Otto Marzo, funerale della donna 08/03/2025
Commento di Deborah Fait
Autore: Deborah Fait

Otto Marzo, funerale della donna
Commento di Deborah Fait

Le premesse ci sono tutte, per un altro Otto Marzo (come quello dell'anno scorso) contro Israele. Le femministe abbracciano l'Islam, la religione che odia le donne più di ogni altra. E ignorano le sofferenze di donne e bambini israeliani che, una volta fuori dall'inferno di Gaza iniziano a raccontare gli orrori che hanno subito dai loro aguzzini di Hamas.

Le premesse non fanno ben sperare. Abbiamo già visto le manifestazioni violente iniziate l’altro giorno, in cui le finte femministe di “Non una di meno”, le stesse che un anno e mezzo fa, subito dopo il 7 Ottobre, avevano cacciato le donne ebree dai loro cortei,  hanno lanciato barattoli di vernice e quant’altro contro monumenti e vetrine. Inutile negarlo, il femminismo, quello vero, quello inclusivo, quello che difendeva tutte le donne e che aveva inventato finalmente la sorellanza, è finito, morto e sepolto. Le donne che vanno in corteo urlando a un genocidio inesistente, che deridono gli stupri con macelleria commessi su donne e bambine israeliane dai palestinazi, non sono femministe, non difendono le donne, difendono sguaiatamente il terrorismo islamico, palestinese, arabo. Sono donne innamorate di quello che è l’ultimo stadio della barbarie, che taglia i seni a donne stuprate, che li usa per giocare a palla. Sono innamorate di chi droga i bambini israeliani ostaggi delle SS di Gaza per violentarli. L’ultimo stadio della barbarie, dicevo, come la mutilazione genitale delle bambine. Perché la legge islamica non considera immondizia solamente le donne non musulmane, ma anche le proprie donne. La peggior disgrazia che può capitare a una donna è nascere musulmana, da quel momento la sua vita è fatta di schiavitù e dolore. Un dolore immenso, inconcepibile quando,  una volta raggiunta la pubertà, viene sottoposta all’infibulazione fatta con strumenti vari, lamette, coltelli , addirittura pezzi di vetro, naturalmente senza anestesia, mentre la madre e altre donne tengono ferma la povera bambina urlante. Secondo uno studio del Centro internazionale dell’islam politico (CSPII) si stima che un numero tra i 291 e i 304 milioni di donne oggi viventi sono state sottoposte a mutilazione genitale femminile. Secondo l’Unicef sono 230 milioni, più o meno la popolazione degli Stati Uniti, Canada, Messico e Germania messi insieme. Il 25% delle donne islamiche ha subito l’infibulazione, rispetto al 2,4% delle donne non islamiche (per lo più africane). L’Europa non è esente da questa barbarie, naturalmente dove la presenza islamica è numerosa.  I paesi occidentali più colpiti da questa iattura contro le donne sono la Svezia, la Norvegia, la Svizzera, il Canada e i Paesi Bassi. I paesi con il maggior numero in assoluto sono l’Indonesia, l’Egitto, l’Etiopia, il Sudan e la Nigeria. la mutilazione genitale femminile è più comune di quanto si pensasse ed è significativamente correlata all'influenza della dottrina islamica, una correlazione che la maggior parte delle organizzazioni che combattono l’infibulazione femminile minimizza, nega o ignora.

