Riprendiamo da BET Magazine di marzo 2025, a pag. 4, con il titolo "'Italia e Israele sono due Paesi amici, che condividono valori e progetti. Dobbiamo potenziare questo rapporto speciale'. Parla l’ambasciatore di Israele in Italia", l'intervista di Ilaria Myr all'ambasciatore di Israele in Italia, Jonathan Peled.
«Dobbiamo raggiungere in qualche modo una reciproca comprensione e un accordo, non possiamo continuare a essere in guerra. Questa è l’eredità che avere lavorato per anni al fianco di Shimon Peres mi ha lasciato. L’Italia? È un nostro amico, che può senza dubbio darci un supporto politico sullo scenario europeo e aiutarci a raccontare le nostre ragioni e la verità». Sono parole di speranza, chiare e lucide quelle che ci ha concesso il nuovo ambasciatore di Israele in Italia, Jonathan Peled, durante una visita a Milano a gennaio, durante la quale ha anche incontrato i responsabili della comunità ebraica.
Insediatosi nel settembre 2024 (il suo ruolo comprende anche San Marino), Peled è un diplomatico di lungo corso: è stato portavoce del Ministero degli Esteri e Portavoce dell’Ambasciata israeliana a Washington D.C, ambasciatore di Israele in El Salvador, in Messico e, prima di venire in Italia, ad interim in Australia. Inoltre, è stato Vice Direttore Generale del Ministero degli Esteri e Capo della Divisione America Latina e Caraibi. In precedenza, è stato anche Consigliere politico del Presidente della Knesset e Consigliere politico aggiunto del Ministro degli Esteri Shimon Peres, partecipando ai negoziati di pace israelo-palestinesi seguiti agli Accordi di Pace di Oslo.
Da quando si è insediato nel ruolo di ambasciatore in Italia, che idea si è fatto della politica italiana e del suo atteggiamento nei confronti di Israele? Quali erano le sue conoscenze del mondo politico italiano e in generale dell’Italia?
Sono stato molto contento di venire in Italia, che ho scelto rispetto a un’altra destinazione che mi era stata proposta. Ovviamente, mi ero informato sul vostro Paese e il suo mondo politico, ma ho piacevolmente constatato che c’è un rapporto di vera amicizia fra l’Italia e Israele, e sono rimasto sorpreso nel vedere quanto è vasta la cooperazione fra i due Paesi, in tanti ambiti. Sul fronte politico, abbiamo molti amici, soprattutto nell’attuale coalizione al governo guidata dalla premier Giorgia Meloni, ma anche in altri partiti e in molte amministrazioni regionali. Penso dunque che ci sia molta affinità e vicinanza fra i due Paesi e questo rende il mio lavoro molto più agevole. Condividiamo molti interessi e valori, siamo entrambi paesi mediterranei e c’è molta cooperazione; quindi, per me è un grande momento per essere in Italia.
Che linea pensa di perseguire qui? E che apporto pensa che l’Italia possa dare a Israele?
Sono convinto che dobbiamo portare più Italia in Israele e più Israele in Italia. L’Italia può senza dubbio darci un supporto politico sullo scenario europeo e può avere un importante coinvolgimento in Medio Oriente, che sia in Libano o nel futuro di Gaza, come partner e sostenitore dello Stato di Israele.
Come pensa sia giusto fare conoscere all’Italia le mille facce di Israele e le sue ragioni? Quanto è importante l’hasbarà?
Uno dei miei obiettivi principali è rafforzare la nostra presenza nell’opinione pubblica, sui media e social media, ma anche nella società civile, innanzitutto nelle università. Per questo motivo sto studiando l’italiano, in modo da potere comunicare nella vostra lingua, durante le interviste o negli appuntamenti istituzionali: sono infatti convinto che oggi ci sia bisogno di una voce più forte nella stampa pubblica italiana e non si può fare se non in italiano.
Detto questo, cercherò di dare un maggiore impatto alla nostra presenza in Italia, per dimostrare che Israele non è solo un alleato, ma anche un partner che può fare molto per l’Italia in molti ambiti: da quello tecnologico a quello scientifico, dalla cooperazione al turismo, ecc..
