Riprendiamo da LIBERO di oggi, 22/12/2024, a pag. 9, con il titolo "Un saudita di «sinistra» che odia l’islam ma stermina i cristiani" l'analisi di Simone Di Meo.
Chi è davvero il killer dei mercatini di Natale di Magdeburgo? Taleb Jawad Hussein Al Abdulmohsen è un medico e psichiatra saudita, rifugiatosi in Germania nel 2006. In possesso di un permesso di soggiorno permanente, è dipendente della clinica «Salus» di Bernburg. Perla ministra dell'Interno tedesco è un «islamofobo» e avrebbe ucciso 5 persone, ferendone altre 200, per punire il Paese che più di tutti in Europa, insieme alla Francia, ha spalancato le porte ai migranti mediorientali. «Sono il critico più aggressivo dell'Islam» aveva detto il 50enne in una vecchia intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung nel 2019. Col suo sito wearesaudis.net si era impegnato ad aiutare – aveva spiegato lui stesso alla Bbc, sempre nel 2019 - i rifugiati a ottenere asilo, in particolare ex musulmani e donne che temono persecuzioni nel loro Paese. Proposito presto naufragato: nella home page ora campeggia la scritta in arabo e inglese: «Mio consiglio: non chiedere asilo in Germania».
L’OSSESSIONE DELLA MORTE
Che non fosse un tipo tranquillo avrebbero dovuto saperlo, in Germania. E non solo per le tre segnalazioni di Riad rivelate in queste ore dal giornale Der Spiegel.
Sul suo profilo X (si professava anche ammiratore di Elon Musk) campeggia un fucile d'assalto Ar-15: si tratta dell'arma spesso impugnata nelle stragi di massa in Usa, protagonista anche del fallito attentato a Donald Trump. L'ultimo post del medico saudita, che aveva augurato la morte ad Angela Merkel, risale a poche ore prima dell'assalto: un atto d’accusa contro la polizia tedesca, che sospettava di controllargli la posta e di aver rubato una chiavetta usb da una lettera. «La polizia tedesca è il vero motore dell’islamismo in Germania», arringava. «Abbiamo bisogno che l’AfD protegga la polizia da sé stessa». Taleb Jawad sarebbe un sostenitore del partito di ultra-destra Alternative für Deutschland, da molti osservatori indicato come la vera sorpresa delle prossime elezioni di febbraio. Eppure, in un video giura di essere di sinistra. Rifiuta la parola di Maometto ma, su X, tifava per l'Isis e l’Intifada. E prometteva di «riportare Hamas a Gaza» e di farlo «assaggiare» ai miscredenti. In Arabia Saudita risulta ricercato per diverse accuse di terrorismo e traffico di minorenni, ma la Germania ne avrebbe rifiutato l’estradizione. A Berlino è invece sotto processo per «abuso di chiamate d'emergenza» e giovedì scorso era stato convocato dal giudice del tribunale di Tiergarten a Berlino, ma aveva disertato l'udienza.
Caso chiuso, quindi? Tutt'altro: il personaggio è complesso e, al di là delle risultanze investigative provvisorie delle autorità tedesche, profilo e movente presentano diversi punti oscuri. Come spiega a Libero l'analista della fondazione Med-Or, Daniele Ruvinetti, «siamo davanti a un islamofobo che ha agito da islamista, un caso quasi unico. Un uomo che proviene dall'Arabia dove c'è una radicalizzazione molto forte con wahabiti e salafiti, come ci ricordano le storie dei kamikaze delle Torri Gemelle», commenta Ruvinetti. Al Abdulmohsen avrebbe agito sotto effetto di sostanze supefacenti, «pratica comune a chi compie questo genere di attacchi per contrastare situazioni di stress».
L’OBIETTIVO DA COLPIRE
C'è poi un ulteriore indizio che, per Ruvinetti, merita una riflessione. «L'attentato si è verificato venerdì, dopo la preghiera, in un luogo che con l'Islam c'entra nulla: i mercatini di Natale. Come è successo nel 2016 a Berlino, quando furono uccise 13 persone. Se odi gli islamici, prendi di mira una moschea: perché uccidere i cristiani?». Al Abdulmohsen è stato sottoposto a visite mentali, in prigione. E la sua casa è stata perquisita ieri mattina. Alcuni esperti di cultura araba sui social chiamano in causa la «taqiyya» per accreditare il sospetto che la sua postura anti islamica potesse rivelarsi una messinscena.
«Ricordiamoci che nel mondo arabo un islamico, per interessi superiori, può fingere di rinnegare il suo credo e assumere un'altra identità pur di colpire gli infedeli. È un depistaggio che serve a evitare controlli e sospetti su di sé», osserva l’esperto di geopolitica, ma «senza scadere nei complottismi, credo si tratti di ipotesi che non devono essere escluse a priori solo perché la prima indagine sui social ha restituito un determinato risultato». La dissimulazione nel Jihad potrebbe essere l'arma non convenzionale per attaccare l'Occidente. «Le cellule dormienti sanno bene di essere monitorate e, pertanto, non è sufficiente un'analisi a livello soltanto sociale di un sospettato. Bisogna andare oltre le apparenze, servono investigazioni più incisive», conclude Ruvinetti.
Se i lupi (solitari) si travestono da agnelli, è finita.
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