Tutte velate. Le politiche europee e le giornaliste italiane per il 'Califfo moderato'
Newsletter Giulio Meotti
Testata: Newsletter di Giulio Meotti
Data: 21/12/2024
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: Tutte velate. Le politiche europee e le giornaliste italiane per il 'Califfo moderato'

Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Tutte velate. Le politiche europee e le giornaliste italiane per il 'Califfo moderato'".


Giulio Meotti

I nuovi jihadisti che hanno conquistato la Siria stanno già islamizzando il paese. Nella delegazione europea che ha incontrato al Jolani, tutte le donne politiche erano velate. Tanto per iniziare con un atto di "collaborazione".

Tre anni fa, dopo la ridicola fuga degli occidentali da Kabul, la più importante filosofa cattolica di Francia, Chantal Delsol, ci aveva avvisato: “Stiamo entrando in un mondo di relativismo e barbarie”. Ora anche i ciechi lo vedono, questo strano mondo di relativismo e barbarie. Basta accendere la Rai.

Parlando con il Tg1, il nuovo leader siriano Al Golani ha detto oggi che se creare uno stato islamico a deciderlo sarà il “popolo”. E si stanno già preparando.

A pochi giorni dalla cacciata di Assad è già iniziata l’applicazione subdola dell’hijab.

Prima Al Golani ha incontrato questa ragazza per strada e le ha chiesto di coprirsi i capelli.

La stessa ragazza poi è apparsa sulla tv ufficiale siriana difendendo Golani.

Poi una conduttrice televisiva è apparsa con Golani con un velo “minimo”.

Intanto si è messa il velo la giornalista della CNN andata a intervistarlo.

Poi è stata la volta della terribile Veronica Fernandes, inviata di Rainews da Damasco e prima da Gerusalemme.

Si collega con il velo, che è più uno straccio in testa, perché così le è stato “chiesto” dai jihadisti. Immagini orrende, sciatte, di sottomissione. Così ci siamo ridotti? Questo è il nostro giornalismo?

Poi un’altra giornalista velata per il nuovo ministro dell’Istruzione.

Poi sono arrivati i rappresentanti della UE a parlare con Golani: tutte le donne arrivate da Bruxelles indossano il velo, neanche l’ex terrorista di Al Qaeda fosse un leader religioso. E non è andata loro neanche troppo male: potevano restare senza sedia, come ha fatto Erdogan con Ursula.

Il ritmo dei cambiamenti in Siria è dunque così rapido che fa sembrare lenti i cambiamenti avvenuti in Iran dopo Khomeini. Qui una donna iraniana senza hijab che lavorava all’aeroporto di Teheran alcuni mesi dopo la rivoluzione islamica del 1979 (foto di Khomeini in alto).

Islamizzazione delle università

Impossibile non ricordare Oriana Fallaci. La rivoluzione islamica fece il suo debutto nel mondo con quella famosa intervista nel 1979.

“Tutto questo non la riguarda” le disse Khomeini. “I nostri costumi non riguardano voi occidentali. Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene”.

“Prego?”, rispose Fallaci. “Credevo d’aver capito male. Invece avevo capito benissimo”. “Ho detto: se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene”. “Grazie, signor Khomeini. Lei è molto educato, un vero gentiluomo. La accontento sui due piedi. Me lo tolgo immediatamente questo stupido cencio da medioevo. E con una spallata lasciai andare il chador che si afflosciò sul pavimento in una macchia oscena di nero. Quel che accadde dopo resta nella mia memoria come l’ombra di un gatto che prima se ne stava appisolato a ronfare e d’un tratto balza in avanti per divorare un topo. Si alzò con uno scatto così svelto, così improvviso, che per un istante credetti d’esser stata investita da un colpo di vento. Poi, con un salto altrettanto felino, scavalcò il chador e sparì”.

Il resto è storia nota.

Le politiche europee neanche ci provano più a denunciare l’islamizzazione delle donne e quindi della società.

Questa è Nadine Oliveri Lozano in compagnia di religiosi iraniani, vestita dalla testa ai piedi con il chador nero, il tradizionale velo iraniano. Più che la nuova ambasciatrice svizzera in Iran, Lozano sembra la moglie di Khamenei. Come Micheline Calmy-Rey, ex presidente della Svizzera, che quando è andata in Iran si è fatta fotografata tutta sorridente e velata. “Non un segno di sottomissione, ma il rispetto delle usanze di un paese” ha detto Calmy-Rey.

