L’ayatollah con il fucile spiega Gesù al Papa
Commento di Fausto Carioti
Testata: Libero
Data: 06/01/2025
Pagina: 1/13
Autore: Fausto Carioti
Titolo: L’ayatollah col fucile spiega Gesù al Papa

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 06/01/2024, a pag. 1/13 la cronaca di Fausto Carioti dal titolo “L’ayatollah col fucile spiega Gesù al Papa”


Fausto Carioti

L'ambasciatore iraniano Mokhtari ha consegnato a Papa Francesco anche un testo di Khamenei con una lezioncina su Gesù: «se Gesù Cristo fosse tra noi oggi», scrive Khamenei, «non perderebbe un attimo per combattere i leader dell’oppressione e dell’arroganza globale». Khamenei che parla di Gesù al papa in funzione anti-israeliana sembra un romanzo grottesco, ma è realtà.

L’ultimo capitolo del romanzo distopico in cui papa Francesco è usato (con piena consapevolezza da parte sua, a questo punto) dall’Iran contro Israele l’ha scritto l’ayatollah Ali Khamenei. Il capo spirituale dei macellai di Teheran: quelli che tengono in carcere Cecilia Sala, che hanno appena scritto una legge in cui si prevede la pena di morte per chi protesta contro l’obbligo del velo e dicono «il regime sionista» per indicare Israele, perché – in attesa di eliminarlo – non ne riconoscono l’esistenza. Tramite il proprio sito, subito ripreso dall’Irna, l’agenzia statale d’informazione, Khamenei ha fatto sapere che sabato l’ambasciatore dell’Iran presso la Città del Vaticano, Mohammad Hossein Mokhtari, ha consegnato al pontefice «una targa contenente una selezione delle sue riflessioni sul messia Gesù Cristo», titolata: «Se Gesù Cristo fosse tra noi».
L’erede di Khomeini, lo sponsor di Hezbollah, l’uomo che tre mesi fa è apparso in pubblico col fucile in mano per dire che «l’attacco di Hamas è stato logico e legittimo», ha dunque deciso di spiegare il pensiero di Cristo al successore di Pietro. E il successore di Pietro, raccontano gli iraniani, lo ha ringraziato.
Già nei giorni scorsi l’Irna aveva pubblicato dettagli interessanti del colloquio di Jorge Mario Bergoglio col rettore di un’università iraniana, l’ayatollah Abolhassan Navab. In particolare una frase del papa: «Non abbiamo alcun problema con gli ebrei, il nostro unico problema è con Benjamin Netanyahu, che, nonostante le leggi internazionali e i diritti umani, ha creato crisi nella regione e nel mondo». Parole che nella Santa Sede nessuno ha smentito e hanno peggiorato ulteriormente le già pessime relazioni tra il Vaticano e Israele, mentre hanno ricevuto grande apprezzamento a Teheran.
Lì, infatti, Khamenei e il resto della cricca al comando sono alla ricerca di sostegno internazionale, dopo essere stati umiliati dalle forze militari e dai servizi segreti israeliani e in attesa di doversela vedere con Donald Trump. La squadra del prossimo presidente americano, come scrive il Wall Street Journal, oltre a un inasprimento delle sanzioni «sta valutando altre opzioni, inclusi gli attacchi aerei, per impedire all’Iran di costruire un’arma nucleare». Il regime iraniano è dunque isolato e ha bisogno di amici, e ne ha trovati dentro le mura leonine: l’entusiasmo per il papa si spiega così.
«Questo grande messaggero divino», si legge nella targa con le “riflessioni” su Gesù che è stata donata a Bergoglio, «ha attraversato con zelo tutti gli anni della sua esistenza per opporsi all’ingiustizia, alla prepotenza e alla corruzione di coloro che, con i soldi e il potere, avevano ridotto in catene i popoli, guidandoli verso l’inferno di questo e dell’altro mondo». E «se Gesù Cristo fosse tra noi oggi», prosegue il testo di Khamenei, scritto in italiano, «non perderebbe un attimo per combattere i leader dell’oppressione e dell’arroganza globale, e non tollererebbe la fame e la confusione di miliardi di persone sfruttate dalle grandi potenze e spinte verso la guerra e la corruzione».
Non ci sono i nomi dei cattivi, ma non ce n’è bisogno. Si sa chi Khamenei ritiene essere all’origine di tutti i mali del mondo, perché lo ripete ogni volta che parla. «Il nemico della nazione islamica è uno solo», aveva ribadito a ottobre, e ovviamente è «il regime sionista», contro il quale «ogni attacco da parte di qualsiasi persona e organizzazione è un servizio all’intera regione e forse all’intera umanità».
Nessun imbarazzo, però, avrebbe manifestato Bergoglio. Anzi, il sito del leader sciita assicura che il pontefice ha apprezzato il dono e chi gliel’ha inviato. Tanto da dire all’ambasciatore iraniano «che questa targa contiene punti significativi e di grande impatto per i seguaci della religione cristiana». Quindi il vescovo di Roma «ha espresso la sua preoccupazione per la situazione nella regione riguardo alla Palestina» e al termine dell’incontro «ha chiesto all’ambasciatore iraniano di portare i suoi calorosi saluti al leader della Rivoluzione Islamica».
Così Khamenei fa passare, anche all’interno del suo Paese, il messaggio che gli serve: il leader dei cristiani è dalla parte sua, e dunque di Hezbollah. Pure in questo momento in cui il dissenso popolare si è fatto più forte, e la teocrazia ha reagito riempiendo le carceri di attivisti (soprattutto donne), inasprendo le pene e aumentando le condanne a morte, il papa invia pensieri «calorosi» all’uomo che è dietro alla repressione.
Anche stavolta, come dopo il colloquio con l’ayatollah che aveva riferito le parole di Bergoglio contro Netanyahu, niente di quello che hanno riportato le fonti ufficiali iraniane è stato smentito dai siti d’informazione vaticani (quello della sala stampa e il portale di notizie Vaticannews.va). Sui quali non c’è alcuna traccia degli incontri di Bergoglio con gli emissari del regime di Teheran, del dono ricevuto e delle belle parole inviate a Khamenei. Nulla di nulla, come se l’entusiasmo fosse solo iraniano e a Roma si volesse dare il minor risalto possibile a questa relazione. Ma un silenzio imbarazzato non basta a segnare le distanze, nel momento in cui Khamenei e i suoi complici ottengono dal papa quello che vogliono.

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