Lei però sa meglio di me che quello delle università è oggi un mondo in molti casi ostile a Israele …. Le manifestazioni e le occupazioni anti-Israele non si contano …
È sicuramente una grande sfida per noi, ma è un grande problema anche per la società italiana. Quello che stiamo vedendo anche qui in Italia è la connessione fra l’estrema sinistra anarchici e l’antisemitismo, che trasforma normali manifestazioni sui temi più vari in manifestazioni propalestinesi e antisraeliane. Trovo assurdo che una dimostrazione degli operai di un’industria automobilistica venga dominata da bandiere palestinesi, senza che l’iniziativa abbia alcuna connessione con il conflitto. Questo fenomeno fa però parte del radicalismo e dei comportamenti anarchici, che creano solo danni nella società italiana, con azioni di vandalismo e attacchi fisici alla polizia. E ovviamente anche attacchi alle sinagoghe e agli ebrei. Questa è quindi una responsabilità che, come ambasciata, condividiamo con le autorità italiane, che stanno facendo un grande lavoro per contenere queste derive violente, e che nulla hanno a che vedere con il sostegno alla causa palestinese.
Quali sono gli ambiti di collaborazione fra Italia e Israele che vuole potenziare durante il suo mandato?
Prima di tutto dobbiamo rilanciare il turismo, che sta lentamente riprendendo grazie alla riattivazione di molti voli. Inoltre, dobbiamo consolidare le cooperazioni già in essere, che a causa della guerra hanno perso di vigore e, una volta ripristinate, dobbiamo sfruttare le opportunità per iniziare nuovi scambi. Un esempio concreto: in occasione delle Olimpiadi invernali del 2026 che si terranno in Lombardia e Veneto, abbiamo l’opportunità di portare l’expertise israeliana nel settore della tecnologia, della salute, dello sport-tech e della smart mobility.
Altre aree in cui possiamo dare il nostro contributo all’Italia sono quello delle energie rinnovabili e quello dell’acqua, in cui Israele è il più grande esperto mondiale. Ma ce ne sono anche tante altre in cui in cui l’Italia può essere di supporto a Israele: ad esempio nel settore automotive, in cui voi avete una grande expertise dal punto di vista produttivo, mentre noi abbiamo il know how tecnologico.
Nella sua carriera diplomatica in giro per il mondo, ha avuto modo di percepire l’antisemitismo? E dopo il 7 ottobre ha percepito una grande differenza?
Prima di venire in Italia ero in Australia, e in quel periodo ci sono state due guerre fra Israele e Hamas a Gaza, e prima ancora ero in Messico, durante tre operazioni militari: ogni volta ho visto una crescita dell’antisemitismo, ma era nulla in confronto a quello che è successo – e tutt’oggi sta succedendo – dopo il 7 ottobre. Da quando sono in Italia, però, non ho percepito, a livello personale, un alto livello di antisemitismo, anche se le comunità ebraiche mi raccontano di una crescita dell’insicurezza dopo il ‘sabato nero’.
Pensa che se la guerra davvero finirà, l’attenzione mediatica a senso unico nei confronti di tutto ciò che fa Israele si placherà? E l’antisemitismo: continuerà a questo ritmo?
L’antisemitismo è purtroppo un sentimento millennario e sfortunatamente non penso che sparirà mai. Detto questo, ci vorrà del tempo perché parte della copertura mediatica diventi più equilibrata, data la grande disinformazione e le molte fake news che circolano e che incitano all’odio. Dobbiamo quindi continuare a comunicare e a fare conoscere la verità al mondo, che deve capire cosa esattamente sta succedendo, che non è tutto bianco e nero, e che il quadro è estremamente complesso e articolato.
Un esempio molto chiaro lo abbiamo avuto guardando le immagini da Gaza, durante la liberazione delle prime tre ragazze ostaggio (Emily Damari, Romi Gonen e Doron Steinbrecher, liberate il 19 gennaio, ndr) : non era una società civile e pacifica e democratica quella in cui erano state prigioniere per 471 giorni, ma una società radicalizzata, terrorista e guidata dall’odio. E francamente non mi è sembrato che le persone che abbiamo visto nelle immagini stessero subendo un genocidio o morendo di fame, come in questi mesi è stato invece continuamente detto… Il mondo deve davvero cominciare a capire che è stato ingannato da continue bugie.
