Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'analisi di Ben-Dror Yemini tradotta da YnetNews dal titolo "Ciò che vuole Trump è porre fine alle (costose) guerre di logoramento, inclusa quella tra Israele e Hamas".
Ben-Dror Yemini
La coalizione anti-terrorismo condusse una lunga, estenuante e implacabile lotta contro i talebani. Il Qatar, celebrato da molti come mediatore diplomatico, ospitava i capi talebani durante quei giorni sanguinosi, consolidando ulteriormente la reputazione del regime qatariota come “doppiogiochista”.
Questa duplicità non è una novità per il Qatar. Il piccolo ma ricco stato del Golfo è stato uno dei principali finanziatori della radicalizzazione islamista, ostracizzato da gran parte del mondo arabo per le sue provocazioni jihadiste. Eppure si posizionò come mediatore tra gli Stati Uniti e i talebani.
I negoziati segreti tra le parti progredirono silenziosamente, avvicinandosi a un momento culminante: un vertice a Camp David nel settembre 2019, dove avrebbero dovuto incontrarsi i capi talebani, il governo afghano e l’amministrazione statunitense.
I talebani da un lato tagliavano mani e lapidavano donne, dall’altro tendevano la mano ai rappresentanti degli Stati Uniti, il tutto con la mediazione del Qatar.
Il summit non si tenne. La dirigenza talebana, incapace di trattenersi, continuò a compiere attacchi terroristici. Gli americani, ormai, ci erano abituati. Ma poco prima del summit, un attentato a Kabul uccise 11 afghani. Anche su questo si sarebbe potuto soprassedere. Il guaio fu che l’attentato era costato la vita anche a un soldato americano. E il summit fu bruscamente annullato.
“Per molti americani – scrisse all’epoca Fox News – è difficile digerire l’idea che membri talebani, che avevano offerto rifugio a Osama bin Laden, venivano ricevuti con tutti gli onori dal presidente degli Stati Uniti”.
Ma la storia non finì certo lì. L’annullamento del summit fu solo una digressione. Il Qatar riportò le parti al tavolo delle trattative.
Questo non avveniva sotto Barack Obama, né sotto Joe Biden: al comando c’era Donald Trump.
I negoziati con i talebani vennero aspramente criticati. Alla fine, l’accordo che fu firmato prevedeva che i talebani cessassero le attività terroristiche, interrompessero i legami con Al-Qaeda, si astenessero dal minare il governo afghano in carica e preservassero persino i diritti delle donne.
Ma l’accordo non valeva la carta su cui era scritto. L’inchiostro non si era ancora asciugato che i talebani ripresero la loro campagna terroristica.
Trump perse le elezioni del 2020 e l’amministrazione Biden proseguì con l’attuazione dell’accordo, nonostante le ripetute violazioni.
Il resto, come si suol dire, è storia. Gli Stati Uniti e i loro collaboratori furono costretti a una caotica e precipitosa ritirata.
Qui non siamo in Afghanistan e Hamas non è i talebani. Ma Trump è Trump.
Certo, la sua logica a volte è difficile da decifrare. Di recente, ha inferto un duro colpo all’Europa, e in particolare all’Ucraina. Ora, improvvisamente, sta pensando di imporre dure sanzioni alla Russia, nonostante quella che sembrava essere una forte vicinanza con Putin.
Ma a dispetto di quelle che possono sembrare decisioni ondivaghe o mosse contraddittorie, il filo conduttore dell’approccio di Trump è la volontà di porre fine a guerre prolungate e impossibili da vincere.
Si ritirò dall’Afghanistan perché era chiaro che altri anni in quel pantano non avrebbero migliorato la situazione. Dopo 18 anni di guerra, la superpotenza più forte del mondo non era riuscita a sconfiggere i talebani.
La stessa logica si applica alla guerra in Ucraina. È diventata una guerra di logoramento. Gli Stati Uniti vi hanno già speso direttamente 120 miliardi di dollari, e non se ne vede la fine.
Trump, come è nel suo stile, infrange le norme e le sue azioni inizialmente appaiono sconcertanti. Ma c’è del metodo nella follia. Vuole porre fine alle guerre che non hanno una data di scadenza definita né risultati tangibili.
Dal punto di vista di Israele, stiamo brevemente tirando il fiato. Le spedizioni di armi sono riprese. Le dichiarazioni di sostegno a Israele danno a Netanyahu un certo margine di manovra, sebbene non sia chiaro se sappia come usarlo in modo efficace.
Eppure, nonostante gli apparenti zig-zag del comportamento di Trump, emerge la stessa logica di fondo. Trump ha negoziato con i talebani: perché non dovrebbe prendere in considerazione l’idea di impegnarsi con Hamas?
Concede a Israele luce verde, ma solo per raggiungere l’obiettivo. E l’obiettivo non è un’altra guerra di logoramento che costerebbe miliardi agli Stati Uniti. L’obiettivo è la fine del conflitto.
Anche l’idea del trasferimento della popolazione di Gaza, che probabilmente non si concretizzerà mai, serve come una sorta di tattica d’urto.
Così come la minaccia di scatenare “l’inferno”. Come? Sanzioni? Bombardamenti? Queste misure possono essere rilevanti per l’Iran, non per Hamas a cui importano poco. L’unica vera leva di Trump è Israele che, con il suo incoraggiamento, minaccia di riprendere i combattimenti.
Ma la cosa è tutt’altro che lineare. Israele è una democrazia, non una irresponsabile macchina da guerra. Senza il rilascio degli ostaggi, la maggior parte dell’opinione pubblica israeliana si oppone con forza alla ripresa dei combattimenti.
Niente è definito. Sullo sfondo rimane l’Iran, alle prese con una grave crisi economica in parte dovuta alle rinnovate sanzioni di Trump. Intanto continua a intromettersi, così come fa la Fratellanza Musulmana, con un’influenza significativa in Giordania ed Egitto, parallelamente ai suoi antagonisti jihadisti che hanno preso il controllo della Siria.
Al momento ci troviamo in una finestra di opportunità. Ma è solo questione di tempo prima che Trump ci sorprenda di nuovo.
Durante questa finestra, l’assoluta priorità è assicurare il rilascio degli ostaggi, anche a caro prezzo. Farlo non indebolirà Israele, anzi lo rafforzerà in vista del passo successivo: riprendere la lotta per debellare Hamas.
(Da: YnetNews, 9.3.25)
Per inviare a israele.net la propria opinione, cliccare sull'indirizzo sottostante
http://www.israele.net/scrivi-alla-redazione.htm