Femministe occidentali a Teheran

Federica Mogherini, da ministro degli Esteri della UE, andava a farsi i selfie con il chador al Parlamento iraniano. Una delegazione svedese in visita in Iran, guidata dal primo ministro svedese e dal ministro del commercio Anna Linde, comprendeva undici donne. Indossavano tutte il velo islamico tutto il tempo mentre erano in Iran.

Marine Le Pen è l’unica leader politica europea che ha rifiutato di indossare il velo quando è andata in Libano, per giunta un paese non islamico per costituzione e storia. Doveva incontrare il Muftì Deriane e il vertice è saltato per il rifiuto di Marine di coprirsi il capo.

A comprendere meglio di tutti i nostri commentatori è il romanziere algerino Kamel Daoud, che ne scrive su Le Point:

“Sentiamo che questa vittoria siriana comunque una gioia irrefrenabile all’AKP turco e alla Fratellanza Musulmana Internazionale, ospitata e alimentata da Erdogan dopo la caduta del dittatore egiziano Mubarak. Il canale qatariota Al-Jazeera celebra da giorni le nozze con una grande diretta dalla moschea omayyade di Damasco, così emblematica del sogno di rinascita dell’impero musulmano, e decifriamo il disagio degli Emirati e soprattutto dell’Egitto, nemico dei ‘Fratelli’. Osserviamo tutti questi eventi, li soppesiamo, ma sembriamo curiosamente evitare l’osservazione più spaventosa: l’adattamento dell’Occidente alla scomparsa della sua ricerca utopica di democrazia mondiale. L’Occidente resta tiepido nella sua reazione, scottato dai precedenti iracheni, libici e afghani. E quello che prima veniva sussurrato come segno di razzismo culturale – ‘I musulmani non sono adatti alla democrazia’ – appare ora accettato come una verità incontestabile: la democrazia non è per domani, né per tutti. La democrazia occidentale è ancora una teoria universale della ragione? Oppure la democrazia è una particolarità culturale dell’Occidente? Se rispondi ‘sì’ alla prima domanda (universalità della democrazia), sei contraddetto dai fatti: nel mondo cosiddetto ‘arabo’ non ha mai funzionato. Né con la forza delle armi (i missili americani Tomahawk), né con il flusso finanziario di aiuti alla democrazia, né con le ONG o i think tank, né con il sostegno alle ‘rivoluzioni’ indigene. Iraq, Kabul, Tripoli... Là dove l'Occidente ha voluto imporre la sua universalità con la forza delle armi, ha sperimentato un clamoroso fallimento. Dove pensava di poterlo fare con i soldi, è bancarotta e corruzione. Laddove sperava di riuscire incoraggiando le élite locali progressiste, si è concluso con un fallimento, e queste stesse élite, addestrate ‘alla democrazia’, hanno dovuto lasciare il paese. Rispondendo ‘sì’ alla seconda domanda (la democrazia come specificità culturale occidentale, non esportabile), verrete rapidamente accusati di aver commesso un’eresia che potrebbe portare alla lapidazione intellettuale. Tuttavia, oggi l’opinione occidentale sembra gradualmente accettare questa idea. Si discute più sull’aspetto dell’abbigliamento di Al Goulani che sul suo messaggio di fondo. Molto presto, dopo la caduta di Assad in Siria, ci siamo trovati in imbarazzo (i ribelli sono islamisti), poi ci siamo rassegnati a questa situazione, poiché i genitori purtroppo si abituano al fallimento dei loro figli. Abbiamo accolto con favore la fuga di Assad, ci siamo commossi davanti ai prigionieri usciti vivi dalle carceri. Ma, in silenzio, abbiamo assistito al seppellimento della teoria universalista della democrazia. Con discrezione, l’Occidente sembra ritornare ad aspirazioni più modeste, a un’umiltà sconosciuta dai tempi del boom tecnologico del XIX secolo. Il dominio del modello occidentale sembra risentire degli effetti dell’invecchiamento. Preferiamo non pensarci troppo, per pragmatismo, ma anche perché questa sepoltura è difficile da accettare, con gravi conseguenze per il futuro. D’ora in poi la democrazia non è più esportabile; non appare più come una soluzione ‘totale e universale’, sostituita da una teoria politica della relatività generale degli ideali. L’universalità sta cambiando schieramento pericolosamente: l’ambizione dell’internazionalismo si ritrova oggi nel programma degli avversari della democrazia, gli islamisti. Ai tempi di Mubarak in Egitto, i Fratelli Musulmani lanciarono uno slogan malizioso per condurre la loro campagna nelle baraccopoli egiziane: ‘L’Islam è la soluzione’. Quello che oggi traduciamo con ‘l’Occidente è il problema’. I vicini, dall'Egitto agli Emirati alla Giordania, sono preoccupati: l'internazionale islamista guadagna terreno e propone già un mito del ‘vincitore’. Un piccolo occhiolino prospettico: nell’anno 802 701, H. G. Wells immaginò una stazione per la sua ‘macchina del tempo’. Lì vivono gli Eloi, popolo androgino felice in un paradiso. Sotto di loro, in tunnel bui, il viaggiatore scopre i Morlock. Questi ultimi si nutrono dei primi e li allevano, felici, nelle mangiatoie”.

