Riprendiamo dalla STAMPA di oggi 06/01/2025, a pag. 8, con il titolo "Ostaggi di Netanyahu" la cronaca (faziosa) di Francesca Mannocchi.
Francesca Mannocchi
Einav Zangauker è una donna esile dal volto segnato dalla preoccupazione. Suo figlio Matan è nelle mani dei gruppi armati nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023 e lei, in questo anno e mezzo, è diventata una delle voci più tenaci e più severe della battaglia del Forum dei familiari degli ostaggi, ma anche una delle voci più crude contro il governo. Talmente tanto che pochi giorni fa Einav Zangauker le è stato impedito di entrare nella Knesset, il Parlamento israeliano, perché accusata di «comportamenti inaccettabili e gravi violazioni dell'ordine». «Ha impedito il corretto svolgimento delle discussioni del comitato; ha tentato di lanciare una bottiglia di vetro a un ospite; e in presenza del capo della sicurezza della Knesset, ha minacciato che avrebbe accoltellato qualcuno per avere risposte se avesse avuto un coltello», si legge nella dichiarazione del parlamento, «questo è un comportamento inaccettabile che non può essere consentito».
A gennaio 2024, Einav Zangauker, le sue figlie, e la fidanzata di Matan - rapita con lui ma rilasciata durante la pausa e i negoziati della fine di novembre 2023 - hanno montato una tenda sotto la pioggia fuori dalla residenza privata di Netanyahu a Cesarea, per protestare contro l'inazione del governo.
A febbraio, mentre la polizia le colpiva con i cannoni ad acqua per costringerle ad evacuare dalla residenza del primo ministro, sono rimaste insieme, rifiutandosi di andare via e sono state sfollate con la forza. In tutti questi mesi hanno cercato di incontrare membri delle Commissioni, ministri, e negoziatori, hanno affrontato i politici nei corridoi e nelle sale delle commissioni della Knesset, supplicandoli di raggiungere un accordo. Che non è ancora stato raggiunto.
A metà dicembre Einav Zangauker aveva partecipato a una sessione del Comitato della Knesset per lo sviluppo del Negev e della Galilea, e in quell'occasione aveva attaccato il legislatore Ze'ev Elkin, membro del Ministero delle finanze, minacciando di «farsi giustizia da sé» se suo figlio non fosse tornato vivo dalla prigionia. L'altro giorno, in risposta al provvedimento che le vieta di entrare nella Knesset, Einav Zangauker ha detto: «Stanno cercando ancora di farci tacere. Ma come? Mio figlio pare sia stato rapito sotto la sorveglianza di 120 membri della Knesset e io non ho il diritto di far loro visita nell'edificio che rappresenta tutti i cittadini?».
Il primo segno di vita di suo figlio Matan, è arrivato poche settimane fa, dopo 14 mesi.
Matan diceva che lui e gli altri ostaggi «muoiono mille volte al giorno» e che era stato informato degli sforzi compiuti da sua madre per riportarlo indietro.
Il video di Liri Albag
Sabato Hamas ha pubblicato anche il video di Liri Albag, una prigioniera israeliana di 19 anni. Nel video la ragazza chiede al governo di Tel Aviv di raggiungere un accordo per la liberazione degli ostaggi. Liri Albag era stata presa in ostaggio nella base militare di Nahal Oz, al confine con la Striscia di Gaza, insieme ad altre sei soldatesse durante l'attacco del 7 ottobre. I suoi genitori si sono immediatamente rivolti a Netanyahu e al governo chiedendo di prendere decisioni come se a Gaza «ci fossero i loro figli». L'appello della famiglia Albag a riportare indietro gli ostaggi, è arrivato mentre migliaia di israeliani protestavano sia a Tel Aviv che Gerusalemme, tra i manifestanti c'era anche Almog Meir Jan, ex ostaggio, liberato dopo mesi di prigionia: «Vediamo nei suoi occhi il desiderio, la paura, la stanchezza e la frustrazione perché non capisce perché è ancora lì, e nemmeno noi», ha detto l'ex ostaggio. Il quartier generale del Forum degli ostaggi e delle famiglie degli scomparsi da mesi anima l'organizzazione delle proteste che ogni sabato, alla fine di shabbat, riempiono le strade di Tel Aviv, al grido di: «Riportiamoli a casa tutti, e ora».
Grido che non si è mai affievolito e che si rinnova ogni volta che dalla Striscia di Gaza, Hamas pubblica le prove di vita degli ostaggi. Per i funzionari israeliani la diffusione dei video da parte di Hamas è l'elemento di una guerra psicologica, soprattutto perché la pubblicazione avviene nel mezzo della ripresa a Doha di negoziati indiretti su un possibile accordo di cessate il fuoco per gli ostaggi, colloqui che finora hanno mostrato pochi segnali di progresso.
