, e alla memoria, persino su carta intestata Onu. Viene menzionata, ad esempio, una ragazza palestinese “rapita” dalle forze di sicurezza israeliane. Ma Ariel e Kfir no, sono già flatus vocis, cenere nel vento come i loro nonni macellati dai nonni di Hamas, quelli con la svastica. Allo stesso modo, scompaiono anche i nomi dei dodici bambini israeliani appartenenti alla comunità drusa falciati mentre giocavano a calcio da un razzo di Hezbollah, il “Partito di Dio”. Quale Dio è superfluo specificarlo: quello che piace molto all’Onu, basti ricordare la presidenza del Forum per i Diritti Umani assegnata alla Repubblica islamica totalitaria dell’Iran. Un tragico ossimoro, ma anche l’abituale prassi delle Nazioni Unite. Meno di un mese fa Martin Griffiths, sottosegretario generale per gli Affari Umanitari (!
), aveva rinunciato a ogni infingimento: «Hamas non è un gruppo terroristico per noi, è un movimento politico». È l’umanitarismo di ascendenza onusiana: gli sgozzatori di civili e massacratori di bambini come il Partito dei Pensionati. E non era una mattana del sottosegretario, mala coerente applicazione della linea del principale, il Segretario generale Antonio Guterres. Quello che, a cadaveri ancora caldi nei kibbutz, sentenziava: «L’attacco di Hamas non viene dal nulla, è frutto dell’occupazione». Tralasciamo l’evidenza storica per cui la Striscia di Gaza venne restituita unilateralmente ai palestinesi da Ariel Sharon, per questo duramente contestato in Israele. Più ancora dei fatti, contano i simboli: per le teste d’uovo dell’Onu, Ariel e Kfir non esistono, la loro soppressione in nome del terrorismo antisemita non merita di comparire nel catalogo del crimine, i loro nomi non risuonano e non si tramandano. Per Guterres e luogotenenti, loro sì venivano “dal nulla”, e vanno riconsegnati al nulla. Hamas applaude.
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