Noi occidentali siamo i nuovi Eloi che saranno mangiati dal “Califfo moderato”. E quando Unherd scrive che quello che succede in Siria avrà ripercussioni epocali in Europa è vero.

L’Europa ha sempre più zone vietate, sempre più tribunali della sharia, sempre più rifugiati, sempre più donne coperte, sempre più scuole a maggioranza musulmana, sempre più moschee radicali, sempre più mutilazioni genitali femminili, sempre più adescamenti e stupri di gruppo, sempre più gruppi di facciata della Fratellanza Musulmana, sempre più sindaci e legislatori musulmani, sempre più programmi di studi sul Medio Oriente finanziati dai musulmani nelle università... e sempre meno chiese, sempre meno ebrei a Bruxelles, sempre meno gay ad Amsterdam, sempre meno donne sole in giro dopo il tramonto a Berlino e Malmö, sempre meno rappresentazioni di Maometto nei musei continentali, sempre meno sessioni miste nelle piscine comunali, sempre meno lezioni sulle Crociate e l'Olocausto nelle scuole europee... e sempre meno libertà di parola in alcune delle più antiche democrazie del mondo.

“Come il Regno Unito è diventato la ‘capitale occidentale’ per le corti della sharia”. C’è da rabbrividire a leggere l’inchiesta del quotidiano londinese Times.

I musulmani si rivolgono alle corti della sharia britanniche. La poligamia è stata normalizzata e un’app per i musulmani in Inghilterra e Galles ha un menu per gli uomini per dire quante mogli hanno (tra una e quattro). L’app, approvata da una corte della sharia, dà alle figlie la metà dell’eredità dei figli maschi. Si ritiene che in Gran Bretagna siano stati celebrati 100.000 matrimoni islamici, molti dei quali non sono registrati ufficialmente presso le autorità civili. Una delle più importanti di queste corti è stata fondata dal predicatore radicale Haitham al-Haddad, tra gli studiosi britannici che hanno visitato i Talebani dopo che hanno riconquistato l'Afghanistan. In Inghilterra ci sono un centinaio di corti islamiche perfettamente legali. E se non bastasse, ora il Parlamento deve occuparsi della messa al bando del matrimonio tra cugini. Il famoso progresso multiculturale. La volontà di potenza ha sempre la meglio sulla retorica dell’integrazione e chi si appella all’integrazione sta lavorando per la volontà di potenza e il cupio dissolvi.

Bevande analcoliche, cibo halal e protezione dagli uomini: questo è ciò che pubblicizzano non in Siria, ma in Germania, i cosiddetti “caffè delle donne”, diventati sempre più popolari.

