Riprendiamo da LIBERO di oggi, 20/12/2024, pag. 14, con il titolo "Putin sfida l’Occidente a fermare i suoi missili. 'Non parlo a Zelensky' e lancia i suoi messaggi all'Italia", l'analisi di Carlo Nicolato.
Carlo Nicolato
È un Putin beffardo che sfida a duello l’Occidente sulla pelle dell’Ucraina, spavaldo come al solito ma con qualche cedimento, arrivando a prefigurare possibili negoziati sulla guerra (ma non con Zelensky), perfino nostalgico quando ricorda Berlusconi con affetto e ammirazione. La conferenza stampa di fine anno non ha certo portato grosse sorprese, in fondo il presidente russo non ha detto nulla che non abbia mai detto, ma almeno stavolta è apparso meno minaccioso del solito, desideroso di incontrare Trump che non vede da quattro anni, per «parlare di tante cose».
Le domande più interessanti ovviamente sono arrivate dai giornalisti occidentali ai quali «nonostante le persecuzioni contro la nostra stampa, permettiamo di lavorare qui».
«Lo fate liberamente ed è già un bene» ha detto il presidente in uno dei rari momenti in cui è parso perdere un po’ le staffe, in particolare per il fatto che il giornalista americano della NBC, al quale il pistolotto era rivolto, ha definito la Russia «un Paese indebolito». «Io invece ritengo che la Russia sia diventata di gran lunga più forte negli ultimi due-tre anni» ha incalzato Putin, «e sa perché?
Siamo diventati un Paese veramente sovrano, non dipendiamo da nessuno, e siamo in grado di tenerci in piedi dal punto di vista economico».
Tra le altre cose il presidente russo ha fatto l’esempio della Siria, che «non è una nostra sconfitta». «Arrivammo in Siria dieci anni fa perché non fosse creata un’enclave terroristica tipo quello che avevamo visto in altri Paesi e nel complesso abbiamo conseguito il nostro scopo». «Anche i gruppi che allora combattevano contro il governo di Assad hanno cambiato pelle» ha spiegato Putin, aggiungendo che sulle basi russe presenti sul territorio non è stata ancora presa una decisione.
Nemmeno economicamente, secondo lui, la Russia è indebolita, anzi «sta crescendo molto più velocemente rispetto all’Eurozona, che sta andando male, e agli Stati Uniti, che sono in evoluzione», una disoccupazione così bassa non c’è mai stata. A queste parole Putin ha aggiunto una considerazione che farà certamente discutere e avrà delle conseguenze in patria: «Quando tutto va secondo quanto programmato, ci annoiamo, e vogliamo più azione. Non appena si comincia a ballare un po’, con le orecchie che ci fischiano e le pallottole indirizzate a noi che ci sfiorano, siamo spaventati.
Tutto questo solo perché siamo abituati a misurare tutto con il metro dell’economia». Il velato riferimento è alla Banca di Russia che non ha frenato la svalutazione del rublo. Il dittatore ha comunque ammesso che i dati sull’inflazione (va verso il 9%) «sono preoccupanti».
Alle domande dei giornalisti occidentali su eventuali negoziati con Kiev Putin ha risposto che «la politica è l’arte del compromesso» e Mosca è sempre stata pronta al compromesso, «solo che la controparte ha sempre rifiutato di parlare con noi». Ha poi citato l’accordo raggiunto alla fine del 2022, saltato per colpa di «quell’uomo dai capelli strani», riferendosi a Boris Johnson. Ma il problema per eventuali colloqui rimane Zelensky, definito un presidente usurpatore in quanto la Costituzione ucraina «non contempla la possibilità di prolungare i poteri del presidente nemmeno nelle condizioni del regime marziale».
Quindi, ha detto Putin, con lui non si tratta, a meno che non si faccia eleggere in nuove elezioni. In ogni caso il compromesso deve tener conto che la Russia avrebbe già vinto la guerra, che «i nostri soldati guadagnano territorio a chilometri quadrati» e «ci stiamo avviando verso il raggiungimento degli obiettivi delineati all’inizio di questa vicenda».
Quanto a Kursk, lo Zar ha cercato di rincuorare il suo popolo, verrà liberata in fretta, «è la cosa più importante per noi».
La realtà è ben diversa e nemmeno i coreani al momento riescono a fronteggiare gli ucraini. Il leader del Cremlino non ha evitato un passaggio sull’attentato a Kirillov riguardo al quale ha ammesso che i servizi segreti «devono migliorare il loro lavoro ed evitare questi colpi per noi pesantissimi».
Mentre parlava degli obiettivi bellici Putin ha trovato anche il modo per una consueta esibizione muscolare sulle armi, ma stavolta lo ha fatto con un’inedita sfida all’Occidente: «Si determini un obiettivo da colpire, diciamo a Kiev. Loro concentrano tutte le loro forze di difesa contraerea. Noi colpiremo con i nostri nuovi missili Oreshnik, e poi vediamo cosa succede».
Infine il momento nostalgico per un’Europa che non c’è più e per un Paese che lui sente ancora vicino, il nostro: «Nella società italiana si nutre simpatia verso la Russia, è una cosa che sentiamo. Per me negli anni addietro è stato interessante poter dialogare con politici come Helmut Kohl, Jacques Chirac e Silvio Berlusconi, un uomo operoso con una forte presa sulla sua gente».
Un messaggio ai filorussi europei? Forse un tentativo un po’ patetico da parte di una Russia che invece, rispetto all’Occidente, non è mai stata così distante.
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