Riprendiamo da LIBERO di oggi 21/12/2024, a pag. 1/12, con il titolo "Che figuraccia: Giannini molla la chat 25 Aprile e abbandona l'esercito che aveva creato", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Immaginate un fiammeggiante capo dei pasdaran che improvvisamente mandi affanculo i suoi stessi miliziani compattamente schierati davanti a lui.
Oppure immaginate un imam che concluda la preghiera del venerdì facendo il gesto dell’ombrello ai fedeli che erano appena stati infiammati dal suo stesso discorso.
O- per i cinefili - recuperate il doloroso e tormentato “Luci d’inverno” di Ingmar Bergman, con il pastore protestante che celebra messa ma ha perso la fede, non crede più, e vuole liberarsi di quello che gli appare un rito stanco e svuotato.
Ecco: tutto questo è nulla davanti al dramma di Massimo Giannini che abbandona la gloriosa chat “25 aprile” da lui stesso fondata. Trascrivo qui, trattenendo la commozione, il ferale messaggio del fondatore-affondatore, trapelato ieri sui canali social: «Amiche ed amici, con grande dispiacere e rammarico, vi informo che dopo quest’ultimo messaggio lascio questa chat. L’idea che l’aveva fatta nascere era un’altra, ma constato che nel tempo si è irrimediabilmente perduta, sicuramente anche per responsabilità di chi l’aveva lanciata. Ma per quanto mi riguarda mi fermo qui. Auguro a tutti il meglio, per oggi, per l’anno nuovo e per sempre». Sbam, lasciando tutti - come minimo - percossi e attoniti.
Voi capite che siamo a uno spartiacque, a un passaggio tipo “avanti Cristo” e “dopo Cristo”. Il 25 aprile era nata una chat (i perfidi la chiamarono subito “Bella Chat”) che doveva rappresentare l’avanguardia della nuova Resistenza, il vivaio delle future staffette partigiane antimeloniane. Mica pizza e fichi. Roba grossa: giornalisti, politici, banchieri, le migliori menti della sinistra, una tempesta di cervelli, più qualche inevitabile neurone sparso e sperso.
Prudentemente, i più saggi se n’erano andati già il 26 aprile, a ricorrenza passata. Altri hanno presto iniziato a beccarsi come nella più coatta delle riunioni di condominio. Ma la causa, anzi la Causa, era troppo grande per giustificare qualsiasi defezione.
E lui- Giannini- era sempre rimasto lì, alto e solenne: a ricordare a tutti l’altezza della posta in gioco, la sfida esistenziale a Delmastro, la contesa storica con Lollobrigida, il regolamento di conti pluridecennali con i La Russa. Per quanto mortificante fosse la quotidianità dei progressisti italiani, del popolo rosso-rosé-fucsia, quella chat era un punto di riferimento etico e politico, un frangiflutti tra le onde, una bussola. Ogni giorno - come nella titolazione di Repubblica dei giorni più barricaderi - uno “schiaffo” o una “sfida” al governo, una sinistra che “insorge”, una “riscossa morale” all’orizzonte.
Poi, all’improvviso, la luttuosa breaking news di ieri. Gli 866 membri rimasti sono ancora lì ad attorcigliarsi nel dolore e nell’incredulità.
Massimo se n’è andato. È uscito dal gruppo.
I maligni cercano spiegazioni razionali. Ipotesi A: sfumata la direzione di Repubblica, il cane nero della depressione politica si è fatto sentire, inducendo Giannini all’insano gesto autolesionista. Ipotesi B (cumulabile con la A): la probabile pax, ammesso che duri, tra Elkann e Palazzo Chigi, rischia di ammosciare i cannoni mediatici del gruppo Gedi, e Massimo è attapirato. Ipotesi C: in un soprassalto di razionalità, in un sussulto di lucidità, Giannini si è semplicemente rotto i coglioni.
Tornano alla mente gli immortali versi del poeta Dylan Thomas: So mebody is boring me. I think it’s me.
Qualcuno mi sta annoiando, penso di essere io. Ecco, Massimo dev’essere giunto all’autosbadiglio, al latte che viene alle sue stesse ginocchia, alla botta di sonno autoprocurata.
E, per una volta, non gli si può dar torto.
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@liberoquotidiano.it