Esattamente come negano e ignorano le organizzazioni femminili che ormai sono diventate portavoce della barbarie islamica. L’odio delle donne contro gli ebrei e di conseguenza contro le donne ebree è scoppiato, in modo evidente e spaventoso, il 7 Ottobre. Nel momento terribile che ha sconvolto Israele, che ci ha fatti precipitare nel baratro della disperazione da cui non siamo ancora riusciti a risalire verso la vita, loro, quelle donne, o meglio quelle donnacce, ridevano, negavano, urlavano Viva Hamas. E continuano a farlo dopo un anno e mezzo nonostante le testimonianze dei sopravvissuti, nonostante i macabri, atroci teatrini cui siamo sottoposti ogni sabato. Nonostante le parole che i medici e gli psichiatri sono riusciti ad estorcere ai bambini liberati dai mostri nazisti di Gaza. Il 7 ottobre è una data che divide il prima: la vita e la civiltà, e il dopo: la barbarie più primitiva. Una data che dovrebbe restare impressa nella carne di ciascun essere umano. Invece le donnacce e i loro sostenitori hanno strappato le immagini dei bambini trucidati e prigionieri nei tunnel. Nessuno ha mai osato strappare nemmeno le foto dei cani cercati dai loro padroni. Ma quelle dei bambini ebrei, quelle si, quelle, le donnacce dei movimenti femminili, le hanno strappate e gettate tra i rifiuti. E allora ecco i racconti che lentamente emergono dalle poche parole che i bambini stanno dicendo. È un comunicato ANSA pubblicato da www.Israele.net:

𝑰 𝒓𝒂𝒄𝒄𝒐𝒏𝒕𝒊 𝒅𝒆𝒊 𝒃𝒂𝒎𝒃𝒊𝒏𝒊 𝒊𝒔𝒓𝒂𝒆𝒍𝒊𝒂𝒏𝒊 𝒊𝒏𝒄𝒂𝒓𝒄𝒆𝒓𝒂𝒕𝒊

LENTAMENTE EMERGONO I RACCONTI DEI BAMBINI ISRAELIANI RILASCIATI DALLA PRIGIONIA DI HAMAS

Hanno sofferto la fame, sono stati drogati, gettati in tunnel umidi e buie soffitte, oppressi e picchiati dai loro rapitori o da folle di invasati. Sono stati marchiati a fuoco sulle gambe con i tubi di scappamento delle moto in modo che potessero essere identificati se avessero cercato di scappare, sono stati costretti a guardare i terrificanti video delle atrocità terroriste commesse il 7 ottobre la cui vista nemmeno gli adulti riescono a reggere senza sentirsi male.

Quando chiedevano di andare in bagno dovevano aspettare per ore, quando piangevano venivano minacciati con armi puntate alla testa al grido “stati zitto!”. Alcuni da quando sono tornati riescono solo a sussurrare, altri non parlano mai. Avevano lividi e pidocchi, non si sono fatti la doccia per più di 50 giorni. Per più di 50 giorni non hanno visto la luce del giorno, perdendo la nozione del tempo, una bambina di 9 anni crede di essere stata via un anno. Hanno bevuto acqua fangosa o salata. Alcuni avevano ferite gravi che sono state curate male o non sono state curate per niente.

Gli aguzzini li terrorizzavano dicendo che i loro genitori li avevano dimenticati, che non li volevano più, che sarebbero rimasti in quei tunnel per sempre, che nessuno sarebbe venuto a riprenderli. Un ragazzino di 12 è stato chiuso al buio, da solo, per 16 giorni prima di essere riunito con alcuni altri ostaggi. Due gemelle di tre anni sono state separate l’una dall’altra e dai loro genitori.

“Sappiamo che alcuni bambini rapiti da Hamas sono stati abusati sessualmente. Non sono tra i piccoli che abbiamo in cura noi qui, si trovano in un’altra delle strutture mediche che hanno preso in carico gli ostaggi minorenni dopo il rilascio”.

Ne parla in un’intervista all’ANSA Omer Niv, vice direttore e pediatra dello Schneider Children’s Medical Center, il maggiore ospedale pediatrico di Israele e del Medio Oriente, dove sono in cura 19 piccoli ostaggi rilasciati dopo 50 giorni di prigionia a Gaza. “Sono come fantasmi. Soffrono di una depressione grave in misura mai vista prima, sono tristi, camminano lentamente, non vogliono uscire dalla stanza, scoppiano a piangere se vedono un estraneo, hanno paura, masticano il cibo lentamente, temono ogni rumore”, racconta Niv.

