Kiev guarda Trump per fermare la Russia
Analisi di Anna Zafesova
Testata: La Stampa
Data: 05/01/2025
Pagina: 5
Autore: Anna Zafesova
Titolo: La mossa del cavallo di Zelensky. Usare Donald per fermare la Russia

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/01/2025, a pag. 5, l'analisi di Anna Zafesova dal titolo "La mossa del cavallo di Zelensky. Usare Donald per fermare la Russia".

ad Alessandria con Anna Zafesova ...
Anna Zafesova

Zelensky e Trump. Il prossimo presidente è imprevedibile. In campagna elettorale ha sempre promesso di tagliare gli aiuti all'Ucraina. Riuscirà il presidente ucraino a fargli cambiare idea, se non altro per ottenere una fine della guerra che non sia una sconfitta?

Donald Trump è forte e imprevedibile, vorrei che la sua imprevedibilità fosse diretta contro la Federazione Russa». Mentre nelle capitali europee, Kyiv compresa, si sta attendendo con una certa apprensione l’insediamento del nuovo presidente americano, Volodymyr Zelensky continua a mostrare la sua convinzione che l’arrivo di Trump alla Casa Bianca non rappresenti un problema, ma anzi un’opportunità. Difficile dire quanto sia convinzione, quanto una lusinga a indirizzo del nuovo leader di Washington – che già dopo il suo mandato precedente, conclusosi con un tentativo di impeachment per una telefonata di pressioni a Zelensky, non ha in grande simpatia né l’Ucraina né il suo presidente – e quanto sia la perseveranza della disperazione, di fronte alla consapevolezza che la sopravvivenza degli ucraini oggi dipenda in parte considerevole da Washington. Resta il fatto che, mentre il leader ucraino qualche volta si è fatto scappare nelle ultime settimane commenti irritati su alcuni politici europei come Olaf Scholz, continua a insistere in pubblico di «non avere avuto un solo momento negativo» nelle sue comunicazioni con il presidente eletto degli Usa: «Lui può fermare la guerra». 

Un’insistenza necessaria, ora che il negoziato con i rappresentanti della nuova amministrazione americana sta entrando nella fase decisiva, che potrebbe secondo Zelensky portare a «una rapida conclusione della fase calda della guerra». Nei prossimi giorni a Kyiv dovrebbe arrivare Keith Kellogg, già designato da Trump come suo emissario speciale per l’Ucraina, e autore di una delle proposte di “piano di pace” pubblicata durante la campagna elettorale americana. Il risultato di questa visita dovrebbe essere una concretizzazione della proposta che dovrebbe venire fatta agli ucraini, agli europei e ai russi. I nodi da risolvere però restano tanti, e riguardano soprattutto la “fase fredda” dopo l’eventuale cessate-il-fuoco: in primo luogo, le garanzie di sicurezza che l’Ucraina dovrebbe ottenere per «impedire il ritorno di Putin», come le formula Zelensky. Il “congelamento” della guerra lungo la linea del fronte appare quasi scontato, e il presidente ucraino non a caso ribadisce che i territori ora occupati dai russi verranno «restituiti per via diplomatica», in altre parole il giorno che il regime di Putin finirà e al Cremlino, forse, si insedierà qualcuno che vorrà lanciare in Russia un nuovo “disgelo”. L’opinione pubblica ucraina sta diventando sempre più incline al sacrificio, e anche se il numero dei contrari a lasciare Donbas e parte del Sud sotto il controllo dei russi resta per ora la maggioranza in tutte le regioni, i sondaggi mostrano come sempre più ucraini si rassegnino alla impossibilità di riconquistare i territori occupati militarmente. 

Quindi paradossalmente le finestre negoziali per Zelensky aumentano, ma non oltre il limite ovvio della sopravvivenza dell’Ucraina. In assenza di garanzie contro le bombe di Putin – con un impegno collettivo occidentale che porti o meno il sigillo Nato, e/o un aumento qualitativo oltre che quantitativo della difesa soprattutto antiaerea – immaginarsi una “pace” è molto difficile. E se Kyiv mostra di ampliare i margini del compromesso, da Mosca intanto è arrivata una doccia fredda: l’ambasciatore di Mosca all’Onu Vasily Nebenzya ha dichiarato che «per ora nei segnali mandati dalla nuova amministrazione americana non c’è nulla che ci possa interessare». Vladimir Putin ha ribadito a più riprese che le sue condizioni sull’annessione dei territori ucraini e la trasformazione dell’Ucraina in un satellite di Mosca restano immutabili. Anche questo segnale è da interpretare: potrebbe essere un tentativo di alzare la posta per ottenere di più, una manifestazione di inflessibilità indirizzata all’opinione pubblica russa, oppure la convinzione di non aver bisogno di compromessi ora che la sua offensiva è lenta ma ininterrotta. Il problema, infatti, è cosa Trump potrebbe offrire a Putin, oltre al privilegio di un negoziato diretto con il presidente degli Usa. «Putin non scenderà a negoziare se gli americani non presenteranno una prospettiva convincente dei danni che subirà militarmente come economicamente», dice l’ex ministro della Difesa ucraino Andriy Zagorodnyuk. Probabilmente, lo strumento delle sanzioni è tra quelli che ha in mente Zelensky quando dice di sperare in un «Trump determinato a fermare Putin». Ma è altrettanto probabile che a Kyiv si rendano conto che, molto probabilmente, nemmeno Trump ci riuscirà, e infatti Zelensky continua a parlare di droni e di missili, e di programmi di difesa e di armamenti, e di come «stabilizzare il fronte», perché un eventuale accordo, e la sua tenuta, dipenderà anche da quello che succederà nelle trincee.

 

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