Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 08/03/2025 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "Il messaggio ad Hamas sul rilascio degli ostaggi. E la lettera a Khamenei".
Fiamma Nirenstein
A chi non è mai capitato che due opposte ragioni si scontrino, solide e incontrovertibili, e le soluzioni richiedano prezzi quasi inaffrontabili? In questo momento Israele si trova in questa situazione. Potrebbe agire militarmente col sostegno americano che Trump offre, ma i rapiti potrebbero più facilmente morire se Netanyahu deciderà per lo scontro. E tuttavia, se non lo fa, Hamas consolida la sua presenza e la sua minaccia terrorista. Trump sostiene Israele a suo modo in un Medio Oriente in pieno terremoto, Israele deve decidere fra l’accordo per rapiti e una nuova guerra con Gaza. Segnala la sua determinazione con il taglio degli aiuti umanitari e mentre le famiglie dei rapiti vellicano Trump per ottenerne l’aiuto, assediano Netanyahu quando prende in considerazione il suo consiglio e il suo appoggio. La vita dei rapiti è in gioco. Mentre Trump ripete che è Israele che deve decidere, i suoi inviati tessono due tele diverse: Steve Witkoff annuncia che Hamas deve seguitare a cedere i rapiti con una formula che arrivi fino alla restituzione completa. In gioco anche un ragazzo americano Edan Alexander, e quattro corpi di suoi compatrioti. Trump ripete «ne abbiamo abbastanza del comportamento di Hamas» e Witkoff fa eco dicendo che se Hamas non si arrende è prevedibile un’azione coordinata delle forze militari americane e israeliane. Si sa da informazioni riservate che Adam Boher, il responsabile americano per gli ostaggi, ha colloqui con Hamas, con cui gli Usa non parlano da dieci anni. Che cosa vuol dire? Israele manda segnali di perplessità, mentre il nuovo capo di Stato maggiore Eyal Zamir sottolinea che l’esercito costruisce una nuova grande forza e che «vittoria» è il concetto su cui si concentra. Quando Trump propone un accordo, questo può facilmente sottintendere una minaccia: può darsi che abbia tolto fiducia ai mallevadori qatarini e egiziani, e faccia da sé per costringere Hamas a consegnare il mal tolto. Ron Dermer, il ministro degli Affari strategici tace, il governo segnala soddisfazione per il sostegno di Trump e per la speranza di un nuovo Medioriente ripulito dal terrore. E di nuovo, un doppio messaggio: un’esercitazione di caccia israeliani e americani insieme ha solcato i cieli, mentre Trump manda una lettera a Khamenei dove si parla di accordo sul nucleare.
Questo, mentre intanto si diffondono notizie su nuove sanzioni. In parallelo, la notizia che ormai l’Iran è sulla soglia della confezione di sei bombe. Se Trump decide che non ci sono altre strade per arrivare a sistemare la questione mediorientale, anche le vacche sacre possono essere finalmente scansate: ieri l’amministrazione americana ha comunicato che taglierà contratti e sovvenzioni per un valore di 400 milioni di dollari alla Columbia University accusando l'istituzione di antisemitismo, per la mancata tutela degli studenti ebrei durante le proteste a favore di Gaza. Ma con Biden in fondo era paradossalmente più facile decidere: bloccava Israele con l’embargo, poneva blocchi fatali a entrare a Rafah e a occupare lo Tzir Filadelfi. Israele ha combattuto sul campo per gli ostaggi finché non gli è stato impedito. Adesso da Trump provengono due messaggi diversi e forti, così che Netanyahu deve fare scelte più difficili. Trump sin dal messaggio del 2 dicembre ha indicato la linea dura: «Lasciate gli ostaggi subito o si scatenerà l’inferno». Poi, via via che ha spostato la decisione su Bibi, il puzzle si è fatto sempre più delicato, di cristallo. Il cristallo della vita dei rapiti, il più sottile.
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