Ieri un articolo del quotidiano israeliano Haaretz, riportava la dichiarazione di un alto membro del team negoziale israeliano. Secondo la fonte di Haaretz, il funzionario avrebbe confermato le preoccupazioni sulla condotta del governo dei familiari degli ostaggi perché «il loro ritorno non è la massima priorità del governo che preferisce concentrarsi sullo smantellamento di Hamas».
Le ultime mosse di Biden
Secondo i familiari che fanno parte del Forum per gli ostaggi e che hanno potuto avere un confronto diretto e onesto, con il delegato israeliano in procinto di ripartire per Doha per la ripresa dei negoziati, l'alto funzionario avrebbe detto che per il governo la priorità è che le operazioni militari nella Striscia di Gaza continuino, nonostante la leadership militare ritenga che parte dell'apparato di Hamas sia stato smantellato, il funzionario avrebbe inoltre ammesso che le forze armate israeliane non conoscono la posizione di tutti gli ostaggi e che esiste la possibilità concreta che quelli ancora in vita vengano colpiti durante i bombardamenti. Una testimonianza che arriva dopo mesi in cui lo scontro tra le famiglie degli ostaggi e il governo si è fatta via via sempre più tesa, tra i ministri che non esplicitano una strategia per riportare indietro gli ostaggi, e i delegati ai tavoli negoziali che confermano le preoccupazioni delle famiglie sulle priorità del governo: non sono i rapiti, ma la vittoria totale su Hamas, promessa da Netanyahu all'inizio dell'offensiva militare sulla Striscia di Gaza.
L'annuncio di nuovi colloqui è arrivato mentre Israele ha intensificato gli attacchi sulla Striscia, con il ministero della Salute di Gaza che ieri ha dichiarato che novanta persone erano uccise dai bombardamenti solo nelle ultime 24 ore. Un attacco del giorno precedente aveva ucciso 11 persone a Gaza City, tra cui sette bambini. Il portavoce della difesa civile Mahmud Bassal ha detto che i droni israeliani hanno «aperto il fuoco anche sul personale dell'ambulanza» e le immagini dell'agenzia di difesa civile di Gaza mostrano i civili cercare i corpi dei sopravvissuti tra le macerie, le immagini dell'Afp hanno anche mostrato i paramedici della Mezzaluna Rossa palestinese a Gaza City mentre spostavano il corpo di uno dei loro colleghi.
Sugli stessi attacchi l'esercito israeliano ha dichiarato di aver «eliminato decine di terroristi di Hamas», senza però consentire l'accesso a funzionari indipendenti per verificare le affermazioni, né sostanziando le affermazioni con prove.
Con queste premesse, quasi 150 morti in meno di due giorni, sarebbero ripresi i colloqui indiretti a Doha, in Qatar, per continuare i negoziati su un accordo sul cessate il fuoco e il ritorno degli ostaggi.
Una fonte diplomatica ha detto alla Cnn a dicembre che l'accordo è sostanzialmente lo stesso della proposta avanzata da Biden all'inizio del 2024, che conciliava il rilascio degli ostaggi e un «cessate il fuoco completo e duraturo». Una prima fase di sei settimane che preveda il ritiro delle forze israeliane da tutte le aree popolate di Gaza e il rilascio di numerosi ostaggi, tra cui donne, anziani e feriti, in cambio del rilascio di centinaia di prigionieri palestinesi.
Così Biden. Ma quello che ora è chiaro è che le forze armate israeliane resteranno stabilmente a Gaza, sia controllando il corridoio Filadelfi al confine con l'Egitto, sia nell'area che divide in due la Striscia, cioè il corridoio Netzarim, sono state le richieste di Israele di lasciare le truppe lungo questi due corridoi e l'insistenza di Hamas nel chiedere il ritiro dei militari, a far fallire ripetutamente i recenti round di colloqui.
Oggi i funzionari israeliani vogliono accordo che garantisca la liberazione almeno di alcuni ostaggi, e che, però, consenta a Israele di continuare a combattere a Gaza. Hamas rifiuta qualsiasi accordo che non includa la fine di una guerra che ha decimato la Striscia e scatenato una prolungata crisi umanitaria, e il ritiro delle truppe israeliane.
Una strada in salita, o forse senza uscita, nelle ultime settimane dell'amministrazione Biden, che prima di congedarsi, avrebbe pianificato una vendita di armi a Israele.
Secondo il sito statunitense Axios, il Dipartimento di Stato ha notificato «informalmente» al Congresso una proposta di accordo da 8 miliardi di dollari che includerà munizioni per aerei da caccia elicotteri d'attacco, nonché proiettili di artiglieria.
La vendita di armi, che necessita dell'approvazione delle commissioni per le relazioni estere della Camera e del Senato, include missili aria-aria AIM-120C-8 AMRAAM per i jet da combattimento per difendersi dalle minacce aeree, compresi i droni.
Decisione che arriva a due settimane dall'insediamento di Trump, e che sarebbe l'ultima vendita di armi a Israele approvata dall'amministrazione Biden, dopo mesi di «silenzioso embargo sulle armi», che segnava la distanza sulla gestione della guerra tra Israele e l'alleato americano.
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