Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/12/2024, a pag. 13, con il titolo "Tra droni e blindati «Gli israeliani? Come padroni»" il reportage (fazioso) di Lorenzo Cremonesi.
Lorenzo Cremonesi
Segni chiari di cingoli di carri armati incisi sull’asfalto scuro, hanno sfondato i marciapiedi e le aiuole fiorite, ritirandosi poi i soldati si sono accaniti contro i pali della luce: adesso sono tubi di ferro gettati a terra e utilizzati come barricate per bloccare il traffico sulla strada.
Sono segni freschi, di non più di tre giorni fa. «I militari israeliani entrano ed escono dalle nostre terre a piacimento. E con gli altoparlanti annunciano che spareranno contro chiunque proverà a forzare il blocco. Uomo avvisato mezzo salvato», dicono gli abitanti di Al Bath, l’ultima cittadina siriana che s’incontra arrivando da Damasco per raggiungere la vecchia zona smilitarizzata di Quneitra. Conseguenze di oltre 400 chilometri quadrati occupati: i contadini non possono andare ai loro campi, intere aree abitate sono state tagliate fuori. La zona di occupazione israeliana vive di vita propria, viola arbitrariamente i confini del cessate il fuoco mediati dall’Onu dopo la Guerra del Kippur nell’ottobre 1973, da parte siriana non c’è al momento alcuna forza militare in grado di arginare o limitare le scelte del governo Netanyahu.
La situazione ce la racconta il mukhtar (il capo religioso) della moschea locale, il 72enne Yahia Rahal. «Gli israeliani hanno approfittato del caos dopo la fine della dittatura di Bashar Assad per bombardare le basi militari e per occupare pezzi del nostro Paese, sia nella fascia demilitarizzata sotto controllo Onu, che attorno alla cima del monte Hermon. Vorrei sottolineare che da parte siriana nessuno aveva mai sparato contro di loro negli ultimi mesi, neppure un colpo. Non il vecchio esercito della dittatura e neppure le unità della rivoluzione legate a Hayat Tahrir al Sham. L’attacco israeliano è stato unilaterale, del tutto immotivato», dice. Lo incontriamo mentre parla alle televisioni locali a circa 300 metri dal palazzo a tre piani, che prima ospitava gli uffici governativi regionali e adesso è diventato il comando israeliano. Continua Rahal: «Quattro sere fa gli israeliani mi hanno telefonato, non so come conoscessero il numero. Poi ho scoperto che avevano fatto lo stesso con i capi dei villaggi vicini. Volevano che andassi da solo a parlare con loro. All’inizio non mi fidavo, sono poi stati i nostri abitanti a supplicarmi di farlo per timore di rappresaglie. Una volta raggiunti, mi hanno chiesto se qui da noi ci fossero iraniani o militanti di Hezbollah. Quando ho spiegato che non c’era nessuno, hanno insistito per avere le nostre armi. Ho replicato che siamo disarmati. E loro hanno detto che verificheranno, ordinando di non superare per alcun motivo le barriere che hanno imposto ai nostri movimenti».
Sulle nostre teste passano i droni israeliani. Qui la gente c’è abituata: la regione è contesa sin dalla vittoria israeliana del giugno 1967, quando i siriani persero tutto il Golan sino alle sponde del lago di Tiberiade. Ma non era mai avvenuto che la parte siriana fosse tanto sguarnita, neppure dopo la guerra del 1973. Vediamo basi militari abbandonate, con camion e tank già cannibalizzati da bande di ragazzini a caccia di cimeli e pezzi di ricambio.
Non ci sono soldati e neppure i miliziani della rivoluzione a fare la guardia. In teoria le unità israeliane potrebbero percorrere la settantina di chilometri che li separano da Damasco praticamente indisturbati. Due settimane fa migliaia di civili erano fuggiti dalle zone occupate di fresco, ma la grande maggioranza è tornata alle proprie case. Netanyahu parla di mosse preventive.
L’Onu condanna e chiede il ritiro immediato. Meno perentoria è invece la posizione del nuovo governo a Damasco. Abu Mohammad al Jolani, come è noto col nome di guerra il neopremier, critica la «mossa pretestuosa israeliana», ma aggiunge anche che non cerca affatto il conflitto. Spiega: «Non vogliamo la guerra, bensì soluzioni diplomatiche, noi dobbiamo concentrarci sulla ricostruzione».
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