Questo processo però prenderà del tempo. Dobbiamo continuare a lavorare e a portare avanti le nostre ragioni, in difesa della democrazia, della giustizia, del diritto a esistere e per la pace. Il mondo ha bisogno di essere meglio informato e deve capire che oggi è Israele a essere colpito, ma domani sarà l’Europa e anche l’Italia.
Credo che molte persone qui l’abbiano capito, ma il problema rimane con le nuove generazioni. Non hanno informazioni, e sono incitati dalle fake news, senza avere alcuna connessione con il mondo palestinese e nessuna idea del perché stanno manifestando. Dobbiamo aiutare le perosna ca pire come stanno realmente le cose.
Che eredità ha lasciato in Lei la sua esperienza con Shimon Peres e la partecipazione agli accordi di Oslo?
Per me è senza dubbio il messaggio che possiamo raggiungere un futuro migliore con i nostri vicini, dobbiamo rimanere ottimisti. Forse con la sua visione Shimon Peres è arrivato troppo presto, ma aveva capito che dobbiamo raggiungere in qualche modo una reciproca comprensione e un accordo con i nostri vicini, perché non possiamo continuare a essere in guerra. Abbiamo bisogno di una soluzione politica e diplomatica al conflitto. La speranza è che dopo questa terribile guerra il mondo capisca meglio quali sono le nostre necessità. Questa almeno è l’eredità che Shimon Peres ha lasciato in me. Io non voglio per le future generazioni un futuro di guerra, e per questo dobbiamo trovare una soluzione, meritiamo un po’ di quiete, sicurezza e una qualche forma di pace. Può essere anche una “pace fredda”, come quelle siglate con l’Egitto e la Giordania, ma pur sempre pace. Siamo vicini e dobbiamo imparare in un qualche modo a vivere insieme.
Hamas è però ancora vivo e vegeto. Come si deve depotenziare un nemico che inneggia alla distruzione di Israele? Chi se ne deve occupare? Che ruolo devono avere gli altri Paesi arabi (Arabia saudita, Egitto, Giordania, ecc…)
In realtà non è così vero quello che dice. Hamas è stata seriamente indebolita dalla guerra, non è la stessa organizzazione di prima del 7 ottobre; certo non è scomparso, ma è molto indebolito. Lo show messo in scena durante le liberazioni degli ostaggi voleva dimostrare che ha ancora in controllo di Gaza, ma già molti palestinesi si stanno rendendo conto che è Hamas il responsabile della devastazione e del disastro che la guerra ha portato. Quello che dobbiamo fare affinché Hamas non si rinforzi nuovamente è trovare una combinazione regionale di diversi partner, che possono essere gli Usa, l’Europa, gli Stati del Golfo, Arabia Saudita, l’Egitto, ma anche la leadership palestinese che dovrà gestire Gaza: non vogliamo infatti essere noi israeliani a controllare 2 milioni di persone, ma non deve ovviamente essere Hamas. Quindi ora la responsabilità non è solo di Israele, ma della comunità internazionale, perché è giunto il momento di portare una nuova forza che controlli gaza. I palestinesi devono vedere che c’è un’alternativa a Hamas.
Che ruolo pensa possa avere la comunità ebraica di Milano nei confronti di Israele? Quale contributo può dare al lavoro dell’Ambasciata?
La comunità di Milano e in generale quelle italiane sono per noi fratelli e sorelle, condividiamo gli stessi valori e lo stesso amore per Israele, che è lo Stato per tutti gli ebrei, quindi saremo sempre connessi. Vogliamo che la comunità sappia che abbiamo molto a cuore il suo benessere e la sua sicurezza, che Israele c’è sempre, così come l’Ambasciata sa di avere sostenitori e amici nella comunità italiana. Io qui mi sento a casa, siete i nostri fratelli e sorelle e siamo qui l’uno per l’altro. Israele è l’unico stato ebraico al mondo, 75 anni fa non esisteva uno stato che difendesse gli ebrei, ora Israele anche se sotto attacco è e sarà sempre un porto sicuro per gli ebrei del mondo.
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