Abigail, Raz, Aviv, Yuval, Emilia, Ofri e tutti gli altri bambini strappati alla loro infanzia sono riemersi da Gaza senza punti di riferimento a cui aggrapparsi: le loro case sono state bruciate, i lettini non ci sono più, giocattoli e libricini ingoiati dalla distruzione che Hamas e Jihad si sono lasciati alle spalle il 7 ottobre. Niv non nasconde le difficoltà che gli stessi team di specialisti stanno incontrando nel curare i piccoli pazienti, dice chiaramente che stanno andando avanti per tentativi, elaborando un metodo per ciascun bambino tornato: “Non ci sono nella letteratura scientifica esempi in cui bambini piccoli di 2, 3, 4 anni siano stati rapiti, tenuti in luoghi claustrofobici, in condizioni igieniche estreme, separati dai loro genitori, nutriti a malapena, torturati con false notizie come la morte di papà e mamma anche se non era vero, con la storia che Israele non esiste più e nessuno sarebbe andato a salvarli. Non c’è mai stata una terapia per questi danni.

Perché non era mai successo niente del genere nella storia dell’umanità – ammette il pediatra – Con psichiatri, psicologi, medici di diverse specializzazioni, sociologi, affrontiamo i bambini uno per uno.

In un certo senso ci sentiamo impotenti”.

Una madre con due bambine di 3 anni è con noi già da una settimana, dal momento del rilascio. Vogliono restare qui: la loro casa è stata data alle fiamme in un kibbutz, il papà è rimasto in ostaggio a Gaza, non vogliono uscire – spiega – Che cosa posso dire a una bambina di 3 anni che ha visto il padre rimanere prigioniero, la madre che piange perché rivuole il marito. I bambini piccoli non riescono a raccontare quello che provano, si chiudono, non dormono, alcuni non hanno un’idea del tempo, non sanno quanto sono rimasti prigionieri, sono stati spostati da un posto all’altro, non sappiamo dove”, si avvilisce Niv.

“Abigail ha 4 anni, i terroristi le hanno ucciso i genitori davanti ai suoi occhi. Lei è riuscita a correre via, si è rifugiata in casa dei vicini, ma poi è stata portata a Gaza con una donna e i suoi tre figli. E’ rimasta senza nessuno dei suoi parenti stretti, papà e mamma morti, senza poter gridare, singhiozzare, lavarsi semplicemente i denti… Come dobbiamo curare questa bambina? In certi momenti ci sentiamo impotenti – dice Niv abbassando la voce di fronte a un dramma così schiacciante – Non sappiamo come sarà la loro situazione mentale domani, tra anni. Ci vorrà molto tempo. Questi bambini probabilmente avranno bisogno di essere curati per tutta la vita”, riconosce il vice direttore dello Schneider.

Hamas ha sedato gli ostaggi con farmaci prima di consegnarli alla Croce Rossa per il rilascio, allo scopo di “farli sembrare calmi e sereni” davanti alle telecamere benché avessero subìto 50 giorni di prigionia, abusi fisici, privazioni e terrorismo psicologico. Lo ha detto ieri la professoressa Ronit Endevelt, capo del Dipartimento nutrizione del Ministero della Sanità israeliano, durante un’audizione alla Commissione Salute della Knesset.

• Ansa, Israele.net —

Tutto questo non tocca l’animo dei propal, nazisti come i loro eroi di Gaza, pur essendo consapevoli che il fine ultimo dei palestinazi è sterminare il popolo ebraico per creare la grande Umma islamica da unire al grande Califfato.  Ma forse è proprio questo che vogliono.  

Si, l’Otto Marzo celebreremo il funerale del femminismo quello vero, quello dei diritti per tutte le donne, e di conseguenza per tutta l’umanità, per incominciare un’era di barbarie, come i palestinazi hanno voluto il 7 Ottobre 2023, il Sabata Nero.

Deborah Fait
Deborah Fait