Il caffè per donne “The Vibe Lounge” in Goebenstrasse a Berlino flirta con un ambiente rosa floreale, cocktail analcolici e dolci senza gelatina di maiale. L’accesso è riservato alle donne. Il bar si pubblicizza su Instagram in questo modo:

“Stai cercando una zona senza uomini a Berlino per fumare il narghilè e rilassarti? Il nostro caffè per donne è ovviamente la prima scelta!”. Il caffè è gestito dalla musulmana e influencer Houda Abdul Razzak dalla Siria, che ha 200.000 follower su Instagram. Sebbene Razzak viva in Germania dal 2015, tutti i post del bar sono in arabo. Nel ristorante non vengono serviti alcolici, il cibo è conforme alle norme alimentari islamiche e anche nel caffè femminile viene rispettata la rigida segregazione di genere musulmana.

A Brema, la gelateria “Baresha” gestita dalla musulmana Sumeja Zumberi viene presentata come un luogo dove le donne “diventano visibili e possono scambiarsi idee”.

La critica islamica e caporedattrice della Jüdische Rundschau, Laila Mirzo, spiega che la ragione dell'aumento dei caffè femminili islamici è radicata nella cultura islamica: “Ovunque le persone vengono escluse per motivi religiosi, l’ordine fondamentale liberale e democratico perde terreno. I caffè per donne non sono un fenomeno eccezionale, sono solo un altro segno dell’islamizzazione della Germania”.

Alla famosa London School of Economics c’è stato un evento secondo le regole della sharia. Uomini e donne rigorosamente separati.

Quando la segretaria di Stato per la parità francese, Marlène Schiappa, decise per tre giorni di trasferirsi nella città di Trappes per dimostrare l’attenzione alle città ad alto tasso di immigrazione, provò a fermarsi in un bar, “dove le donne non sono le benvenute”. Il prefetto ha invitato il ministro a proseguire per la sua strada “per evitare un incidente”.

A Bordeaux sono sorti persino negozi che chiedono alle “sorelle” di venire il sabato e la domenica e ai “fratelli” nei giorni feriali. Il programma televisivo Zone Interdite a Roubaix, nel nord del paese, 100.000 abitanti e al 40 per cento musulmana, ha mostrato i ristoranti con “aree riservate alle donne”.

A leggere il rapporto del Parlamento voluto dal deputato repubblicano Éric Diard e dal macroniano Éric Poulliat c’è da farsi prendere una sincope. Il settimanale Le Point ha avuto accesso al contenuto delle audizioni del rapporto. Si parla di “autisti che si rifiutano di prendere servizio dopo una donna”, di “locali vietati alle donne nei terminal” e del “rifiuto di stringere la mano alle colleghe”.

Il servizio dell’emittente France 2 denuncia la scomparsa della presenza femminile dai bar dei quartieri francesi a maggioranza islamica. Nadia Remadna e Aziza Sayah, due attiviste del gruppo Brigade des Mères, entrano in un caffè del sobborgo parigino di Sevran. “Meglio aspettare fuori, ci sono uomini qui dentro”, dice loro un cliente. Un altro: “In questo caffè non c’è promiscuità. Qui c’è un’altra mentalità. Come in campagna”.

La “campagna”, il paradiso verde di una tradizione in cui nessuna donna in gonna oserebbe entrare.

E pensare che il filosofo inglese David Hume, come tutti i viaggiatori dell'Illuminismo, rimase colpito dalla qualità del rapporto tra uomini e donne nell'alta società del XVIII secolo: “La Francia è il paese delle donne”, scrisse Hume.

Hanno fatto finta di niente sugli annunci dei supermercati che assumono solo musulmani e maschi.

Hanno giustificato le piscine comunali che stabiliscono per le donne orari separati rispetto agli uomini (sono arrivate anche in Italia).

Hanno distolto lo sguardo sugli attacchi alle donne in minigonna.

Nel frattempo, non solo molti europei occidentali sembrano preoccuparsi poco di tutto questo, ma alcuni sono persino contenti di vedere i loro simili morire e essere sostituiti dai musulmani, come la dottoressa Stefanie von Berg, che ha esultato davanti al Parlamento tedesco:

“Signora Presidente, signore e signori. La nostra società cambierà. La nostra città cambierà radicalmente. Io sostengo che tra 20, 30 anni non ci sarà più una maggioranza tedesca nella nostra città. …. E voglio essere molto chiaro, soprattutto verso quegli esponenti della destra: questa è una buona cosa!”.

E così accetteranno la sharia inclusiva rosa confetto in nome della “Grande Lotta contro il Patriarcato Occidentale”.

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