Quante bugie su Zelensky a Washington
Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 06/03/2025
Pagina: 1
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: Le bugie sullo scontro tra Zelensky e Trump

Riprendiamo da LIBERO di oggi 06/03/2025, a pag. 1, con il titolo "Le bugie sullo scontro tra Zelensky e Trump", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Zelensky e Trump tornano a parlarsi. Ed era inevitabile che lo facessero, perché l'Europa non ha la forza di sostituirsi agli Usa in questo processo di pace. Chiunque abbia approfittato della lite alla Casa Bianca (fra il presidente ucraino e quello americano) per dividere l'Europa dall'America, ha fatto quantomeno un errore di calcolo.

Non saremo così rozzi e ineleganti da dire che aveva ragione Libero, e che troppi altri – si direbbe a Oxford o forse a Cambridge – non ci avevano capito una mazza. Però, amici lettori, è andata esattamente così.
Commentando la clamorosa lite Zelensky-Trump alla Casa Bianca, a caldo, questo giornale aveva titolato: “L’Ue non spari su Donald. Convinca Volodymyr a tornare a Washington”. Da subito, cioè, avevamo intuito l’andazzo: la propensione generale a fare di Trump un bersaglio; il tentativo di nascondere, attaccando lui, tre anni di impotenza e viltà europea; la mediocre furbizia francese di provare a trasformare Zelensky nell’oggetto della divisione tra America ed Europa.
Dunque, pur con tutta la simpatia (vera) per l’Ucraina aggredita, non avevamo avuto dubbi nel segnalare il grave errore diplomatico commesso da Zelensky alla Casa Bianca: se hai di fronte chi ti deve aiutare, non polemizzi (e non raccogli polemiche altrui), e semmai smussi, cerchi di portare a casa il risultato, ti sforzi – ecco il punto – di avere l’America con te.
Del resto, il Trump che pure non aveva risparmiato parole ruvide verso Zelensky era lo stesso Trump che, in epoca non sospetta (e cioè prima degli ultimi tre anni di guerra), aveva rifornito Kiev di quei missili javelin che si sarebbero rivelati decisivi per la difesa dell’Ucraina. Non solo: era lo stesso Trump durante la cui prima presidenza (2016-2020) Vladimir Putin non aveva mosso un solo carro armato, diversamente da quanto era accaduto prima e da quanto sarebbe successo dopo.
Avevamo anche sottolineato come la stessa intesa sulle terre rare fosse da considerare – in ottica ucraina – una vera garanzia di impegno americano: con gli Usa interessati allo sfruttamento di quelle risorse, infatti, il territorio ucraino non sarebbe potuto rimanere oggetto di scorribande russe o di altri. Di più: per quella via, Trump avrebbe usato un argomento in grado di convincere anche la parte più isolazionista dell’opinione pubblica americana.
Ecco: con eccezioni più rare di un quadrifoglio, nel dibattito mediatico italiano questi argomenti razionali sono stati per quattro lunghi giorni ignorati e perfino irrisi da giornali e tv. Dove invece abbiamo sentito cantare una sola canzone: quella del “Trump cattivo-bullo-arrogante”. Con un accompagnamento musicale ancora peggiore: una velleità europea di separare il proprio destino da quello americano, e in particolare la pretesa di Emmanuel Macron di ritagliarsi un ruolo da antagonista di Trump. La cosa – di per sé – farebbe ridere. Ma dal punto di vista ucraino farebbe addirittura piangere: in assenza dei satelliti di Elon Musk, quanti satelliti potrebbe offrire l’Europa? Risposta: zero. E quante truppe, rispetto ai trecentomila uomini teoricamente necessari? Risposta: trentamila, cioè un numero adatto a trasformarli in bersagli. E con quale prospettiva? Forse una guerra infinita e indefinita? Una follia, di tutta evidenza.
Sta di fatto che, martedì pomeriggio, proprio Zelensky ha fatto retromarcia, con un saggio comunicato in cui – tardivamente ma positivamente – il presidente ucraino ha accettato non solo l’accordo sulle terre rare ma più in generale l’idea di coordinarsi con Trump per cercare una soluzione utile. E Trump stesso, nel suo discorso parlamentare dell’altra notte, come Libero vi racconta oggi, ha raccolto questa rinnovata disponibilità.
E allora? E allora adesso sarebbe il caso di smetterla con le invettive morali, con le caricature, con le lavagne divise tra buoni e cattivi (e Trump sistematicamente infilato nella seconda colonna). Certo, Trump è Trump: imprevedibile per definizione. Non si tratta di essere sempre d’accordo con lui, ma di cogliere la sostanza del suo disegno geopolitico: l’avversario strategico è la Cina, gli altri conflitti regionali vanno conclusi nel modo più rapido e meno iniquo possibile (affinché la situazione non peggiori).
In questo quadro, dal nostro lato dell’Oceano, la priorità dovrebbe essere quella di mantenere l’unità transatlantica, e di adattarci all’attitudine negoziale e transattiva di Trump. Senza colpi di testa, e soprattutto senza regalare a Macron (o ad altri avventurieri) l’occasione di portarci in un’area politica confusa e ambigua: lontana dalla Nato (di cui Macron aveva proclamato la “morte cerebrale”: il che dice tutto di lui), ostile a Washington, priva di una difesa adeguata, e naturale cavallo di Troia della penetrazione economica e di influenza cinese. Il suicidio del green deal mostra in modo eloquente che troppi – tra Bruxelles, Berlino e Parigi – hanno già lavorato alacremente per Pechino. Sarebbe l’ora di smetterla.

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